Discorso sulla gioventù a partire da Giovane Per Sempre, il nuovo singolo di Simone Tuccio

Va riconosciuto a Simone, la capacità di raccontare quella particolare malinconia notturna di chi si sta affacciando alla vita e vorrebbe farlo in compagnia


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Simone Tuccio, segnatevi questo nome.

Giovane per sempre, segnatevi anche questo.

Team Mirò, va beh, che ve lo dico a fare.

Ora iniziamo, quando sarete arrivati alla fine capirete perché questo pezzo cominci così.

Forse.

Tutto sta a mettersi d’accordo.

Cosa si intende per essere giovani?

Quando ero un ragazzino, almeno su questo credo possiamo tutti concordare in una fascia d’età ben precisa, per giovane si intendeva qualcuno che non era ancora diventato adulto, o che se era diventato adulto lo era da troppo poco tempo per essersi, come dire?, calcificato in quella condizione.

C’erano quindi i bambini, i giovani e gli adulti, poi arrivavano gli anziani. Siccome le varie categorie erano in qualche modo dipendenti dalle altre, cui si contrapponevano, uno non poteva essere contemporaneamente giovane e adulto, o bambino e giovane, si tendeva a identificare i bambini come tutti coloro che ancora non avevano finito le scuole medie, gli anziani come quelli che erano in età da pensione, fatta eccezione per i baby pensionati, cancro della mia generazione che comprendeva addirittura persone che oggi verrebbero forse incluse nella prima fascia, ma sicuramente non nella terza, e giovani e adulti si dividevano il resto, coi primi che in genere uscivano di scena, o meglio, usciva di scena la gioventù, quando ci si affacciava al mondo del lavoro.

Per dire, i miei genitori si sono sposati poco dopo i venti anni, erano quindi ancora obiettivamente giovani, ma erano anche adulti, avevano messo su famiglia, vivevano in una casa loro, in affitto, inizialmente, ma alla quale provvedevano loro, poi hanno avuto figli. Erano giovani, certo, ma adulti. Insomma, ci siamo capiti. Poi la faccenda è cominciata a diventare un filo più complicata. L’età nella quale si è cominciato a essere definiti anziani, la parola vecchio è uscita di scena, come la parola negro, credo, per stare all’attualità, si è spostata sempre più in là, non tanto in virtù di un approdo anche alle fasce meno abbienti di quei sistemi pret-a-porter di fingersi giovani, dal botox a quel che è, quanto perché in effetti l’età nella quale si è cominciato a lasciare la casa di origine è stata sempre più alta, con conseguente ritardo dell’abbandono proprio della gioventù. La faccio breve, quando ho esordito nel mondo dei libri, intorno ai ventotto anni, ero considerato un giovane autore. Ci sta.

Quando ho esordito al mondo della critica musicale, intorno ai trenta, pure. Ma questa condizione è proseguita nel tempo. Come se il solo fatto di vestire informale, di portare i capelli lunghi, di avere una cifra non esattamente canonica mi consentisse di correre in direzione ostinata e contraria all’invecchiamento. Un mio saggio amico, nell’editoria, mi diceva che Stefano Benni era il prototipo del giovane autore, e finché fosse rimasto in vita lui, Benni, tutti noi più piccoli saremmo rimasti giovani.

Oggi Benni ha settantatré anni, chissà se l’assioma funziona ancora.

Nei fatti a cinquantuno anni fatico molto a considerarmi giovane. Sono decisamente adulto, nel senso, ma ho certamente un’attitudine assai meno imbalsamata di tanti miei coetanei che magari hanno impostato la loro vita su canoni più rodati, diciamo quelli dei nostri genitori. Ma sicuramente non sono giovane.

Ciò nonostante continuo a fare scoperte inaspettate, anche oggi che ho i capelli decisamente grigi e la barba addirittura bianca.

