Quando il politicamente corretto stravolge le verità storiche diventa cancellazione dell’identità

Amleti giapponesi, Anna Bolena nera, cartellini gialli per Grease, Aristogatti, Disney, è la perdita della specificità della Storia


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Sono su Google Play Film, a caccia di qualcosa di interessante, in questo tempo in cui solo allo sguardo è concesso di farci sentire ancora vivi. Il resto attende un semaforo verde che tarda a giungere.    

Scorrendo alla ricerca della distrazione perduta, clicco sulla locandina dell’ultima versione di David Copperfield, un libro che ho amato sin da ragazzina e di cui affiora, da quella miniera di vecchi sceneggiati che è Youtube, uno splendido, giovanissimo Giancarlo Giannini nei panni del protagonista.

La locandina però adesso mi lascia interdetta: a interpretare David c’è il bravissimo Dev Patel, che tuttavia è un attore di origine indiana anche se cresciuto a Londra.

D’accordo, mi dico, Patel è talmente talentuoso ed espressivo da poter forzare la verità romanzesca che narra di un David originario della contea di Suffolk, Inghilterra. E allora caliamoci nel racconto con fiducia, Patel farà dileguare questa incongruenza: niente, man mano che le immagini scorrono sento crescere un senso di spaesamento e di irritazione. E va bene David di una gradazione più scura, che fa, un leggero disagio ma scorre via; ma la madre del fascinoso Steerforth, l’amico incontrato in collegio, anche lei di colore? Lui più bianco del giglio e lei scurissima? Mah! L’avrà adottato? Deve il lettore procedere ad una rilettura personale del racconto? Frugo nella mia memoria ma non riesco a far combaciare i pezzi. Anche perché ecco che compare sulla scena la donna che, da amica carissima, diverrà l’amore della vita Copperfield: un’altra attrice mulatta.

E allora mi arrabbio. Non riesco più a seguire l’intreccio, il senso di straniamento è troppo forte, non faccio altro che chiedermi: “ma perché? Dio santo, perché?”

Qualche giorno dopo mi imbatto in un Lupin color cioccolato e, ultima chicca, una Anna Bolena di colore. E allora mi arrendo: allergica come sono a qualsiasi discriminazione, per natura, per cultura,  avverto però lo spiffero dell’ambiguità: qui, in questa storia del politicamente corretto che arriva a censurare vecchie glorie della Disney come Gli Aristogatti o musical godibilissimi come Grease, c’è un’operazione che non mi quadra e che mi pare pericolosissima.

Ossia la volontà di cancellare identità, tradizioni, storia, differenze intese come patrimonio, radici e orgoglio; di sradicarci dalla cultura tradizionale per innestarci su un territorio indifferenziato globale in nome di una falsa uguaglianza che reprime qualsiasi specificità e che ci lascia senza difese, filtri, maglie interpretative della storia individuale e globale. E’ un processo Bokanovsky di creazione di gemelli identici, clonati, senza un retaggio, in nome della stabilità sociale e del controllo.

Così come mi sentirei ferita da una riedizione di Radici con protagonisti bianchi, perché è la sofferenza dei neri gettati in schiavitù ad essere la protagonista assoluta della serie, così mi sento ferita da un Amleto interpretato da una ragazza giapponese, perché ad essere violato è il testo di Shakespeare, la sua specificità, il suo significato. In nome di cosa si sta facendo tutto ciò? Perché con i flussi migratori e le società melting pot, lo spettatore globale di qualsiasi etnia o tradizione possa identificarsi meglio? Ma come potrà più cogliere, allora, il senso di quella storia, creata in una società diversa, in un tempo storico in cui, ahimè, è così, donne orientali non erano eredi di un regno danese, o mai il re Enrico VIII avrebbe reso regina consorte una donna di colore?

Dove è il senso della profondità e dell’evoluzione storica? Sì, Grease è un film sessista per alcuni versi, ma io lo devo sapere come erano trattate le ragazze nei college degli anni ’50 e non devo neutralizzare le asperità rivelatrici di una società differente in nome di uno speech code che si tramuta in un thinking code. La violenza, la discriminazione, non si azzerano cambiando il nome o il colore della pelle di chi quella violenza l’ha subita. Voi volete un alibi per renderci uguali e senza alcuna identità. Merce manipolabile che può trangugiare qualsiasi tradimento o colpo inferto alla verità dei fatti. E tra i fatti ci sono i condizionamenti e le determinanti storico-culturali.

Ma forse queste considerazioni sono già di per sé fuori tempo, forse siamo oltre e rifletterci è vano, la nostra rincorsa ad una logica che fugge via è vana. Se è vero che Youtube, miniera di sceneggiati e di reperti imperdibili ma anche di assurdità, ha bloccato il tutorial dello scacchista Antonio Radic il quale spiegava partite in cui “il bianco attacca il nero”. E neanche basterà abolire il bianco dal millenario gioco, verranno a dirci che trattasi di un gioco violento, guerrafondaio e persino classista, con tutti quei re, regine che divorano pedoni e cavalli fatti fuori. Sì, forse il tempo storico si è chiuso e resta solo quello della follia.