Oggi faccio mansplaining, Greta Beccaglia, Andrea Delogu, i capezzoli e chi sta dalla parte dei forti

Come mi mette a disagio tutta la risma di discriminazioni cui le donne sono soggette, sul lavoro, negli stipendi, nella politica, nei ruoli di potere


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Oggi metterò in pratica il giustamente tanto odiato mansplaining. Lo premetto, così da non dar poi adito a stupori malposti. Nessuna sorpresa, farò mansplaining. Solo che lo farò a beneficio degli uomini, e non delle donne, e lo farò perché, temo, c’è ancora parecchio da spiegare, stando a quel che mi è fugacemente capitato sott’occhio nelle ultime ore.

Parto ovviamente da un caso di cronaca, apparentemente cronaca televisiva, che è al momento sotto l’attenzione di molti se non di tutti. Durante un collegamento fuori dallo stadio dell’Empoli, in occasione del derby toscano Empoli- Fiorentina, la giornalista sportiva Greta Beccaglia di Toscana TV è stata molestata in diretta tv da un tifoso convinto di aver fatto, probabilmente, non solo qualcosa di lecito, ma addirittura qualcosa di divertente. Lei era lì, microfono in mano, pronta a raccogliere le dichiarazioni dei tifosi e un tipo passando le ha toccato il culo, così, come se nulla fosse, nell’indifferenza degli altri tifosi, ce ne fosse stato uno che lo abbia ripreso, insultato, fermato, e, questo è l’aspetto più devastante, parlo da uomo (nel senso da appartenente alla razza umana, e sì, si direbbe uomo anche se io fossi donna, e nel senso di appartenente al genere maschile, nello specifico sono un uomo di mezza età bianco eterosessuale), sotto lo sguardo bonario del collega in studio, che si è lasciato andare a un agghiacciante “non te la prendere”. Come dire, ciò che non uccide rafforza, non è niente di grave, ci sarai anche abituata. La cosa è stata ovviamente ripresa sui social, dove a fronte di tanta solidarietà, a volte anche pelosa, ci mancherebbe, c’è stata anche una deriva di hating, con chi accusava Greta Beccaglia di voler fare la vittima, di cercare attenzione, ma parliamo di una minoranza di minus habens. La bonarietà del giornalista in studio, Giorgio Micheletti, che nel proseguio del programma è tornato sull’accaduto aggiungendo frasi come “Si cresce anche attraverso queste esperienze”, a suo dire atte a non mandare nel panico la collega, di fatto lì, in mezzo a una torva di tifosi, sono state riprese dall’ordine dei giornalisti, è a sua volta stata presa di mira sui social, dove va detto la faccenda è diventata trend topic e dove comunque la giornalista è stata a più riprese difesa da chi ha chiamato quella pacca sul sedere per quel che è: una molestia sessuale.

Fermo la questione qui, in stand by. Passo a altro, ma siamo sempre in tema.

Andrea Delogu pubblica una serie di cinque foto su Instagram. La conduttrice televisiva è molto attiva sui social, con uno stile tutto suo, quasi tutte le sue raccolte di foto finiscono citando i Griffith, un modo molto intelligente di affrontare temi assolutamente di attualità, spesso giocando sulla discriminazione, sulla sessualizzazione del corpo femminile, o anche sulla sua asessualizzazione, cioè su quel che fondamentalmente avviene e su quel che si racconta dovrebbe avvenire, la conduttrice, appunto, ha fatto un post che parte con una sua foto in piano americano, indosso una camicia bianca, senza reggiseno sotto, i capezzoli visibili seppur velati dal tessuto, cui ha fatto seguito un lungo testo scritto, diviso in quattro passaggi, nei quali comincia con un accenno alla vicenda di Greta Beccaglia, passando agli apprezzamenti grevi, alternati a insulti bigotti, ricevuti da Alessia Marcuzzi, rea (avrei dovuto continuare con il parallelismo e partire da un aggettivo positivo, perché gli apprezzamenti grevi, quasi sempre, sono oggetto di malata ammirazione, da parte di chi li esprime, ma non ce la faccio, scusatemi) di aver mostrato un vibratore, il suo vibratore, passando poi alla questione dei capezzoli, sempre sottolineando, nel testo si percepisce, palpabile, aggettivo assolutamente fuoriluogo, qui, l’incazzatura di Andrea, come in realtà si finisca sempre per fare i conti col giudizio degli altri, le foto non pubblicate perché ritenute deprecabili proprio per questa forma di pelosa censura, quelle non pubblicate perché non abbastanza venute bene, fino a arrivare al punto, il corpo della donna e quel che gli uomini pensano di poter dire e fare del corpo della donna, sto facendo mansplaining a beneficio degli uomini, ripeto, noi a decidere se è lecito o meno l’aborto, se si può o non si può posare in un certo modo, vestire in un certo modo, atteggiarsi in un certo modo, di essere single, di avere o non avere figli, spostando sempre l’attenzione sulle vittime, perché vittime sono, di tali atteggiamenti, verbali e fisici, imputando una correità, spartendo colpe che comunque non ci fermano, e che sarà mai, non ci prestare attenzione, non ci far caso, quel che non uccide fortifica.

