Storie di mare, di criceti e di aspettative tradite: un epitaffio per la discografia

Troppo spesso chi opera nella discografia affida le vite dei giovani artisti in mani inesperte, col risultato finale di un “zucchetto” in acque ostili

Broken classical guitar


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Credo sia tutta una questione di credibilità e anche di aspettative più o meno ben riposte.

Mi spiego meglio, e nel farlo utilizzerò un episodio recente, con mio figlio Francesco come protagonista involontario.

Mio figlio Francesco ha quasi dieci anni, roba di qualche giorno, è il maschio di una coppia di gemelli, rispettivamente terzo e quarta su quattro figli, e ha un carattere un filo esuberante, della serie che è capace di monopolizzare un contesto con un numero imprecisato di bambini, ragazzi e adulti con estrema naturalezza, certo senza riuscire a controllare alla perfezione il senso della misura, è ancora un bambino, ma anche senza alcuna difficoltà a confrontarsi anche con sconosciuti, ottimo senso del tempo e della battuta, qualità di leadership piuttosto evidente. Il che, fossi uno di quei genitori che tendono a vedersi in un futuro prossimo, volendo anche prossimissimo, come una sorta di manager o procuratore, come la mamma di un Fedez, per intendersi, o come Fedez nei confronti dei suoi figli, potrebbe anche essere solamente un bene, magari anche per voi, io potrei mettermi a lavorare per lui, o a far lavorare lui per me, piccolo Fiorello in potenza, smettendo di scrivere e monetizzando questa sua eccentrica istrionismo, ma nei fatti è semplicemente un bambino molto estroverso, di quelli che fanno molta simpatia a chi apprezza l’essere estroversi, innervosisce chi in lui vede un bambino poco incline a stare seduto dietro a un banco, le mani appoggiate sulle ginocchia, in silenzio assorto a ascoltare la lezione (scusate se uso un luogo semipubblico, uno scritto pubblicato in un magazine è sì pubblico, ma porta la mia firma in calce, per scopi privati, parlare a suocera perché maestra intenda).

Sia come sia, giorni fa, forse dovrei dire settimane, perché era ancora tempo di vacanze, mio figlio era con me e il resto della famiglia al mare. Nelle Marche, regione nella quale siamo nati io, mia moglie, i suoi due fratelli maggiori (in realtà una, Lucia, è una sorella, la più grande dei nostri figli, e so che chiamare fratelli un maschio e una femmina è un gesto di asservimento al patriarcato, ma non sono ancora del tutto rientrato nel contesto milanese per lasciarmi andare a giri di parole adeguati, perdonatemi e pensate pure che io sia un retrogrado troglodita, me lo merito), non lui e sua sorella, nati a Milano per ragioni che non sto a spiegarvi, ma terra che conosce perfettamente, avendoci passato parte delle sue vacanze e essendo luogo nel quale vivono i suoi nonni.

