All Is Lost, un magnetico Robert Redford, uomo solo in mezzo all’oceano

Alle 21 su Iris l'emozionante survival movie di J.C. Chandor. Senza parole e con un solo attore. Così semplice da trasformarsi in un’avvincente metafora sul mistero della vita

All Is Lost

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13 luglio, ore 16:50. Mi spiace. So che a questo punto significa poco. Ma mi dispiace. Ci ho provato, credo siate d’accordo che ci ho provato a essere vero. A essere forte, gentile. Ad amare. Ad essere giusto. Ma non lo sono stato. E so che lo sapevate, ognuno a modo suo. E mi spiace. Tutto è perduto qui, eccetto l’anima e il corpo, o quel che ne resta. E una razione sufficiente per mezza giornata. È davvero imperdonabile, adesso lo so bene. Ce n’è voluto per ammettere che non ero sicuro, ma è così. Ho lottato fino alla fine. Non sono certo ne valesse la pena. So di averlo fatto. Ho sempre sperato il meglio per tutti voi. Mi mancherete. Mi dispiace”.

Una voce fuori campo recita poche enigmatiche parole, mentre tutto ciò che si vede sullo schermo è una sagoma scura, probabilmente una scialuppa, che galleggia su un mare aperto, purissimo e silenzioso, ritratto all’imbrunire. Sono le uniche parole di tutto il film, a parte due secche, frustrate imprecazioni del protagonista senza nome.

Fu una sorpresa l’uscita di All Is Lost Tutto è Perduto nel 2013. L’opera seconda di J.C. Chandor, uno dei migliori registi statunitensi dell’ultima ondata, veniva dopo che il suo autore s’era rivelato con un esordio teso e parlatissimo, Margin Call (2011), uno dei primi racconti a prendere di petto la crisi finanziaria globale, che ottenne una nomination all’Oscar per la sceneggiatura originale.

All Is Lost - Tutto È Perduto
  • Redford Robert (Actor)
  • Audience Rating: G (audience generale)

Nel suo secondo film Chandor ribalta le aspettative e costruisce un film teso ma come svuotato. Senza dialoghi, premesse, privo di una storia e un personaggio dalle motivazioni riconoscibili. “A 1.700 miglia marine dallo stretto di Sumatra”, come dice la didascalia d’apertura, quindi nel mezzo dell’oceano Indiano, c’è un uomo solo posto di fronte alla sfida della sopravvivenza. Quell’uomo è Robert Redford, nell’ultimo ruolo davvero incisivo della sua carriera, che l’attore interpreta nel vigore pacato dei settant’anni con la sottigliezza del suo sottovalutato stile recitativo, senza fronzoli, concreto e antipsicologistico.

Mentre il protagonista s’è appisolato, la sua imbarcazione a vela viene speronata da un container, caduto da una di quelle gigantesche navi merci che solcano gli oceani. Si apre una falla nella stiva, lentamente si riempie d’acqua. La radio è fuori uso. Senza farsi prendere dal panico l’uomo cerca di aggiustare il guasto. Poco a poco l’impresa gli si rivela impossibile. È costretto a riparare sulla scialuppa di salvataggio, portando con sé poche cose indispensabili, cibo, acqua, carte nautiche, un sestante.

Il protagonista e il regista Chandor sul set

All Is Lost è tutto qui. Perché quando ogni cosa è perduta, resta soltanto l’uomo di fronte a sé stesso e alla muta presenza di una natura maestosa e indifferente. Anche il racconto ammutolisce, ridotto a una sequenza di gesti funzionali, senza impennate e colpi di scena. Siamo più o meno dalle parti de Il Vecchio E Il Mare di Hemingway, ovviamente. Ma senza il confronto melodrammatico col marlin e i pensieri a voce alta dell’anziano pescatore Santiago che troppo esplicitano la metafora sottesa al racconto.

Qui invece parlano i fatti, nella cronaca di una vita ridotta alla nudità della sopravvivenza. È bravo Chandor a non indugiare sui primi piani del protagonista, a non cercare mai l’effetto che faccia scattare nel pubblico un’epidermica adesione emotiva. Non c’è un vissuto personale, un passato, un trauma cui lo spettatore possa appigliarsi per identificarsi – come accade per esempio in un film per certi versi simile, Gravity di Alfonso Cuarón, nel quale il difetto è nell’enfasi della vicenda della protagonista Sandra Bullock persa nella spazio, di cui sappiamo sempre troppo e troppo chiaramente.

All Is Lost è un racconto fisico e asentimentale. Tutto ciò che vediamo sono i gesti sempre più spossati di un uomo alla deriva, e proprio l’assoluta concretezza della narrazione riesce a sollevarsi sino all’astrazione. Rivelando, nell’angosciante vuoto e nel silenzio in cui la figurina umana è immersa, i grandi interrogativi sul senso della vita, che emergono non appena manca il brusio del mondo a distrarci. Il sottofondo simbolico della vicenda – con le grandi domande filosofiche ed esistenziali, “Cos’è la vita?”, “Chi sono?” – non ha bisogno di essere dichiarato didascalicamente, viene a galla naturalmente dai fatti.

Chandor evita anche la prevedibile parabola mistica ed ecologica. L’oceano è un fondale sempre uguale a sé stesso, imponente ma neutro, oggettivo, che non fa scattare nel protagonista alcuna riflessione ispirata sulla “straziante bellezza del creato”, Dio e l’eterno. Il racconto resta ancorato alla misura di un uomo che compie il possibile per non soccombere. Misura, purtroppo per lui, inadeguata al contesto, che non pare consentirgli di uscirne vivo.

Il film regala a Redford l’occasione di un’interpretazione precisa, materica e sommessamente virile. Che mette perfettamente in luce come, attraverso i tanti ruoli della sua carriera, l’attore abbia costruito un personaggio caratterizzato da una mascolinità insieme classica e contemporanea. Allo stesso tempo uomo della modernità, cittadino e metropolitano, ma dotato d’una vigoria, coraggio, spirito d’avventura che rimandano ai valori fondativi di un paese cresciuto nel mito della frontiera. Anche quella di All Is Lost è una frontiera, fisica e ideale, che mette alla prova le qualità di quel quintessenziale uomo americano che è Robert Redford.