Non sono una donna, lo so, e non posso capire, se non empaticamente, quella incazzatura, perché conosco Andrea, quindi capisco la sua nello specifico, ma perché vivo con quattro donne, mia moglie, due mie figlie, mia suocera, perché ho scelto, per mestiere, di occuparmi di artiste, prevalentemente, di cantautrici, perché vivo in un mondo di uomini che però guarda alle donne solo come oggetto, oggetto del proprio dire, oggetto del proprio desiderio, oggetto del proprio giudizio, non sono una donna, ma vivere in un mondo nel quale un passante può toccare il culo a una giornalista, parto dal caso specifico di Greta Beccaglia, senza che nessuno intervenga, in strada o da studio, con lei che inizia, dettaglio su cui mi sono soffermato solo in seguito, dicendo “scusami” al molestatore, sicuramente per educazione e professionalità, laddove avrebbe dovuto urlargli “vaffanculo”, ecco, vivere in un mondo così, onestamente, mi mette a disagio. Come mi mette a disagio tutta la risma di discriminazioni cui le donne sono soggette, sul lavoro, negli stipendi, nella politica, nei ruoli di potere. Mi mettono a disagio anche gli stereotipi femminili, da noi concepiti, dove per noi intendo noi maschi, stereotipi cui spesso le donne si adeguano, non è rilevante se per scelta, necessità o opportunismo, non è rilevante e non è certo parte del problema, la donna sessualizzata, oggetto cioè di piacere attraverso l’esibizione di atteggiamenti carichi di sessualizzazione indotta, aderente cioè a canoni maschili, la donna accogliente, la figura materna, quindi, a fianco della figura della puttana, altro tipo di accoglienza, la donna sempre dentro certi canoni di perfezione, si fa per dire, e sempre giovane. Ho provato nel tempo a stigmatizzare queste stereotipizzazione, provando a indicare in una reimpossessarsi di quei canoni, non evocando una sessualizzazione cosciente tanto per evocare l’uso del corpo da parte delle donne, sono un uomo, provo evidentemente piacere nei messaggi di sessualizzazione, anche in quelli vigenti, ma sono un uomo dotato di intelletto, ambirei a un linguaggio sincero, non canonizzato, e comunque ambirei non essere io a decidere cosa le altre dovrebbero o non dovrebbero fare, quanto piuttosto per usare una voce comunque già riconosciuta nel coro e dal coro, sono un critico musicale e se parlo o scrivo ho un uditorio e dei lettori, posso contribuire fattualmente alla discussione più di tante artiste che ancora non hanno una riconoscibilità verso la propria voce, metaforica e letterale, al fine di intaccare una modalità ormai riconosciuta, calcificata, cristallizzata. La campagna Free the Nipple, che Andrea Delogu non cita direttamente, ma alla quale, per certi versi, aderisce, non l’ho sentita, non so se volontariamente o meno, è lì da anni, e spesso viene guardata con sufficienza da chi ritiene quello recentemente riportato in auge da Madonna, che si è vista censurare foto da Instagram perché mostravano capezzoli femminili, laddove quelli maschili, evidentemente desessualizzati, trovano ampia cittadinanza, come qualcosa di poco rilevante. E che sarà mai? Mica è necessario mostrare i capezzoli sui social? E cosa sei, un puttanone? Questo è probabile Andrea si sentirebbe dire, se continuasse in questa direzione. O si sentirebbe dire altro, una accoglienza imbarbarita di questa istanza, roba tipo “quanto sei bona”, “mi ti farei”, che non è una adesione a questa istanza, questo Andrea lo dice nel suo post, quanto piuttosto la conferma di come la sessualizzazione del corpo femminile proceda in un’unica direzione, maschiocentrica (ho lasciato fuori dalla porta la faccenda stupro e femminicidio, dal “aveva la minigonna, se l’è cercata” al “era esasperante”, davvero troppa carne al fuoco). Quella sessualizzazione data per assodata per cui se si vede una foto che mostra i capezzoli si può fare apprezzamenti pesanti, se si vede una donna in strada le si può gridare quel che si vuole, arrivando a toccarle il culo col sorriso in bocca, complici gli astanti, silente o bonariamente complice il collega in studio.

