Non guardate in alto e altri disastri, come è andato questo 2021

La sensazione, disagevole, che in musica in pochi, per non dire nessuno, si sia preso la briga di fermare su carta, metaforica, l’odiernità, si fa quasi asfissiante


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Ho guardato parecchi film nel 2021. Anche un sacco di serie tv, a dirla tutta. La televisione generalista praticamente non la guardo più, fatta eccezione per i programmi di cui devo scrivere, X Factor e il Festival di Sanremo. Ce l’ho in cucina, una tv senza piattaforme di streaming, accesa fissa su La7, tanto per seguire il Tg e Otto e mezzo durante cena, tanto per accompagnare pane e companatico con strampalate teorie cospirazioniste, spesso per bocca di gente come Cacciari, o altrettanto strampalate tesi parascientifiche, per bocca dei narcisi Travaglio e Scanzi, ma per il resto tendo a non seguire più la televisione, intendendo con questo i programmi, i palinsesti, gli sceneggiati, parola che potrebbe erroneamente essere confusa con serie tv, ma di altra grammatica e altra scrittura si parla, a riprova che sono sì un uomo di mezza età, ma provo a evolvermi come il resto del pianeta. 

Non convengo, affatto, che le serie tv siano la nuova letteratura, anche se convengo che la scrittura delle serie tv, come quella dei film, il cinema, sia parte della letteratura, tanto quanto la scrittura di canzoni, una letteratura che non si basa solo sulle parole, è evidente, ma che comunque in qualche modo ne prende le istanze e le sviluppa, contribuendo all’evoluzione della letteratura tout court, per questo accompagno la visione di serie tv e film con la lettura di romanzi, saggi e racconti, e l’ascolto di musica. Seppur io fatichi non poco, ne ho parlato anche troppe volte, a trovare qualcuno, parlo di autori, che raccontino chiaramente l’oggi, e per oggi intendo ovviamente la pandemia, cos’altro dovrei mai cercare pensando all’oggi?, trovo che ci siano almeno delle intuizioni che a quel che sarebbe successo inconsapevolmente rimandano. A volte semplici suggestioni, a volte vere e proprie anticipazioni dei fatti, al limite della profezia, senza tirare in ballo l’usurato Contagion di Soderbergh, praticamente un documentario girato otto anni prima dei fatti, pensiamo a serie quali Utopia, Anna, forse anche The Walking Dead, tutta una serie di fatti, dinamiche, teorie e sviluppi cui ci siamo trovati immischiati nel corso degli ultimi, ormai, ventitré mesi, ovviamente oggetto, poi, di riletture traumatiche e traumatizzate da parte dei pragmatici, lì a battersi la mano in fronte pensando “guarda te cosa riesce agli artisti”, sconvolte da parte dei complottisti, “è tutta una farsa, copiata dalla tv”. Sullo sfondo, ma neanche troppo, l’idea che la Natura, quella con la N maiuscola, si ribelli al nostro essere così arroganti e distratti, vedi alla voce virus, cataclismi, sconvolgimenti climatici.

Siccome, però, in genere queste intuizioni ci mostrano gli eventi per come li abbiano poi visti susseguirsi, ma finiscono tutte in malo modo, chi le ha scritte a suo tempo credo non potesse neanche lontanamente supporre che quelle storie di fantasia, seppur ispirate a giuste e coerenti congetture, sarebbero poi potute diventare realtà, ripeto, più o meno aderenti ai fatti, è bene tenere conto che le intuizioni sono intuizioni, cioè scintille che possono scatenare ragionamenti compiuti, dettagli che se allargati possono mostrare un insieme più complesso, non una fotografia in scala uno a uno della realtà, altrimenti non si dovrebbe mai usare la parola “fantasia”. 

