Mostri e fantasmi, il ritorno maturo di Giorgieness

Lei di sicuro è la cantautrice che potrebbe salvaguardare la specie, mai paurosa di mettersi letterariamente a nudo


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Ho smesso di leggere i dati delle 18. Non voglio tirare in ballo quel capolavoro che è stata la striscia di Zerocalcare, i Rebibbia Quarantene, ma da che c’erano le dirette tv e social non ho mai saltato un giorno, credo, neanche d’estate, quando il Covid19 sembrava essere finito, parlo del 2020, o quantomeno essere andato in vacanza, nel 2021. Ho sempre controllato, in rete, per sapere l’andamento dei contagi, dei posti letto in terapia intensiva, il numero dei morti. Senza quella morbosità che descriveva Zerocalcare, quel fare, diceva lui, con la sua ironica feroce e malinconica, il tifo per il virus, che se non è “liberi tutti”, più per preoccupata curiosità: vediamo come procedono le cose. Poi, di colpo, qualche giorno fa, ho smesso. Intendiamoci, mi sono capito ugualmente sotto mano, i dati, girano sui quotidiani online, sui social, quasi impossibile non incapparci, ma non sono mai più stato io a cercarli, tra le 17 e le 18, cioè quando vengono divulgati. Non li ho più cercati non perché io pensi che in effetti ne siamo definitivamente venuti fuori, leggo articoli che mi raccontano di quel che succede altrove, penso alla Gran Bretagna, penso alla Romania, né per una faccenda legata in qualche modo alla scaramanzia, o al voler fare lo struzzo, non vedo quindi non c’è, quanto piuttosto perché leggere quei dati, cioè tenermi aggiornato riguardo il flusso di positivi al Covid19, non credo mi porti nessun tipo di beneficio, anzi, alla lunga, potrebbe indurmi ulteriormente a guardare al mondo con ostilità. Intendiamoci, non sto dicendo che essere informati sia sbagliato, non lo è mai, in nessun caso, sto dicendo che per me, personalmente, in casa a svolgere il mio lavoro per buona parte del tempo in solitaria, seppur la mia casa sia dall’inizio della pandemia assai meno solitaria di prima, mia moglie è ancora in full smart working, da una certa ora in poi arrivano anche i nostri quattro figli, e mia suocera vive praticamente con noi per buona parte dell’anno, per me avere anche un solo ulteriore stimolo a guardare con diffidenza al futuro potrebbe risultare fatale, o potrebbe risultare fatale alla mia voglia di relazionarmi col prossimo, già di suo non vivacissima, per quel che riguarda il settore professionale nel quale ho deciso di esercitare, quello del mondo della musica.

Mettiamoci pure che, dati o non dati, non è che il mondo della musica stia facendo molto per cambiare questo mio sentire. E non parlo ovviamente, di un cambiamento ad personam, sono egoriferito ma non così tanto, credo, quanto piuttosto di una vera ripartenza, possibile. Perché un fatto che non ci viene raccontato, e in parte tra quelli che dovrebbero raccontarlo ci sarei anche io, mea culpa, è che dire “da domani si torna coi teatri al 100% di presenze” non significa affatto da domani i teatri si riempiranno, perché se è vero che ci sono tanti spettacoli che in qualche modo, agilmente, si possono subito rimettere in pista, quelli con produzioni già allestite e quelli, appunto, più agili, è anche vero che ce ne ne sono tanti che non potrebbero partire anche volendo, e che tutti vogliano, onestamente, ho seri dubbi, chi aveva pochi biglietti venduti prima ha tutto di guadagnato dal veder procrastinare queste riprogrammazioni, mentre quelli più complessi, i tour più impegnati sotto il fronte degli allestimenti, delle prove, della produzione, non possono che essere spostati a data da destinarsi, nella speranza che nel mentre non succeda nulla di catastrofico. Mica sarà un caso che, faccio un nome, la Mannoia ha riprogrammato un tour che era previsto per dicembre 2022, quindi che sarebbe stato in lavorazione in questi giorni, cioè mentre la Mannoia è in televisione a fare il suo show. E mica è un caso che a produrre il tour della Mannoia è la stessa azienda che produce anche il suo show televisivo, la Friends and Partners, mai come in questi mesi attiva sul fronte televisivo, anche Lui è peggio di me con Panariello e Giallini, tra i cui ospiti è andata anche la Mannoia è di Salzano, per intendersi, i biglietti dei tour che dal 2020 stanno slittando di volta in volta mai restituiti, grazie ai decreti legge geniali di questo governo. Ripeto, il mondo della musica non mi sembra del tutto votato alla ripartenza, che che ne dicano, almeno non tutto, e la discografia, in questo, è la ciliegina sulla torta. Un totale disinteresse per chiunque non sia over trenta, la trap e certo rap attenzionati come se fosse il solo genere plausibile, grandi entrate dal mondo dello streaming, per accordi quadri e partecipazioni, nessun interesse a dividere le entrate con gli artisti, che è un po’ come puntare tutto su un cavallo e poi decidere di non nutrirlo e non accudirlo, limitandosi a farlo correre, quando si dice guardare alla cose da una prospettiva ampia e saperla lunga.