Eravamo, nello specifico alle falde del Conero, in una località che non posso nominare, perché i miei conterranei coltivano l’idea che parlarne significhi poi dover condividere quel luogo con estranei, leggi alla voce turisti, e non sia mai che per amor di turismo si debba rinunciare al proprio posto in riva al mare. Io me ne stavo come sempre all’ombra, senza neanche bisogno di un ombrellone, semplicemente sfruttando il Conero, a che servirebbe altrimenti un monte che si tuffa nel mare? Il resto della famiglia era a fare cose, chi una passeggiata, chi il bagno, chi prendere il sole. I gemelli stavano giocando con la palla, proprio a ridosso del motoscafo lì ancorato, quello dei bagnini della baia, utilizzato come mezzo di salvamento (non sta a me fare dell’ironia, ma sul perché invece che mezzo di salvataggio si dica mezzo di salvamento potrei a lungo dissertare, lasciandomi andare a una certa gratuita ironia). A un certo punto Chiara, la gemella di Francesco, tira maldestramente la palla, che finisce proprio dentro il motoscafo. I due corrono da me, inerte sul telo da mare a leggere l’ultimo libro di Rick Moody. Chiedono un mio intervento repentino, senza però ottenere alcunché. Il mezzo è privato, faccio notare, o quantomeno non è nostro, devono andare a chiedere ai bagnini. A volte l’educazione civica soccorre la mia pigrizia. E comunque, anche perché, aggiungo, avevo da pochi secondi detto loro di non giocare con la palla lì vicino, sorta di Cassandra che predice la rovina esattamente quando la rovina sta per arrivare, ognuno si prenda le sue responsabilità. In realtà, come facevo cenno, è che sono pigro, specie dopo la pandemia, che ha lavorato di fino sulla mia apatia, fa caldo e soprattutto non sono esattamente longilineo, alzarmi e fare qualcosa che contempli una azione fisica sotto il sole mi devasta psicologicamente. I due non si fanno problemi. Come ho detto Francesco è un bambino assai estroverso, va subito alla ricerca di Ludovico, il bagnino. Ludovico, nome di finzione usato a salvaguardia dello scrivente, che poi sarei io, è un tipo gentile, dotato della precisa e articolata muscolatura che ci si aspetta da uno che nella vita ha deciso di fare il bagnino, tartaruga e tutto il resto. È anche molto attento, del resto è il responsabile dei bagnini della zona, per cui, proprio il giorno prima degli accadimenti che vi sto raccontando, ha fatto un semi cazziatone proprio a Francesco, per essere andato troppo a largo rispetto, ha detto, le sue capacità natatorie. Non ha usato la parola “natatorie”, a dire il vero, non credo la conosca, e qui sto facendo del bullismo anche troppo elementare, per di più bullismo facile facile, in contumacia, ma il succo è quello. Francesco ha provato a spiegargli che in realtà lui sa nuotare anche molto bene, il problema era suo fratello maggiore, Tommaso, e suo cugino Jacopo, che lo avevano lasciato indietro in una improvvida gara di nuoto, vedi tu l’adolescenza, lui, Ludovico, non ha lasciato spazio al dibattito. Al che, così, perché la dialettica è il mio mestiere, e la polemica è una mia specialità olimpica, sono intervenuto io, pronto a cazziare a mia volta Francesco, certo, perché tocca stare molto attenti al mare, ma a sua volta Ludovico, perché in fondo Francesco è tornato a riva senza battere ciglio. Solo che, sorpresa, Ludovico ha palesato nei miei confronti un timore reverenziale che non mi aspettavo, non ci conosciamo se non di vista, ci siamo sempre e solo salutati con un cenno del capo. Ha fatto una sorta di inchino, chiedendo scusa, porgendo poi il pugno in segno di pace a Francesco, e scusandosi a sua volta con lui. Non fosse che lui ha la tartaruga sugli addominali, io la famosa tartaruga rovesciata, avrei anche potuto pensare che abbia paura di me, vallo a capire. Tornando a questo benedetto giorno, Francesco trova un bagnino giovane. È uno che non ho mai visto senza la t-shirt bianca con su scritto la parola “bagnino”, un paio di occhiali da sole perennemente appoggiati sul naso, tipo Antonello Venditti. Per dirla con Troisi, un biondino. Avrà a stento diciotto anni. Infatti appena riceve la richiesta da parte di Francesco, Chiara un passo indietro, si atteggia a duro, e dice loro di aspettare, dopo di che va al bar e si prende un caffè. Non so se Ludovico abbia in effetti paura di me, il biondino dovrebbe averne. Nei fatti, però, vorrei che i gemelli capissero che a volte, se non sempre, sarebbe bene dar retta a quello che dico, quindi a distanza li lascio lì a apprendere la lezione del giorno. Alla fine il biondino, immagino al suo primo caffè, accompagna Francesco e Chiara da Ludovico, guadagnandosi a breve un mio regalo, tipo, che so?, un rasoio Bic accompagnato da un bigliettino con su scritto “per quando prima o poi ti spunterà la barba”, roba del genere. Ludovico è indaffarato, vedo, quindi chiama da dentro al cabina dei bagnini qualcuno.

