Entronauta di Bungaro: un gioiello di album solo in formato CD

Il suo nuovo album si dimostra un disco bellissimo, di quelli di una volta, che ti ritrovi a ascoltare in loop


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Credo che durante questa anomala estate 2021, anomala per tutto quello che l’ha anticipata, e anche per come il vivere e il viverla sembra prevedere, il Comune di Milano raggiungerà la ragguardevole quota di 300 chilometri di piste ciclabili. Ne parlano piuttosto spesso, i nostri amministratori, dico “nostri” perché vivo a Milano, sia chiaro, e ne parlano sempre con grande e tronfio vanto. In effetti 300 chilometri di piste ciclabili nella città che nell’immaginario collettivo, fino a qualche tempo fa, era la più trafficata di Italia (attenzione, non quella col traffico più caotico, è evidente che l’immaginario collettivo sposterebbe altrove l’attenzione in caso) e che a ben vedere non è poi così estesa, parlo di area urbana su cui quei trecento chilometri si dipanano, sono un fatto eccezionale, normale se ne vantino. Un po’ meno normale, credo, che sia sulle piste ciclabili e quasi solo sulle piste ciclabili che stanno investendo i soldi pubblici, perché quello che ha anticipato questa estate anomala è stato quantomai rovinoso per il trasporto pubblico, i motivi direi che sono evidenti e ovvi, e quindi fingere di non sapere che il traffico privato su ruota, o meglio su ruote, quasi sempre quattro, in qualche modo sia diventato più centrale in città è quantomeno sciocco, se non addirittura utopistico, tre milioni di automezzi giornalieri che si spostano in strada è un numero importante, e anche perché, a dirla tutta, la bici può essere una valida alternativa alle auto solo e esclusivamente se si pensa al trasporto pubblico come qualcosa che avviene in certi contesti familiari, assenza di bambini, o presenza di bambini che frequentano scuole a pochi passi da casa, assenza di necessità di dover portare cose in auto mentre ci si reca al lavoro, o quando si torna dall’aver fatto la spesa, e anche lì, i supermercati non è detto che siano proprio a pochi passi della abitazioni, anzi, per la loro funzione quelli spesso grandi si trovano fuori dai centri abitati.

Come dire, si discute tanto di famiglie con un solo figlio, o di famiglie senza figli, per non dire dei single, e sembra che solo a questi guardino i guardiani delle galassie che ci sovrintendono. Dimmi tu se mi tocca sposare il programma politico alle comunali di Vittorio Feltri.Su tutto non si tiene conto del fatto che Milano non è esattamente in una delle zone baciate dal sole e dal bel meteo, credo che il 2021 abbia già raggiunto livelli di metri cubici di pioggia caduti degni dell’India monsonica, e la variabile, ma qui suppongo mi si risponderebbe che il senso civico dovrebbe venir prima delle proprie attitudini, che prevede che a qualcuno andare in giro in bicicletta non solo non verrebbe comodo, perché il suo fisico non è adatto, perché faticherebbe troppo, per i mille motivi che vi possono venire in mente, ma anche semplicemente che andare in bici gli fa cagare, per quell’odio indefesso verso il dover star lì a pedalare quando si potrebbe semplicemente guidare stando comodamente seduti in auto.

Io, per mia natura, natura che non necessariamente uno è tenuto a assecondare, è chiaro, siamo esseri senzienti, razionali, ma nello specifico una natura che ho fin qui nutrito e cresciuto come fosse qualcuno cui voglio particolarmente bene, diffido di qualsiasi attività fisica che non comporti il contatto fisico, foss’anche violento, motivo per cui ho dedicato parte della mia esistenza di giovane uomo applicandomi al gioco del calcio, non disdegnando mai le marcature strette, io punta altrettanto naturale, anzi, picchiando come un fabbro, Eric Cantona mio modello di vita ancora prima di conoscerlo, per questo non posso dirmi appassionato di nessuno degli sport che preveda un solitario starsene in sella o a bordo di un qualche mezzo di locomozione, figuriamoci, schifo la pallavolo, cosa dovrei mai pensare di uno che ha come primo avversario se stesso e i propri limiti?

Questo per dire che il ciclismo, anche quello da passeggiata, non mi ha mai preso più di tanto. Sarà anche che sono nato in un’epoca nella quale le biciclette si chiamavano Graziella (no, non sto facendo un discorso machista o patriarcale, andate avanti, prima di alzare il ditino), le mountain bike ancora da inventare o da immettere nel mercato, e soprattutto sono nato in una città assai poco a portata di bici, tutta salite e discese, sette colli come Roma, ma molto più scoscesi (la mia famiglia ha a lungo vissuto e frequentato un quartiere la cui spina dorsale si chiama ancora oggi Via Scosciacavalli, perché così ripida che i cavalli, appunto, nel farla, si spaccavano le gambe).