Per dire, proprio di recente, ho scoperto che Pimpi, l’amico di Winnie the Pooh, è un maschio. Ho scoperto altro, a dire il vero, che oltre a essere maschio è anche gay, innamorato del suo amico orsacchiotto. Non so se esiste un nome anche per animali che si innamorino di animali di altre razze, fossimo nel porno immagino si tratterebbe di interracial, ma credo che quello delle razze animali, nel caso di cartoni animati che utilizzino il mondo animale come base su cui sviluppare storie in realtà molto umane, sia un semplice mezzo narrativo. Pimpi quindi è un maschietto innamorato di un altro maschietto, ci sta, ma è un maiale e non un coniglietto, come dalle orecchie lunghe sarei stato portato a pensare.

In effetti già lo sapevo, che fosse un maialino, perché la prima dei miei quattro figli, oggi diciannove anni, ne era appassionata una vita fa. Solo che avevo rimosso la cosa. Intendiamoci, l’avevo rimosso non perché ci fossero retropensieri difficili da gestire per il mio subconscio, solo per una mera faccenda di memoria. Ne ho poca, e non posso trattenere troppe informazioni, una volta che Pimpi non faceva più parte del mio immaginario me lo ero semplicemente dimenticato. I miei figli più piccoli, del resto, proprio in virtù del loro essere figli minori in una famiglia numerosa, non sono passati da quel mondo lì, niente Teletubbies, e anche lì c’è un personaggio trangender, mi sembra Lala, ma non ci scommetterei, e quei personaggi lì.

Sia come sia proprio all’inizio di quest’anno mi è stato certificato che Pimpi non è un coniglio, questo mi sembrava di ricordare, ma un maialino, dimmi tu se questo non è essere ancora oggi giovani.

È successo a Sanremo, e è successo per bocca di non ricordo più, sempre la faccenda della poca memoria a disposizione, quale membro del Team Mirò. Se siete tra quanti hanno assistito agli show andati onda da queste parti dell’Attico Monina sapete di cosa parlo.

Il Team Mirò è una sorta di supergruppo di giovani validissimi artisti, tipo gli Avengers o la Justice League, solo che invece che essere supereroi sono cantautori e cantautrici di grande talento. Il Team Mirò prende nome dalla scuola Mirò di Sedriano, gestita dalla vulcanica Rosa Bulfaro, che di Attico Monina è stata indispensabile collaboratrice, di più, anima, di più, colei, cioè, che ha tenuto in piedi tutta la parte organizzativa, gestione degli ospiti e via discorrendo.

Il Team Mirò, e apparentemente di questo andrò a parlare in questo mio anomalo pezzo partito così, parlando di gioventù e maialini, era composto da Simone Tuccio, Chiarae, la e muta, Bellitto, Mileven, Crania. Seguendo Attico Monina, se non lo avete fatto trovate tutte le puntate ancora qui su Optimagazine, online, li avete sentiti cantare, li avete sentiti parlare, avrete avuto modo, in sostanza, di capirne il valore. Erano gli artisti residenti di Attico Monina, come del resto gli Espresso do Moon di Giuliano Gabriele era invece la folk band residente.

Ora, so di essere stato dispersivo, ma siamo giovani, mica potete pretendere pure che siamo lineari, il fatto è che se vi parlo di gioventù e di me che non sono più giovane, e di come io non più giovane abbia scoperto che Pimpi è in realtà un maialino, e non un coniglio, scoperta che in realtà è una riscoperta, perché ero già a conoscenza di questo fatto piuttosto chiaro, a ben vedere, Pimpi è rosa, è perché proprio a Sanremo il nome di Pimpi è diventato piuttosto consueto tra noi di Attico Monina, per ragioni che ora, brevemente, andrò a raccontarvi.

La notte tra il 3 e il 4 febbraio, cioè la notte precedente l’inizio della edizione 2020 del Festival della Canzone Italiana, quello condotto da Amadeus, praticamente l’altro ieri, anche se sembra dieci anni fa, verso le cinque di mattina me ne stavo a letto, sveglio. Ero sveglio perché di lì a poche ore sarebbe cominciato Attico Monina, un programma che mi avrebbe tenuto in diretta su Optimagazine e OMTv.it, oltre che su Rtl 102,5, per qualcosa come cinquantadue ore, con oltre quaranta ospiti, tra cantanti in gara e altri artisti, su tutti le cantautrici del Festivalino di Anatomia Femminile, in un contesto, l’attico che dava il nome a Attico Monina, nel quale si sarebbero mossi oltre una quarantina di persone, tra tecnici tv, i mitici The Loops, tecnici radio, fonici, fotografi, i giganteschi F31, artisti residenti, ragazzi del Team Mirò, chef e aiuto chef, io e l’inossidabile sodale Mattia Toccaceli.