Il fatto che tutto questo accada nei pressi della giornata contro le violenze degli uomini nei confronti delle donne, i calciatori con i segni rossi sotto gli occhi, dentro quegli stadi nei quali nei cori dei tifosi, e io sono un tifoso, sia chiaro, si fa abbondante riferimento alle mamme puttane di arbitri e dei giocatori avversari, o nei quali si vezzeggia la Diletta Leotta di turno a bordo campo come cori come “O-lellè, o-lallà. Faccela vede’, faccela tocca’” è, se possibile, ancora più agghiacciante. Indicatore di quanta strada ci sia ancora da fare, una strada lunghissima, irta e in salita. E siccome credo di essere stato assolutamente confuso nel mio ragionamento, a mio modo incazzato come Andrea Delogu, seppur per interposta persona, vorrei chiudere riprendendo le frasi di Amadeus, quando durante la Milano Music Week, rispondendo a chi chiedeva una presenza paritaria di artiste donne durante il prossimo Festival di Sanremo, una sorta di quote rosa tra le cantanti, ha risposto che scegliere le canzoni basandosi sul genere di chi le scrive sarebbe offensivo nei confronti di chi le canzoni scrive, e invitando semmai la FIMI, la richiesta era appunto arrivata dal board dei discografici guidati da Enzo Mazza, a guardare in casa propria, tutto il board della FIMI è composto da uomini, così come tutti uomini sono quelli che sono a capo delle case discografiche. Ecco, Amadeus, felice che tu abbia fatto tue le critiche che da anni muovo proprio a Enzo Mazza e la Fimi riguardo le quote rosa, poi è comodo parlare di KeyChange e indicare Sara Potente come ambasciatrice, nei fatti lì siete tutti maschietti, anche se avresti potuto aprire a qualche donna la commissione di Sanremo, composta da tutti uomini, così come tutti uomini sono stati da sempre i direttori artistici di quel Festival, tu ultimo in ordine temporale. Quanto poi alle quote rosa, anche io ambirei a un mondo nel quale, in assenza di discriminazioni non fossero necessarie tutele per chi è discriminato, niente leggi anti-razzismo, anti-omofobia, anti-femminicidio, ma noi viviamo in un mondo che discrimina e le quote rosa, di donne stiamo parlando, sono necessarie eccome, perché in assenza le donne non verrebbero mai considerate da una oligarchia di uomini che premia gli uomini (a parità di ruolo, è noto, le donne guadagnano in ogni ambito il 30% in meno degli uomini, sono fatti, non chiacchiere). Quindi, mi spiace, ma non basta dire che ogni anno c’è almeno una grande canzone cantata da una donna, dovrebbero essercene molte di più, anche in virtù delle tante canzoni di merda che invece ogni anno si trovano al Festival, cantate da uomini. Negare la necessità delle quote rosa, non la soluzione migliore a un problema, ma un primo passo, è fingere di non vedere il problema, e esserne quindi clamorosamente parte. Chi nega questa evidenza, e ce ne sono tanti, sta lì a difendere chi è forte contro chi è debole, cari colleghi maschi, vi piace proprio vincere facile.