Matthias & Maxime, Xavier Dolan torna a casa e ritrova il suo cinema

Sulla piattaforma MioCinema arriva l’ultimo film del regista canadese. Che metabolizza il recente flop americano con una storia ambientata nel natìo Québec che ruota intorno ai suoi temi prediletti. Rispetto all’irruenza dei primi film il tono si fa più sommesso

Matthias & Maxime

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Matthias & Maxime è il film del ritorno di Xavier Dolan. Dopo una velocissima corsa, il più vezzeggiato dei nuovi autori contemporanei, con all’attivo a soli trentun anni ben 8 regie dal 2009 a oggi, gira un film che assomiglia a un voluto momento di sospensione. Attraverso il quale medita sul suo cinema, posto sul crinale tra ciò che è stato fino a oggi e quello che potrebbe essere domani.

Nel mezzo c’è stato il doppio scacco di due film meno centrati, in cui Dolan, dando voce a quello che magari avrebbe voluto essere, un grande autore mainstream globale, s’è lanciato prima in una variazione sui suoi argomenti prediletti – amore omosessuale, desiderio, famiglie fratturate – però in salsa parigina e con dispiego di star, da Cotillard a Cassel (È Solo La Fine Del Mondo, 2016); e poi in un film americano, di lavorazione complicata, sul tema molto abusato e autobiografico dell’incubo della fama e del giovane artista sensibile gettato in pasto alla società dello spettacolo (La Mia Vita Con John F. Donovan, 2018).

Il flop globale di quest’ultima opera in particolare, e le prime perplessità d’una critica che fino ad oggi l’ha coccolato oltre misura (ospite fisso del festival di Cannes, dove ha vinto premi importanti, persino ex aequo con Godard), l’ha spinto al ritorno a un recinto tematico ed emotivo a misura della sua sensibilità. Col rischio naturalmente di finire nelle secche di una ripetizione estenuata degli assunti intorno ai quali ruotavano i primi film irruenti e concitati.

Xavier Dolan per Matthias & Maxime, passato nel 2019 a Cannes e ora finalmente disponibile in Italia sulla piattaforma MioCinema, torna a casa, nel suo Québec francofono, per una storia minimale in gran parte chiusa dentro pareti domestiche che ingabbiano sentimenti e desideri. E torna pure, Dolan, al bisogno di essere allo stesso tempo regista e protagonista, ruoli che rispondono a due esigenze diverse dato che, come ha detto una volta, “Quando tu dirigi, ti metti a nudo, ma quando tu reciti, ti metti al mondo”.

La lunga intervista di Dolan con Fabio Ferzetti su MioCinema

Dolan è Maxime, ragazzo d’estrazione sommariamente proletaria, senza padre – i padri non ci sono mai nei suoi film – e con una madre difficile con problemi di dipendenza (Anne Dorval, già in Mommy). È sul punto di lasciare tutto, un lungo viaggio scommessa in Australia per dare finalmente un indirizzo adulto alla sua vita. Il suo amico Matthias, invece, è instradato e perfettamente organizzato: fidanzata, lavoro in uno studio legale ricco di prospettive, crescente insofferenza verso gli amici di sempre che bighellonano a vuoto. Una sera, persa una stupida scommessa, i due sono costretti a recitare una scena nel cortometraggio di un’amica, dal nome cinematograficamente impegnativo, Erika Rivette, e ambizioni esteticamente confuse – vuole fare un film allo stesso tempo espressionista e impressionista.

La scena è quella di un bacio omosessuale tra i due. Non lo vediamo. Ma ne vediamo gli effetti. Perché da quel momento Matthias è sempre più irritabile e disorientato, in famiglia come sul lavoro. Cerca di sfuggire all’amico, per il quale si prepara una festa d’addio. Ma inevitabilmente qualcosa è scattato e il desiderio, una volta messo in moto, deve trovare un modo per manifestarsi.

In Matthias & Maxime c’è tutto il cinema di Dolan, anche stilisticamente. C’è, per riprendere le parole di Stefania Rimini in un puntuale ritratto che gli ha dedicato (in un libro collettivo recentissimo che consigliamo di leggere, Il Cinema Del Nuovo Millennio), “una certa anarchia visuale fatta di lampi, di rime, di una temporalità frammentata e incerta”. Quello che manca è il melodramma bruciante, è l’energia instabile, giovanile verrebbe da dire, che caratterizzava le prime prove anche furenti – pensiamo all’intrattabilità dell’adolescente protagonista del suo film più bello, Mommy.

L’aspetto più interessante di Matthias & Maxime è nella sordina che Dolan applica al racconto, in cui il desiderio non esplode ma sfuma, filtrato in una tonalità sommessa in cui gli spazi claustrofobici degli interni domestici, invece di comprimere le emozioni esasperandole e facendole esplodere, al contrario le consumano fino al punto da essiccarle, senza che siano riuscite a trovare una via per esprimersi.

Un litigio tra Maxime e la madre si conclude con lei che lo colpisce in pieno viso con un telecomando. La cosa pare finire lì, senza ulteriori scenate. Quando però, dopo, lui è sull’autobus, incrocia lo sguardo di un ragazzo e sembra scoccare l’attrazione. A quel punto, dal suo viso scende un rivolo di sangue, che è l’effetto molto ritardato della ferita precedentemente causata.

È come se ci fosse un allentamento della relazione tra le azioni e le loro conseguenze. Il che non rende la sofferenza umana meno dolorosa ma, in questo distanziamento tra causa ed effetto, c’è il rischio che i personaggi non capiscano cosa provano davvero, così da estenuare, fino a dissolverli, i loro sentimenti. Questo succede a Matthias che, letteralmente, non riesce a cogliere qualcosa che è ben chiaro davanti ai suoi occhi, ossia l’attrazione per l’amico. Evidente come l’enorme voglia rossastra sul viso di Maxime (un simbolo un po’ facile).

Per il resto, questa ottava regia mantiene la riconosciuta scioltezza espressiva del suo autore, il linguaggio che mescola camera a mano, scene parlatissime, ralenti, accelerazioni e sospensioni musicali epifaniche (un marchio di fabbrica). Ma c’è anche, nell’impaginazione visiva più meditabonda, una ritrosia che non brucia le emozioni nella plasticità delle scene madri, ma si riserva il tempo per farle maturare e rendere consapevoli. Attraverso un senso dell’attesa che è la ricetta che conduce a un’ipotesi di felicità che, dal cinema di Dolan, non ti aspetteresti.