Non sono un tipo ansioso, anche perché altrimenti non potrei fare follie come quella, ma stare in diretta così tante ore e avere la responsabilità artistica su così tante persone non è esattamente una faccenda che lascia indifferenti. Me ne sto quindi lì sveglio a letto, in una delle stanze dell’attico, quando cominciano a arrivarmi messaggi su Whatsapp, a ripetizione. Solitamente silenzio il cellulare, di notte, ma sia io che mia moglie eravamo lì, a Sanremo, lontani dai nostri figli, motivo per il quale ho optato per lasciare il volume alto. Così sento i messaggi su Whatsapp che arrivano, a raffica. Mi preoccupo, perché è l’alba, e a quell’ora, in genere, non ricevo messaggi. Prendo il cellulare, stando attento a non svegliare mia moglie, lì per darmi una mano, quindi esautorato dall’essere agitata, e scopro che, poco prima di quella raffica di messaggi, la squadra di professionisti che avrebbe dovuto seguire la logistica di Attico Monina si era dileguata nel nulla. Così, senza un preavviso, un segnale di allerta, puf, spariti. La sera si era scherzato fino a oltre mezzanotte, e poi via, la grande fuga. Chiaramente mi sono alzato e ho iniziato a chiamare il loro responsabile, responsabile si fa per dire, da ora in poi, appunto, Pimpi, anche se invece di essere rosa è rosso. Chiamate che, manco a dirlo, sono cadute nel vuoto. Non l’ho più sentito da allora.

In sostanza, la taglio qui, Pimpi e gli amici del bosco, il team riminese che avrebbe dovuto non solo aiutare la gestione di Attico Monina, ma che nei fatti era anche responsabile dell’Attico, avendo preso accordi col titolare, aveva deciso di ritirarsi perché in ansia per lo svolgimento delle giornate successive. Sì, avete letto bene. I responsabili dell’attico nel quale sarebbe andato in scena, è andato in scena, Attico Monina, la notte prima dell’inizio del programma se l’è data a gambe perché aveva paura di quel che il programma avrebbe comportato. Il responsabile non voleva responsabilità. Troppa gente, dicevano, come se se ne fossero accorti solo nottetempo, troppe responsabilità, troppo tutto. Io sono poco ansioso, l’ho già detto, ma in quel momento ho tirato fuori una calma che neanche il maestro di Karate Kid.

Ho preso la situazione in mano, ho liberato il mio animo da ogni livore e da quel momento, per i cinque giorni successivi mi sono concentrato solo su quello che chi ha visto Attico Monina ha potuto vedere. Un asceta di quelli che non mangiano e non dormono per mesi, che sentono una mosca che vola a chilometri di distanza, che tiene tutto sotto controllo. Ovviamente grazie ai tanti professionisti, quelli professionisti veri, che sono stati al mio fianco, da Mattia Toccaceli ai ragazzi di The Loops, a tutti quanti. Fondamentale è stata Rosa Bulfaro, la responsabile della Scuola Mirò e del Team Mirò, Rosa cui ho mandato un messaggio verso le sette di mattina nel quale chiedevo un aiuto assai concreto. Lei era lì per accompagnare i suoi ragazzi, e immagino godersi un po’ dell’atmosfera sanremese, ma di colpo si è trovata proiettata in un ottovolante che ci ha visto lavorare per qualcosa come venti ore al giorno, instancabilmente. A quel punto, divenuta lei manager di Attico Monina, i ragazzi del Team Mirò, che nei fatti avrebbero dovuto essere i giovani artisti residenti, al pari della band di Giuliano Gabriele e delle cantautrici del Festivalino di Anatomia Femminile, si sono dovuti a loro volta rimboccare le maniche, perché Rosa non è più stata solo la loro manager.