Certo, ci sono eccezioni che, come tutte le eccezioni, nel confermare la regola danno anche quel minimo di respiro per non morire proprio asfissiati, ma nel complesso il panorama è di quelli che potrebbero indurre Francesco Bianconi a scrivere un nuovo libro, roba degna di un parco giochi dell’orrore. Perché mai dovrei condire il tutto con i dati pandemici? E soprattutto perché, condito il tutto con dati pandemici che comunque mi arrivano anche non cercati, dovrei aver voglia di infilarmi le scarpe e il giubbotto e andare a incontrare qualcuno, qualcuno che non sia un volto amico o un artista o addetto ai lavori stimato? Ho smesso di leggere i dati delle 18, quindi, ma non per questo sono diventato un inguaribile ottimista, mi sento di poter affermare con una certa sicurezza. Possibilista, certo, ho quattro figli, non pensassi che in qualche modo il mondo può e sa sorprenderci non avrei mai messo su una famiglia numerosa con mia moglie, discorso che affrontato così, ben lo so, è di una superficialità sconfortante, e rispetto al quale vi chiederei più una fideistica adesione al mio pensiero mal espresso, non è sede per affrontarlo meglio, qui, possibilista lo sono sempre stato, ottimista direi proprio di no, fino a che il Covid19 non ha in qualche modo monopolizzato la nostra narrazione, dove per nostra intendo di tutto il mondo, o almeno di tutto il mondo che formalmente indicheremmo come “occidentale”, ho a lungo vestito gli abiti sobri dell’inquisitore, di quello che indica in maniera radicale l’imminente fine dei tempi, certo non lesinando in ironia, ma pur sempre ribadendo colpe e condanne, via di mezzo tra la Cassandra che preannuncia le fiamme e la devastazione e l’Eimerich che quelle fiamme le porta per bruciare un villaggio, poco importa se in mezzo ci saranno poi degli innocenti, a Dio il compito di prendersene in caso cura.

Poi, però, ci sono i giorni in cui questa insolita via di mezzo tra cupo possibilismo e apatia crasha, brilla come se ci fosse stato un detonatore nascosto da qualche parte il cui timer ha indicato l’ora esatta, e boom, di colpo sembra che non ci sia altra modalità che guardare al mondo con quel paio di occhialoni rosa da mosca che mi ostino a esibire nelle mie foto ufficiali, come nei social. Oggi, non credo che nessuno cadrà dalla sedia, sempre che stia leggendo seduto su una sedia, e non magari al cesso, o sul divano, a letto o in metro, o addirittura correndo su un tapirulan, giuro che sono dovuto andare su Google per vedere come si scrive tapirulan, pensavo fosse una parola francese, roba da scrivere con qualche o buttata qui e là e una classica t muta finale, e comunque dire “nessuno cadrà dalla sedia” è un modo convenzionalmente indicato per sottintendere qualcosa che provochi stupore, stupore al punto da cadere dalla sedia, appunto, oggi, e non credo che nessun cadrà dalla sedia, è uno di quei giorni lì, quelli in cui l’insolita via di mezzo tra cupo possibilismo e apatia crasha e crasha in virtù dell’aver ascoltato un album fresco di stampa di quelli che ti fanno alzare in piedi a battere le mani, non credo serva star qui a sottolineare come anche in questo caso di immagine retorica, atta a indicare entusiasmo irrefrenabile si tratti. L’album in questione si intitola Mostri, e ha Giorgieness, one woman band composta solo e unicamente da Giorgia D’Eraclea, Giorgieness, appunto, come titolare. Si tratta del terzo disco che esce sotto questo nome, i due precedenti, La giusta distanza, anno 2016, e Siamo tutti stanchi, 2017, densi di brani in bilico tra un’energia punk mai priva di un tocco sensuale e corrosivo, in odor di grunge, e una leggerezza malinconica, quasi dolorante, penso a K2 o Non ballerò, dal primo lavoro, o a Calamite, Vecchi, Mya e la hit indipendente Che cosa resta, i due precedenti già acclamati dalla critica di settore e accolti con interesse da un pubblico crescente, una certa indubbia e naturalissima rockstarritudine della stessa Giorgieness a tenerli vivi anche a distanza di tempo.