Per dire, tutti in questi tempi parlano del colossal, perché seppur uscito su Netflix è a tutti gli effetti un colosso hollywoodiano, basta dare uno sguardo al cast letteralmente stellare, da Di Caprio a Meryl Streep, passando per Jennifer Lawrence, Cate Blachett e praticamente mezzo mondo dello spettacolo, compreso una Ariana Grande lì a interpretare un suo avatar, Don’t Look Up, un film scritto e girato prima del Covid, va detto, che però mette in scena una sorta di parodia di quel che abbiamo vissuto negli ultimi tempi, da come i social abbiano fagocitato i media tradizionali a quanto Trump abbia lasciato un segno indelebile sugli scranni della Casa Bianca, un meteorite pronto a spazzare la Terra lì dove nei fatti oggi c’è una pandemia, il riscaldamento globale che uccide, fisicamente, il pianeta, ripeto, la Natura a ribellarsi con le armi in proprio possesso, con tutte le differenze del caso, l’idea che in effetti il nostro caro, si fa per dire, pianeta sia destinato a assistere a una seconda estinzione dopo quella dei dinosauri a causa di un virus mi sembra un filo azzardata, seppur nessun avrebbe mai potuto pensare che tutto quel che abbiamo vissuto negli ultimi due anni sarebbe mai realmente accaduto, neanche lo stesso Soderbergh, che non a caso aveva fatto un film catalogato come “fantascienza”. Esistono poi i casi estremi, quelli cioè che ci vengono spacciati per anticipatori di un futuro prossimo, o quantomeno dotati di un profetismo pret a porter, ma che nei fatti sono solo una versione radicalizzata della realtà, senza nessun reale appiglio con quello che è il reale, se non la scenografia di fondo e, al limite, qualche caratterista, penso a serie come Squid Game, più capace di influenzare i comportamenti nel medio periodo, specie tra i più giovani, che a anticipare gli eventi, discorso troppo complesso per essere affrontato qui senza correre il rischio di applicare la stessa sociologia spiccia, per altro.

Quindi sì, ho guardato parecchi film e serie tv, nel 2021, e per contro ho visto poca gente, perché questo è lo stato dell’arte oggi. Ho visto poca gente in assoluto, rare le occasioni di socialità, almeno nei periodi invernali, e ancora meno del settore nel quale in fin dei conti lavoro, la filiera del mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento, pochi i concerti cui ho avuto modo di assistere, La Rappresentante di Lista, Giuliano Gabriele e Alice canta Battiato a Recanati, questa estate, Serena Abrami a Roccascalegna, con me sul palco del Roccascalegna in Festival, Federico Zampaglione al FLA di Pescara, anche in quel caso ero sul palco, con Paola De Simone, Tosca al Franco Parenti e Simona Molinari al Nazionale di Milano, Roberto Vecchioni e gli Extraliscio, anche in quel caso con me sul palco del Teatro San Rocco di Seregno, per la prima edizione del Circolo delle Dodici Lune. Poche date rispetto a quel che solitamente accadeva, almeno un paio di concerti a settimana, a volte anche di più, parlo di prima della pandemia, quando di occasioni per assistere alla musica dal vivo ce ne erano davvero tante, forse anche troppe. Praticamente nessun’altra situazione di socialità, se si escludono le presentazioni di libri cui mi sono autosottoposto, io che ho sempre rifuggito il contatto coi lettori, nessuna conferenza stampa in presenza, la sola cui sono andato è quella di Zucchero, per amicizia nei suoi confronti, ma mi è più che bastata a non rimpiangere quelle situazioni ipocrite di convivialità con colleghi che mi stanno sul culo e a cui, giocoforza, sto sul culo io, e addetti ai lavori, discografici e uffici stampa, che potendo mi vedrebbero bene arso vivo come una Giovanna D’Arco un po’ meno charmant della Milla Jovovich diretta dal suo compagno Luc Besson. 

