L’Italia produce corruzione come le api producono il miele

Nel nostro Paese continuano a contare di più raccomandazioni e mazzette piuttosto che merito e preparazione


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L’indice di corruzione della pubblica amministrazione in Italia, secondo Transparency International,  è imbarazzante.  52esimi su 180 paesi, assieme a Grenada, Malta, Mauritius ed Arabia Saudita. Un punteggio che ci colloca in una posizione ben al di sotto della media europea, di 64 su 100, una performance da America Latina o Africa, anche se facciamo parte di quel pezzo di mondo che ostinatamente consideriamo sviluppato e civile.  Dritti all’inferno, nel girone dei ladri quanto a malcostume, corruzione, ricorso al familismo, al clientelismo, ai legami associativi e consociativi spesso segreti.

A dispetto della pletora di leggi sempre più proiettate, a parole, verso una maggiore correttezza, trasparenza e buon andamento della pubblica amministrazione.

 Vogliamo parlare dei concorsi?

Nonostante la stessa Costituzione garantisca tra i diritti politici un’imparziale accesso alle pubbliche funzioni, attraverso procedure selettive pubbliche, il nostro- alla voce legalità- sembra un Paese irredimibile.

I concorsi sono la principale modalità di accesso al pubblico impiego, così come nelle università la strada per assicurarsi un dottorato o un posto da ricercatore e di futuro cattedratico. O, se parliamo di professioni, per ottenere l’abilitazione all’esercizio, ed iscriversi ai vari albi.

Ora, ditemi un concorso contro il quale non si sia fatto ricorso. Un concorso che si sia svolto secondo modalità trasparenti, certificabili, dove i criteri adottati per la valutazione siano stati conformi in tutte le commissioni, dove non si sia rilevato un conflitto di interessi tra componenti delle stesse e gli esaminandi, dove chi abbia passato lo scritto non sia stato fermato all’orale – per insufficienza di un santo potente a tifare per lui dall’alto. Ciò non vale per tutti, certo, perché per giustificare il sistema un buon numero di candidati deve passare regolarmente. Ma l’orale, per dirne una, è e rimane insindacabile. Ma, per non lasciare strapotere alle commissioni, anche l’orale andrebbe in qualche modo reso tracciabile o testimoniabile.

Che queste procedure premino il merito, non è solo un diritto di chi sostiene gli esami, ma di tutti i cittadini che poi sono i fruitori delle competenze dei vincitori. E’ un fatto di democrazia, la possibilità di disporre dei migliori quando si ricorra a un servizio, una terapia, un professionista.

Prendiamo un caso specifico, quello che vede tra i vincitori addirittura un ministro: il concorso a dirigenti scolastici indetto nel 2017, conclusi nel 2019, e, a poche settimane dalla conclusione, annullato dal Tar, sentenza poi a sua volta resa inefficace da quella del Consiglio di Stato del 12 gennaio 2021. Su questo concorso indagano ancora sei procure.

Che il Consiglio di Stato non avrebbe agito altrimenti non c’erano dubbi. Che lo abbia fatto per ragioni che non insistono sul merito, ma sull’opportunità politica, sul delicato momento di piena pandemica, sul problema di non lasciare prive le scuole dei dirigenti che ormai da un anno affrontavano problematiche inedite, terribili, incalzanti, anche. Ma a quanti si sono trovati tagliati fuori senza un motivo concreto, chi restituirà la fiducia nelle istituzioni, nel merito, nella vita stessa? Sono docenti che per anni si sono impegnati in ingrati compiti di vicari, vice, funzioni obiettivo, sobbarcandosi dei tanti oneri che incombono sullo staff dirigenziale e che vengono pagati con due spicci, un’elemosina a fronte dell’enorme mole di lavoro che comportano.

 A osteggiarli proprio coloro che avevano fatto della trasparenza una parola d’ordine “ apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”: i pentastellati hanno ostacolato in ogni modo l’ostensione degli atti, nonostante il diritto di accesso sia sancito da innumerevoli leggi, non ultima il Freedom of information act, del 2016 (Foia).