Potrei star qui a fingere che il giorno in cui queste mie parole escono, quando lo leggerete, è storia vecchia e usurata, non mi è dato saperlo, sia esattamente lo stesso giorno in cui Mostri è apparso al mio orizzonte, epifanicamente, ma mentirei sapendo di mentire. Ho avuto il piacere, fisico per altro, come il piacere credo dovrebbe sempre essere, di ascoltare in anteprima questo lavoro, a mio modo di vedere il migliore della cantautrice lombarda, e dire il migliore nel suo caso significa il migliore tra lavori tutti di altissimo livello, a loro volta tra i migliori in circolazione, e ho avuto questo piacere per ragioni, quello sì, fintamente legate a una qualche forma di scaramanzia, ho ascoltato alcuni brani prima che uscissero e da lì abbiamo preso questa consuetudine che vede lei mandarmele appena finite e io a ascoltarle assai prima che escano. Uno degli aspetti piacevoli di questo lavoro di suo piuttosto anomalo, l’isolamento di cui sopra, una certa assenza di contatti in tempi già prepandemici, che stavolta mi è arrivato come un’ancora di salvezza, la scarsa immissione nel mercato di nuovi lavori e soprattutto di lavori degni di nota a spingermi ulteriormente in una sorta di incentivo all’eremitaggio, per altro in assenza di ascesi mistica. Mostri, quando leggerete queste parole, sia oggi stesso, dove per oggi stesso intendo quando verrà pubblicato, non necessariamente quando sto scrivendo, o un oggi imprecisato, il lavoro in questione sarà già di pubblico dominio, per la stima che nutro nei confronti di chi mi legge non posso che sperare già lo conosciate, è un lavoro nel quale Giorgieness affina tutto quanto ci ha fatto sentire fin qui, tentando un riuscito colpo di reni che, vivessimo per una volta in un mondo giusto, da possibilista non posso che augurarmelo e auguraglielo, dovrebbe poterla traghettare definitivamente presso un pubblico mainstream, la carica punkeggiante da animale ferito ben calibrata al fianco di una vena pop decisamente a fuoco, i riferimenti a un mondo di suoni adulti, dal prog, sì, il prog, a certa musica d’autore via via fino al pop internazionale, provateci voi a far convivere uno a fianco all’altro Robert Fripp e Dua Lipa, per dire, versione nostrana di Lana Del Rey, so che farò incazzare qualcuno, assai più interessante della stessa Lana Del Rey, qui lo dico e lo ribadisco. Difficile, credo, scegliere quali brani estrapolare, penso alla scelta dei singoli, laddove già alcuni brani hanno preceduto la pubblicazione, è vero, da Maledetta a Tempesta, passando per Hollywoo e Successo, ultimo il brano eponimo, Mostri, ma tra i rimanenti sette brani la faccenda sarà davvero complicata, tutte di altissimo livello, Guerra sincera predestinata a questo, ma Gilda e Supereroi decisamente tra le mie preferite. Un lavoro importante, Mostri, per Giorgieness, sicuramente, artista che ha raggiunto i trent’anni d’età e che quindi è pronta per confrontarsi con un pubblico più ampio senza correre rischi di rimanere schiacciata dal confronto, ma anche per noi, per il pubblico (non solo quello di addetti ai lavori, intendo), quantomai in astinenza da lavori che non ambiscano a un ascolto distratto, da toccata e fuga, e che vogliamo invece pretendere attenzione in cambio di un segno ben calcato lasciato nel nostro animo.

Sono da sempre un grande appassionato di musica al femminile, credo non sia un segreto, e sono un attento osservatore di quel che si muove da quelle parti, confesso che dovessi fare un qualche nome che si candidasse a salire su una ipotetica Arca di Noè, si parlava di Apocalisse, il Diluvio Universale non era una apocalisse ma un primo Grande Reset in effetti è stato, biblicamente parlando, non ditelo a Freccero, ecco, dovesse fare il nome di una cantautrice che possa salvaguardare la specie, è il suo che mi sentirei di fare senza paura di sbagliare: Giorgieness e la sua musica: punk, cantautorale, pop, empatica e colta, sexy e sfrontata, mai paurosa di mettersi letterariamente a nudo, non fosse che mi fa senso anche solo pensarci potrei dire “sono Giorgieness, sono una donna”, con chiaro rimando  a quello stupido refrain che ci ha ammorbato sui social per mesi, Mostri è qui per dircelo a gran voce, non ci resta che ascoltarlo e impararlo a memoria.