Una routine, perché dopo due anni sfido chiunque a continuare a parlarne come di una anomalia momentanea, che spinge in maniera quasi violenta verso l’apatia dello starsene in ciabatte e seduti sul divano, l’idea un tempo romantica e futuristica che i social e le videochiamate siano la normale evoluzione dei rapporti sociali per l’homo technologicus è una forzatura del sistema, diciamolo a gran voce, perché in fondo è vero che social e videochiamate hanno salvato la salute mentale di una porzione di popolazione costretta alle distanze e all’isolamento, ma è anche vero che hanno in qualche modo fatto passare per scontato il non voler più interagire vis a vis con il prossimo, l’hikikomori tanto sbandierato da certi articoli parasociologici assurto  a ruolo di status predominante, i comportamenti divergenti identificati o come modelli di ribellione, parlo di chi con autoindulgenza guarda a sé come a un novello eroe di una non meglio identificata Resistenza, o come modelli di stupida corsa verso l’autodistruzione, almeno dal punto di vista di chi fatica, a ragione, a capire la totale assenza di fiducia nei confronti della scienza, come in un rigurgito di anti-Illuminismo fuori tempo massimo. Sempre e comunque una condizione permanente di polarizzazione, tutti chiamati a prendere quotidianamente posizioni anche su argomenti che evidentemente non dovremmo saper maneggiare con competenza, dai vaccini ai tamponi, parlo di contingenza, passando per argomenti solo in apparenza meno specifici quali la DAD o lo smart working. La famosa e ormai anche usurata battuta “ieri tutti virologi, oggi tutti…”, aggiungete voi il termine di un qualsiasi giorno a caso degli ultimi anni, che si tratti di climatologi, giuristi, iuslavoristi, allenatori, informatici e via discorrendo, divenuta una sorta di litania, una di quelle preghiere talmente usate e abusate da essere recitate a memoria senza più seguirne il senso, o averne coscienza, fatto che riguardo la meditazione e la preghiera potrebbe anche passare, c’è chi pratica i mantra proprio a questo scopo, meno dovrebbe essere consueto nella comunicazione, seppur a mezzo social, il rischio di riderne solo attraverso emoticon e “ahahaha” scritti al volo nei commenti, senza neanche lasciare che una ruga ci attraversi fugace la fronte, lì, dietro l’angolo. 

E se un film come Death to 2021, strepitoso e impietoso sequel di Death to 2020, sta lì a riassumerci in maniera quasi cinica tutto quanto non avremmo voluto vedere, leggere e vivere nell’anno che ormai volge al termine, per altro gettando sul 2022 ombre forse anche più agghiaccianti di quelle che ci siamo lasciati alle spalle, l’esperienza insegna, la sensazione, disagevole, che in musica in pochi, per non dire nessuno, si sia preso la briga di fare il medesimo mestiere di fermare su carta, metaforica, l’odiernità, si fa quasi asfissiante. 

Se, infatti, c’è chi si esalta perché a Sanremo ci sarà un Morandi a cantare un brano scritto da Jovanotti e prodotto da Mousse T, o chi ha polluzioni notturne all’idea di ascoltare Blanco duettare con Mahmood, incontro tra titani dei tempi nostri, titani nani, al pari di quello tra Madame e Sangiovanni, c’è chi, come me, continua a ascoltare in repeat i pochi album usciti quest’anno meritevoli di attenzione, penso a My Mamma de La Rappresentante di Lista, a Exuvia di Caparezza, a Bingo di Margherita Vicario, a Indifesi di Chiarablue, a Mostri di Giorgieness e deSidera di Cristina Donà, cose sparse di Yoniro, Anna Soares, Mille, Simona Molinari, all’estero Del Amitri, Teenage Fanclub, Kanye West, Arlo Parks, Adele e poco altro, andandosi poi a rifugiare in un passato assai consolatorio, non perché si stesse meglio quando si stava peggio, ma semplicemente perché almeno, in quel caso, sappiamo praticamente tutti come è andata a finire.