Addio a Max von Sydow, uno dei grandi attori europei del Novecento, tra Bergman e cinema popolare

Muore a novant'anni l'attore svedese, diventato celebre nei film di Ingmar Bergman, che lasciò una forte impronta anche nel cinema europeo e americano. Innumerevoli i ruoli iconici, da "Il Settimo Sigillo" a "L'Esorcista"

Max von Sydow

INTERAZIONI: 775

È morto Max von Sydow, aveva 90 anni, ad annunciarlo la moglie Catherine, attraverso il suo agente: “Con infinita tristezza e profondo dolore vi annunciamo la scomparsa di Max von Sydow”. Scompare con lui un attore simbolo del Novecento, nato nel 1929, un interprete di formazione teatrale che aveva studiato al Royal Theater Dramatic di Stoccolma, il quale quasi subito, dopo l’esordio al cinema in Solo Una Madre (1949) di Alf Sjöberg, trovò nell’incontro col cinema di Ingmar Bergman la sua dimensione.

I suoi tratti somatici, alto, ieratico, con una voce profonda, insieme alla recitazione elegante ed austera lo rendono l’attore ideale per rappresentare i dilemmi e i travagli dell’uomo contemporaneo di cui Bergman, col suo cinema in particolare degli anni Cinquanta e Sessanta, stava tratteggiando il nuovo profilo. Il primo film con il maestro svedese è quello che lo rende subito iconico, Il Settimo Sigillo (1957), in cu Max von Sydow è Antonius Block, il severo cavaliere che gioca la partita a scacchi con la morte, la più celebre delle metafore esistenziali del cinema di Bergman.

La celebre partita a scacchi con la Morte de Il Settimo Sigillo di Bergman

Max von Sydow è in diversi tra i film del regista di quegli anni. Capace di vestire i panni in costume di Vogler, l’illusionista al centro de Il Volto (1958), riflessione sull’arte come trucco e il suo rapporto con il potere, o de La Fontana Della Vergine (1960), di ambientazione medievale, in cui è un padre che uccidere i pastori che hanno violentato la figlia; e poi di passare ai personaggi borghesi di Come In Uno Specchio (1961), dramma da camera sull’incomprensione, il male di vivere, il bisogno di Dio, e Luci D’Inverno (1963), cupa riflessione sull’impossibilità di trovarlo un Dio, in cui von Sydow è un individuo per il quale l’arrivo di un nuovo figlio diventa un peso insostenibile, perché è ossessionato dalla bomba atomica e dall’insensatezza della vita contemporanea.

Sul set de L’Ora Del Lupo, insieme a Liv Ullman e Ingmar Bergman

Rispetto agli altri componenti del gruppo di attori bergmaniani, da Ingrid Thulin a Bibi Andersson, da Liv Ullman a Gunnar Björstrand, Max von Sydow è stato quello maggiormente capace, anche per la natura così tipizzata ed “esportabile” della sua figura, di accedere a un cinema diverso, europeo e soprattutto americano. Di qui una filmografia ricchissima di titoli, eterogenea e anche discontinua. Anche nelle opere più modeste, ci sono anche cinefumetti come Flash Gordon, ha sempre saputo, lasciare il segno della sua presenza circonfusa di grandezza. È stato Gesù ne La Più Grande Storia Mai Raccontata (1965) di George Stevens, all’esordio nel cinema americano, forse uno dei punti più bassi della sua carriera e il prete che cerca di evangelizzare gli indigeni di Hawaii (1966). Dopo una nuova parentesi svedese con Bergman – L’Ora Del Lupo, La Vergogna, Passione, L’Adultera – ottiene un successo planetario con un altro sacerdote, quello de L’Esorcista (1973), il film che ha cambiato la storia del cinema horror, ottenendo anche 10 nomination all’Oscar.

Max von Sydow ne L’Esorcista di William Friedkin

Da allora, e senza soluzione di continuità Max von Sydow è stato un interprete richiestissimo, anche in Italia, dove fu in Cuore Di Cane di Lattuada, Cadaveri Eccellenti di Francesco Rosi, Il Deserto Dei Tartari di Zurlini. Impossibile davvero enumerare tutti i titoli: ricordiamo il killer europeo del thriller I Tre Giorni Del Condor (1975) di Sydney Pollack, in cui nel confronto con Robert Redford von Sydow costruisce un personaggio criminale che invece di essere repulsivo è elegante e seducente, quasi cavalleresco; oppure, in un cinema più smaccatamente popolare, il nazista con il senso dell’onore di Fuga Per La Vittoria, divertissement calcistico-bellico di John Huston con una parata di stelle, da Stallone a Michael Caine a Pelé, o il re Osric (mai meno che regnanti e generali nella sua carriera!) nel fantasy con ambizioni Conan Il Barbaro (1982) di John Milius, stavolta accanto a Schwarzenegger.

I Tre Giorni Del Condor, uno dei ruoli più affascinanti di Max von Sydow

La carriera di Max von Sydow continuerà lungo la medesima logica, tra film d’autore e cinema più apertamente spettacolare, in cui la sua sola presenza costituisce un tratto nobilitante. È più che naturale che lo voglia con sé Woody Allen, innamorato del cinema di Bergman, in uno dei suoi film seri più belli, Hannah E Le Sue Sorelle (1987), in cui c’è più Cechov che Bergman. Nello stesso anno Pelle Alla Conquista Del Mondo, di Bille August, nel ruolo di un anziano vedovo che emigra in Danimarca sul finire dell’Ottocento, gli fa guadagnare la prima sua nomination all’Oscar come migliore attore. Otterrà solo un’altra candidatura, il che è abbastanza scandaloso, molti anni dopo, come non protagonista in Molto Forte, Incredibilmente vicino (2011), ma non riuscì neanche allora ad ottenere la statuetta.

Pelle Alla Conquista Del Mondo, la prima nomination all’Oscar di von Sydow

In quel lasso di tempo ha lavorato anche con Wim Wenders (l’affascinante, sbilenco Fino Alla Fine Del Mondo, 1991), Dario Argento, che memore dell’Esorcista lo volle per il suo thriller pauroso Nonhosonno (2001), Steven Spielberg per Minority Report (2002), Martin Scorsese in Shutter Island (2010). In chiusura di carriera, a testimoniare la statura ormai iconica, è stato anche nella saga di Guerre Stellari, col personaggio di Lor San Tekka in Star Wars: Il Risveglio Della Forza (2015) e, nel 2016, nella serie che ha riscritto il fantasy contemporaneo Game of Thrones, interpretando il ruolo del Corvo dai tre occhi, per il quale ricevette una nomination agli Emmy.