Nei fatti ho poche volte in vita mia cavalcato una bicicletta, non ne posseggo al momento una mia, e se devo scegliere tra andare in bici o prendere la macchina non ho alcun minimo dubbio. Ci ho scritto su un libro, sull’andare in bici, e sul viaggiare in bici nello specifico, ma era più un esercizio di stile e un omaggio a David Byrne, che al tema ha dedicato a sua volta un libro, che un mio personale atto d’amore verso le due ruote, il sellino, la canna e tutto quel che ci ruota intorno.

Amo però andare a piedi, molto. E anche sull’andare a piedi ci ho scritto su un libro, per altro sull’andare a piedi in una zona destinata esclusivamente alle auto, le Tangenziali di Milano. Andare a piedi, a differenza che andare in bici, mi sembra molto più “secondo natura”, sempre che essere secondo natura abbia in effetti un senso (e scriverne su un computer in modo particolare), e credo non abbia alcun impatto sull’ambiente, a meno che mentre uno cammina non scoreggi come certe mucche capaci di creare buchi nell’ozono o non getti scorie radioattive tutte intorno a sé. In un’epoca, però, dove tutti vanno in macchina, fingendo che siano tutte auto elettriche, tipo Tesla, impattando non solo sul pianeta, ma soprattutto sulla salute mentale di chi il pianeta lo abita, gli umani, e me tra gli umani, c’è almeno una persona che ha deciso di andare decisamente piedi, e di farlo dicendo che sta andando a piedi, dimostrando che sta andando a piedi mentre va a piedi e fottendosene che gli altri sono lì a sfrecciare diretti solo loro sanno dove.

Ero slittato sul campo delle metafore, lo dico per quanti stessero cercando di cogliere il filo del mio discorso, e ero slittato sul campo delle metafore perché, in tutta onestà, abito sì a Milano, città con trecento chilometri di piste ciclabili e che in autunno vedrà immagino Vittorio Feltri entrare a Palazzo Marino al grido di “via i monopattini dalla città”, ma sono ormai anni che ho rinunciato a fare queste battaglie inutili, sono una minoranza che è conscia di essere una minoranza, combattere sapendo di perdere non è eroico, è inutile. Stavo quindi parlando di musica, di quello mi occupo, e se è evidente che chi sfreccia in auto che fingono di essere elettriche è chi insegue le mode del momento, la trap, l’indie, i featuring che gli anziani, lo streaming su tutto, forse può non essere altrettanto evidente che chi ha deciso, oggi, di andare a piedi, quindi di fare qualcosa che sia compatibile con la natura, di più, che sia sano, che sia controcorrente e si rifaccia a qualcosa che è parte stessa della nostra storia e tradizione, e che soprattutto renda possibile, chi va a piedi va per ovvi motivi piano, si ferma a guardare il panorama, nota dettagli che sfrecciando neanche può immaginare, un confronto appunto umano, non meccanico, è Bungaro, da pochi giorni nei negozi di dischi col suo nuovo album Entronauta. Lo so che dire che uno è nei negozi di dischi, oggi, è come iniziare un programma dicendo “cari amici vicini e lontani”, vintage, se non addirittura archeologia, ma nei fatti così stanno le cose, Bungaro, cantautore raffinato e di lungo corso, autore conto terzi di un certo successo, ha infatti deciso di proseguire il suo personale percorso artistico tirando fuori letteralmente un gioiello di album che però è acquistabile solo in formato CD, come si dice in questi casi “in fisico”. Lo ha fatto perché fa una musica che è fatta di tanti dettagli, dettagli curati con attenzione, con dedizione, e sa che lo streaming non ha alcun interesse verso i dettagli, puntando su un ascolto frammentario, iperveloce, di pochi secondi. Così ha optato per regalare le sue canzoni, complesse, delicate, alte, non solo nelle tonalità ma nella resa, colte e pop al tempo stesso, con influenze che arrivano dalla classica come dal sud del mondo, dalla nostra tradizione popolare, sentirlo cantare in dialetto salentino è un balsamo per l’anima ma che non perdono mai quella presa mainstream che solo chi sa scrivere davvero le canzoni possiede. Che si tratti di mettere in musica le filastrocche di Rodari, come nel singolo Il cielo è di tutti, che lo vede accompagnato dalla voce amica di Fiorella Mannoia, per cui ha a lungo scritto, o di omaggiare Amalia Rodrigues e il suo fado con Amalia, così come L’amore che serve, tutte intrise certo di una velata malinconia, cifra riconoscibile del cantautore pugliese cui la sua voce, una delle più belle del nostro panorama, regala sfumature dolci e taglienti al tempo stesso, Entronauta si dimostra un disco bellissimo, di quelli di una volta, che ti ritrovi a ascoltare in loop, senza mai passare alla traccia successiva, senza la necessità di controllare quanto manca alla fine del brano. I piedi sanno dove devono andare, non fidatevi di quelli che vogliono andare troppo veloce, buttate i monopattini elettrici dentro i navigli.