È stato in quel momento che ho avuto conferma di come nei fatti l’età anagrafica, e il conseguente essere o non essere adulti, sia solo una mera faccenda buona per sconti e discorsi di vecchi tromboni dentro la televisione. Perché Simone Tuccio, eccoci a lui, insieme a Crania, Chiarae, con la e muta, Mileven e Bellitto si sono dimostrati assai più maturi di tanti altri artisti che da quelle parti sono transitati, e non parlo solo di Attico Monina e non solo del 2020. Gente non solo dotata di talento, e quello o ce l’hai o non ce l’hai, ma anche di testa sulle spalle, di professionalità, di senso della squadra, di profondità umana.

E ora sono qui, alla fine di un pezzo piuttosto delirante, a parlarvi di Giovane Per Sempre, ricordate?, la seconda frase di questo pezzo. È uscito infatti in questi giorni il singolo di Simone Tuccio, uno dei ragazzi del Team Mirò, con relativo video. Il brano, non ci fosse stato subito dopo Sanremo quel che c’è stato, il Covid19, il lock down, il mondo della musica imploso, il mondo della musica che non riesce a ripartire, il mondo della musica morto e sepolto, sarebbe dovuto uscire a marzo, insieme agli altri singoli di ragazzi del Team.

Si tratta di una canzone, qui potete ascoltarla e vedere il video, che ha decisamente tutte le caratteristiche per diventare una hit. Ma proprio tutte tutte.

Ha una ottima struttura compositiva, come ho raccontato a Attico Monina ho conosciuto i ragazzi del Team perché ho tenuto uno workshop alla scuola Mirò di Sedriano e quando grandi maestri della nostra canzone sono venuti a trovarci, da Piero Cassano a Alberto Salerno, passando per Carlo Marrale e tanti altri, tutti sono convenuti sulla qualità altissima della loro scrittura, una voce calda e molto ben educata, ha i suoni di oggi, ma non troppo di oggi, di quelli che domani suonerebbero obsoleti.

Per farla breve è una ottima canzone, che mette perfettamente in risalto il talento compositivo e interpretativo di un ragazzo, perché in questo caso la giovane età è fuor di dubbio, che ha talento da vendere e regalare e che, diciamolo, ha anche la faccia giusta per bucare. Siamo sempre persi dietro le ultime hit di gente come Post Malone o Bruno Mars, e ci mancherebbe altro, ma magari provare a vedere se anche da noi ci sono artisti con potenzialità da popstar non sarebbe male. Volendosi concentrare poi sul testo, perché il pop è pop, ma le parole sono le parole, va riconosciuto a Simone Tuccio, autore in solitaria delle liriche di Giovane Per Sempre, mentre musica e producing lo vedono in compagnia di altri due dei ragazzi del Team, Bellitto e Mileven, la capacità di raccontare quella particolare malinconia notturna di chi si sta affacciando alla vita e vorrebbe farlo in compagnia, tra incertezze e crepuscolarità, il ritmo sostenuto a fare da contraltare a una voce che increspa la pelle. Una capacità rara, perché fuoriesce dalle venti parole venti ormai divenute il vocabolario base dei tormentoni estivi, e perché indica un mondo alternativo e decisamente più tangibile e vero a quello stilizzato (male) nei testi della trap.

A breve sarà poi la volta di Crania, con Stomachion, più spostata su un fronte cantautorale, seppur con una venatura altrettanto crepuscolare, quasi dark, poi di Mileven, che a Attico Monina ha regalato il Jingle con la sua In via Fantasia. Questo ovviamente se il famoso meteorite non ci raggiungerà prima, fatto che in questo 2020 non dovrebbe poi stupirci più di tanto.

Del resto, uno che deve scoprire a cinquant’anni suonati che Pimpi non è un coniglio che scappa, ma un maialino gay, e deve scoprirlo perché è così, Pimpi, che si è ritrovato a chiamare colui che pensava fosse un professionista e che nottetempo ha deciso di scappare dal luogo del lavoro per paura, pensa te, di lavorare, non ha davvero più nulla di cui stupirsi.

Stupitevi voi, piuttosto, stupitevi della bravura e del talento di Simone Tuccio, e a seguire degli altri ragazzi del Team Mirò, e lasciate che Giovane Per Sempre diventi parte della vostra vita, non ve ne pentirete.