Sono stato a Recanati per Giuliano Gabriele, La Rappresentante di Lista e Alice

In questi giorni anomali di false ripartenze, mi sono ritrovato quasi senza volerlo a passare ripetutamente dalla città di Leopardi, per tre eventi musicali incredibili

Photo by Superchilum (wikimedia)


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Quando cresci in un piccolo paese.

Me lo ripeto spesso, pensando alla vita e cercando risposte a domande che risposte non ne prevedono. Alla mia, di vita, nello specifico.

Quando cresci in un piccolo paese.

Come una dichiarazione d’intenti, involontaria, la constatazione amichevole di uno stato pregresso, la certificazione di un punto di partenza cristallizzato a beneficio più degli altri che proprio.

Quando cresci in un piccolo paese.

Era il titolo di un vecchio romanzo edito da Transeuropa, negli anni Novanta. La Transeuropa supertrendy di allora, quella delle antologie Under 25 di Pier Vittorio Tondelli, quelle di Silvia Ballestra, e la saga degli Anto’, quelle di Enrico Brizzi e il suo Jack Frusciante è uscito dal gruppo, certo, ma anche di Claudio Piersanti, Gilberto Severini e Lorenzo Marzaduri, anche del primo Pino Cacucci. Non ricordo chi lo ha firmato (in realtà ho controllato, l’ha firmato Angela Scarparo, ora me lo ricordo bene), quel libricino, la caratteristica copertina plastificata lucida tendente al bianco, ma ricordo perfettamente che riprendeva pari pari il titolo di un brano di Lou Reed, quella del resto era la tendenza di quella casa editrice, citare, citare, citare, fino quasi al plagio.

Il senso di quel titolo, però, lo capivo bene, io sono nato in una città di provincia, la medesima dove è poi sorta la Transeuropa, Ancona, e conosco bene quella sensazione, gli spazi stretti, non solo fisici, quel senso di mutuo e invasivo controllo, la necessità di saltare in sella a una moto e andarsene, come in una canzone del Boss.

Un mio compaesano, nel senso di uno nato nella mia stessa terra, seppur in un secolo diverso e in un altro piccolo paese, ancora più piccolo di Ancona e decisamente più paese, Recanati, un mio compaesano e anche mio collega, a dirla tutta, ci ha scritto su delle belle parole, a riguardo.

Parlo ovviamente di Giacomo Leopardi, e lungi da me fare stupide ironie sul poeta.

Il fatto è che in questi giorni anomali di false ripartenze, io mi stia ritrovando quasi senza volerlo a passare ripetutamente da Recanati, spesso proprio nella piazza che al poeta è dedicata e che espone la statua al poeta eretta, mi sembra singolare, ma a suo modo evocativa, perché per questioni mie personali, di storia mia personale, tendo davvero a associare alla provincia, e a questa provincia nello specifico l’idea di partenza, lo sguardo rivolto oltre l’infinito a stento arginato dalla nota siepe, le stelle sopra a farci da guida, come i pastori erranti nel deserto.

E mi rendo conto che parlare di pastori erranti, per altro qui, in provincia di Macerata, città dalla quale è partito Matteo Ricci, il gesuita euclideo vestito come un bonzo alla corte dell’Imperatore, e farlo oggi, dopo aver assistito all’ultimo dei tre eventi che mi hanno portato a Recanati, il concerto Alice canta Battiato, ultimo appuntamento di Lunaria, lo spin off di Musicultura, seppur Musicultura sia in effetti lo spin off di se stessa, nata a Recanati e poi migrata allo Sferisterio, suona davvero surreale, quasi un tentativo vagamente pret-a-porter di essere postomoderni, metatestuali.