Un concorso sul quale il Ministero per primo ha calato una cortina fumogena, a protezione della stessa ex titolare, l’Azzolina, risultata tra i vincitori, pur col minimo del punteggio.

Le principali irregolarità, riconosciute dal Tar e rimbalzate sui media, ma normalizzate dal Consiglio di Stato, sono oggettive, innumerevoli ed evidenti. Il comitato dei ricorrenti “Trasparenza e Partecipazione” ora che finalmente, tolte le tende l’Azzolina da viale Trastevere, ha ottenuto di poter confrontare le varie prove ribadisce che “almeno un terzo degli elaborati della prova scritta dei vincitori (risposte ai quesiti a risposta aperta, griglie di valutazione e verbali delle sottocommissioni), risultano essere stati valutati in modo errato, superficiale ed incomprensibilmente inadeguato. Punteggi alti attribuiti a risposte errate, scarse o addirittura mai rese; voti numerici inventati; tabella di valutazione della prova scritta modificata tre mesi dopo lo svolgimento dell’esame e a ridosso dell’avvio dei lavori di valutazione delle trentotto sottocommissioni; file pdf creati dai commissari con smartphone e con strumenti non idonei a renderli documenti informatici della Pubblica Amministrazione (i file sono sprovvisti di metadati); files nominati con il codice fiscale dei candidati ancor prima dello scioglimento dell’anonimato; disparità di trattamento per valutazioni profondamente ed oggettivamente diverse tra le varie sottocommissioni,  cambi continui per i numerosi commissari rinunciatari e valutazioni profondamente difformi tra le trentotto sottocommissioni… Per non dire, ancora, di curiose circostanze riguardanti solo gli elaborati dei vincitori e mai quelli dei ricorrenti”; con l’aggiunta, insiste il comitato, di ulteriori misteri. 

Anche se il pronunciamento definitivo CdS taglia di netto il nodo gordiano, tutto ciò non cessa di esser vero, e di gridare giustizia. Il concorso si è concluso, l’assunzione provvisoria è stata confermata. La ministra sarà (auto)assunta nel ruolo della dirigenza scolastici, a meno che non rinunci (chiaramente rinuncerà per più alti incarichi, viste le competenze esibite e spendibili durante il suo mandato).

Tutti contenti, tutti soddisfatti, tranne i ricorrenti, che continuano a far girare le prove comparate, chiedendosi e chiedendo a un’opinione pubblica indifferente o, peggio, all’oscuro di tutta la vicenda,  secondo quale criterio si assegni il punteggio massimo alla voce “concretezza ed esposizione”, e il minimo a quella “contenuti” (possibile?). Non sono due aspetti consequenziali? Non c’è stata forse una certa superficialità nella correzione? Come dimostrarlo in modo inconfutabile?

La consegna del codice sorgente, il software che ha gestito le prove, chiarirebbe se ci sia stata o meno la violazione dell’anonimato. Ma Cineca non vuole, perché sotto segreto industriale, e il Comitato sta cercando di aggirare il veto, con un altro ricorso, integrato di perizia tecnica.

E di qui si arriva alla politica. Che nella tolleranza omertosa di questo costume quasi tradizionale nel nostro Paese, mostra la sua cattiva fede, laddove sarebbe tenuta, tra morti feriti e resuscitati, a rendere onore alla giustizia, alla trasparenza e al merito, lasciati lì a sanguinare su un terreno desolato. Lo farà? Non illudiamoci troppo. La politica è spesso organica alla corruzione burocratica e amministrativa. La corruzione ci costa più di duecento miliardi l’anno, e, i principali artefici stanno lì, negli snodi della nostra burocrazia. Come sperare che si dia avvio a un nuovo corso, che si tenti di risalire passo passo l’infamante graduatoria in cui stalliamo?