La faccio breve, Francesco e Chiara tornano dove mi trovo io, di fronte al motoscafo di salvamento, accompagnati da una bambina che avrà a occhio la loro età, forse anche meno. Mi vedono perplesso, quindi Francesco mi grida, siamo a qualche metro di distanza, che è la figlia di Ludovico. Ha qualcosa sulla spalla, qualcosa che poi prende in mano. Non sono abbastanza vicino, e soprattutto non sono abbastanza interessato da capire di che si tratti. Vedo che la bambina confabula coi gemelli, senza ottenere quel che vuole, è infatti contrariata, quindi la vedo dirigersi con passo fermo e deciso verso un altro bagnino assai giovane, il quale la guarda, guarda le sue mani e le ride platealmente in faccia. Ludovico è altrove, si sente di poterlo fare senza temere alcun male. A questo punto, ma lo dico ex post, verrebbe da pensare che Ludovico, enorme fisicamente, non abbia una grandissima capacità di intimorire chi gli sta intorno, anche i suoi sottoposti. La bambina torna dai gemelli, che adesso, con lei, sono nel bagnasciuga, a un metro circa dalla scaletta del motoscafo. La bambina prova a salire sulla scaletta, ma con le mani occupate non riesce. Vi avviso, sta arrivando il momento del racconto in cui succedono le cose più succose, seguite da un finale piuttosto veloce, alla mia maniera. A questo punto, senza lasciare spazio alla trattativa, la bambina si volta verso i gemelli, Chiara fa un passo indietro, Francesco non si muove. La bambina, la figlia di Ludovico il bagnino, porge quello che ha in mano a Francesco, e si volta verso la scaletta con aria risoluta. Francesco si guarda le mani, poi getta quel che ha in mano in mare. Io sono a qualche metro da loro, all’ombra, gli occhiali per leggere inclinati per farmi seguire meglio la scena. La bambina urla. Si getta con le mani in acqua e raccoglie quel che Francesco ha buttato, poi scappa piangendo. Mi alzo, a fatica, e vado verso i gemelli. Chiedo lumi, e Francesco mi dice che la bambina le ha dato da tenere il suo criceto. In realtà è un topo, aggiunge, e lui lo ha buttato in mare, perché gli ha fatto schifo. Vorrei dire qualcosa di tagliente, ma inizio a ridere. Il tempo di scuotere le testa che la bambina ritorna, accompagnata da Ludovico, che stringe il criceto in mano, coperto da un tovagliolo di carta. Sembra una di quelle scene tipo incidente aereo, in cui vedi i sopravvissuti coperti con quei teli tipo carta stagnola. Ludovico va da Francesco e gli chiede in modo piuttosto risoluto perché ha buttato il criceto in mare. Gli chiede anche cosa avrebbe fatto lui se qualcuno avesse buttato in mare il suo criceto. Francesco risponde che lui non ha criceti, e fin qui non fa una piega. Intervengo allora io, dicendo a Ludovico come sono andate le cose. Francesco non ha preso il criceto e lo ha buttato in mare, se lo è ritrovato tra le mani perché la bambina glielo ha dato anche troppo risolutamente e si è spaventato, facendolo cadere. Non è vero, tecnicamente, la parola spavento andrebbe sostituita con la parola schifo, ma sfido chiunque a trovarsi un criceto in mano, così, su due piedi, e mantenere la flemma. Ludovico realizza che la figlia gli ha detto una fandonia. O quantomeno gliela ha raccontata male. A quel punto si scusa con Francesco, in maniera eccessiva. Gli porge il solito pugno, gesto che prevede che Francesco faccia altrettanto, facendo incontrare le loro nocche come un cinque che in realtà è uno zero. Poi si volta verso di me e si inchina, chiedendo scusa. Io gli dico che ci spiace molto, ma lui non vuole le nostre scuse, si inchina, continuando a dire che non è successo niente. Dice qualcosa anche di scherzoso, tipo, “è il primo criceto a aver fatto un zucchetto sotto il Conero”. Il zucchetto, o lo zucchetto, vallo a sapere, è il tuffo in dialetto anconetano. La figlia continua a piangere, ma al momento non è nei suoi radar. Ha capito che l’errore è stato suo, quello di pretendere che un bambino prendesse in mano un criceto, ma volendo l’errore era stato a monte, nel mandare una bambina di nove anni a recuperare un pallone su un motoscafo di salvamento, specie una bambina con un criceto sulla spalla. Ludovico, sua figlia e il criceto se ne vanno. Inchinandosi e camminando all’indietro, manco fossi l’imperatore del Giappone, Hiroito, e tutti i miei figli, che in qualche modo stanno ora raccolti lì intorno, si domandano con me perché mai Ludovico abbia questo timore nei miei confronti. Capace che leggendo queste parole l’anno prossimo la prima cosa che farà sarà darmi una testata secca sul naso, chiudendo una volta per tutte la faccenda, ma al momento questa è la netta sensazione di tutti, in famiglia. Francesco dovrebbe essere costernato, in realtà si è creato una sua difesa di ufficio che si basa sul fatto che quello che la bambina spaccia per criceto, o ex criceto, vallo a sapere, in realtà sia un topo, andando a ribadire che non lo ha buttato in mare per sbaglio, gli faceva proprio schifo davvero. Tommaso è corso su Google, e ha scoperto, scrivendo semplicemente “criceto” e “acqua”, che i criceti non si devono assolutamente bagnare con l’acqua, pena non so che malattia. Figuriamoci con l’acqua di mare. Ci sono pagine e pagine web a riguardo, e tutte concordano che l’acqua e i criceti siano incompatibili. Ha anche screenshottato una immagine che raffigura con un disegno un criceto e un rubinetto, sovrastati da un divieto, con la banda diagonale come i Divieto di Sosta. In realtà l’indomani Ludovico ci ha rassicurato, dicendo che il criceto sta bene, anche se una piccola croce posta tra i sassi potrebbe far pensare il contrario (non è vero, ma è così che abbiamo sfottuto Francesco per tutto il resto delle vacanze, chiamandolo, la Montessori ci perdonerà, il “killer di criceti”).