La mia ripartenza, in effetti, è partita da qui, un paio di settimane fa, quando nella Contrada Castelnuovo si è tenuto il Festival di musica tradizionale Due Passi nel Folk, e ho avuto il piacere di riabbracciare vecchi compagni di avventura quali Giuliano Gabriele e il suo ensemble, quello che a Attico Monina, esattamente un anno e mezzo fa, in quel di Sanremo, si era presentato col nome di Espresso Do Moon, andando a fare da banda residente di quel folle programma andato in scena da queste parti, lui, Giuliano Gabriele, a cantare e suonare organetti vari, e i suoi partner in crime, Eduardo Vessella ai tamburi a cornice, Lucia Cremonesi alla viola, Riccardo Bianchi ai tamburi grandi, Gianfranco De Lisi, al basso, e Giovanni Aquino alla chitarra. Un concerto strepitoso, il loro, arrivati dopo oltre mille chilometri di asfalto consumato in tante ore di pulmino, la data precedente, il giorno prima, dalle parti di Parigi, tradizione e ricerca, sperimentazione e modernità, in una parola, appunto, postmodernismo, privo dell’orpello dell’ironia, i valori della tradizione non hanno bisogna di essere sostituiti, ancora ben presenti.

Secondo step di questa rinascita, chiamiamo le cose col loro giusto nome, è stato il concerto de La Rappresentante di Lista, come quello di Alice all’interno di Lunaria. Un concerto che attendevo da tempo immemore, io che li amo da tempi non sospetti, Bu Bu Sad l’album con quale li ho conosciuti e subito amati, loro a partecipare alla prima edizione del Festivalino di Anatomia Femminile quando ancora era solo una piccola intuizione, il lancio del loro bellissimo e prestigioso Go Go Diva a Officina Pasolini, Questo corpo, questo il titolo del singolo incaricato di introdurlo al mondo, ospitato nel mio monologo Cantami Godiva, oggi parte del mio libro sul femminile in musica e sui corpi delle donne nelle canzoni, ora My Mamma lì a fare da manifesto di un successo più che meritato, Amare passato dal Festival di Amadeus, Resistere a mio modo di vedere una delle loro canzoni più importanti, nonché una delle più importanti uscite in Italia negli ultimi anni, facciamo anche decenni. Un concerto incredibile, il loro, perfetto sul profilo della scaletta, ma soprattutto della tenuta di palco. Veronica è una popstar al livello delle colleghe internazionali, canta e balla per tutto il tempo, precisa e perfetta, Dario spazia tra mandolino elettrico, chitarra elettrica, piano, basso e sassofono, come del resto spaziano tra strumenti vari anche gli altri membri della band. Uno dei migliori show che mi sia mai capitato di vedere, e parlo di sempre. Assolutamente da non perdere, se capitano dalle vostre parti.

Terzo e ultimo step, giusto ieri, Alice canta Battiato. Solo, lei, Alice, il maestro Carlo Guaitoli al pianoforte e le splendide canzoni del cantautore siciliano.

Ora, potrei star qui a ricordare quel che accadeva nella mia testa quando ancora vivevo in questo piccolo paese pensando a Alice, donna e artista di un fascino fuori da questo pianeta, fascino del tutto intatto a distanza di decenni da che ciò accadeva e da che io me ne sono andato di qui, ma credo sia più importante sottolineare come il suo omaggio all’amico di sempre, Franco Battiato, sia uno spettacolo unico, raro esempio di simbiosi artistica che ha creato perle e capolavori che il tempo non solo non ha potuto intaccare, ma come per certi vini, ha reso ancora più preziosi. Alice sembra nata per stare sopra un palco, e sicuramente è così che è andata, la sua voce ti avvolge e rende quelle canzoni ancora più pulsanti, nonostante la veste in apparenza spoglia del duo, il cielo stellato sopra di noi a fare il resto. Un concerto incredibile, come i due che lo hanno preceduto, del resto, un mio modo personale per provare a ripartire esattamente dalle mie radici, da dove, cioè, un giorno sono salito a bordo di una moto metaforica e, guardando il profilo del Conero scomparire dallo specchietto retrovisore, sono partito. Quando cresci in un piccolo paese altro non c’era da fare.