Fine dell’aneddoto.

Torno al punto di partenza, credo sia tutta una questione di credibilità e anche di aspettative più o meno ben riposte. I miei figli gemelli, Francesco e Chiara, non hanno dato credibilità a me, che dicevo loro, non troppo energicamente, è vero, di non giocare con la palla vicino al motoscafo del salvamento. Ne hanno invece riconosciuta troppa al biondino, che si è dimostrato, appunto, biondo, finendo quindi a raccontare i fatti al capo dei bagnini, il quale a sua volta ne ha posta troppa in sua figlia, a sua volta una bambina. Esistono i ruoli. Andrebbero sempre onorati. Quelli del padre, quello del bagnino, quelli dei figli, quelli dettati dall’anagrafe, volendo anche il ruolo del criceto. Idem per le aspettative. Riporne troppe in una bambina, da una parte, quella di Ludovico, o in un bambino, Francesco, da parte di sua figlia, è stato un errore, forse fatale per il povero criceto, che di questa storia è la sola vittima innocente (potrei azzardare che anche lui aveva riposto troppe aspettative, figlie di una credibilità non giustificata, nella figlia del bagnino, ma dubito che qualcuno abbia mai chiesto la sua opinione a riguardo), impossibilitato a scegliere, piccola creatura fragile e refrattaria all’acqua.

Giovani e fragili artisti, non siate criceti. Voi che potete scegliere, perché, sì, potete scegliere anche quando le strade percorribili vi sembrano ineludibilmente segnate, manco fossero binari. Non lasciatevi ingannare dalle apparenze, dal fatto che voi siete piccolini e loro, i discografici, quelli con alle spalle le strutture che vengono sì chiamate “Major”, ma tali sono non in funzione del loro valore artistico, ma allo spazio che occupano nel sistema, vedi alla voce mercato. Troppo spesso chi opera in quei contesti affida le vite dei giovani artisti in mani inesperte, o più semplicemente incapaci, col risultato finale di un “zucchetto” in acque ostili. State all’erta e ricordate, questo non è un paese per giovani, né per criceti.