Detroit Become Human Recensione, il miglior gioco di Quantic Dream e David Cage

Quantic Dream e David Cage firmano un'esperienza indimenticabile in chiave futuristica. La nostra recensione di Detroit Become Human, una parabola delicata e oscura sul futuro dell'umanità in cui l'esito è nelle mani del giocatore.


INTERAZIONI: 62

Con le sue intramontabili e pioneristiche opere letterarie, Isaac Asimov ci insegnò le regole che normalizzano l’etica dei robot; Blade Runner, a sua volta un precursore del moderno cinema di fantascienza, ci ha mostrato cosa accadrebbe se umani e macchine interagissero tra loro. Detroit Become Human, invece, ci insegna cosa significa provare emozioni, e lo fa mettendoci nei panni di tre Androidi. Il nuovo gioco di David Cage e Quantic Dream è disponibile da poco in esclusiva PlayStation 4: si tratta del quinto gioco della software house francese in circa un ventennio di attività: dopo l’esordio con Omikron, l’esperimento Fahrenheit, l’acclamato Heavy Rain e il controverso Beyond Due Anime, Become Human rappresenta per certi versi la summa narrativa e stilistica ad opera del game director e sceneggiatore, un viaggio intricato e contorto in una narrazione dal forte impatto.

Io, Robot

Il 2038 non è poi così lontano, eppure Cage lo immagina come se fosse ancora negli anni Ottanta, guardando dalla prospettiva del Blade Runner o il Back to the Future di turno. In una Detroit futuristica, l’uomo ha imparato a convivere con le macchine: la Cyberlife, multinazionale che si occupa della costruzione di Androidi, ha contribuito a inserire le macchine nella quotidianità degli individui. Ogni cittadino ha il proprio robot personale, che lo aiuta a sbrigare tutte le mansioni che la quotidianità ci mette davanti, dall’uso domestico all’impiego nel settore terziario; ciò ha creato anche un clima fortemente ostile da parte di un segmento della popolazione, che vede gli Androidi come una minaccia alla stabilità dell’uomo poiché paventano di sostituirlo nel mondo del lavoro. In questo contesto entrano in gioco una serie di fattori etici e morali: può un Androide provare emozioni, se è stato costruito a immagine e somiglianza dell’uomo? E se sì, fino a che punto è in grado di provare inibizione o pudore? Può distinguere la differenza tra bene e male, è in grado di prendere decisioni drastiche?

La cosiddetta “Devianza”, il momento cioè in cui un robot rompe gli schemi degli algoritmi che regolano la sua programmazione e inizia a provare concretamente sentimenti ed emozioni, segna il passaggio da un’esistenza di asservimento al più totale e libero arbitrio. La narrazione di Cage cerca di rispondere a queste domande e lo fa tramite le azioni e le scelte che compie il giocatore: Detroit Become Human segue la storia di tre Androidi – Kara, Connor e Markus – che vivono vite apparentemente diverse ma le cui vicende sono destinate a intrecciarsi. Kara, dopo un episodio di violenza, viene riacquistata da Todd, un uomo divorziato dall’indole pericolosa che vive con sua figlia Alice; Markus, invece, vive con Carl, un anziano pittore disabile a cui fa da badante; Connor è uno speciale modello votato a collaborare con le forze dell’ordine per catturare gli Androidi devianti. Nell’arco della storia, i tre protagonisti si ritrovano a vivere una serie di vicende che li porta ad esplorare i meccanismi e i segreti della Devianza: la scelta finale sulle azioni da compiere, i bivi da percorrere, insomma sulla storia da vivere, spetta solo ed esclusivamente al giocatore, al quale viene lasciata una discreta varietà di approccio nei confronti di personaggi e situazioni.

Diventare Umani

Detroit Become Human è una declinazione a se stante del genere delle avventure grafiche, che trova nella poetica di David Cage – oltre che una scrittura contorta e intricata – una ragion d’essere nella pluralità di scelte a disposizione. Non sempre i bivi morali cui si viene messi di fronte portano a una varietà reale di possibilità, ma in generale gli approcci diversi in ogni storyline giocabile non sono mai stati così numerosi. Alla fine di ogni livello, infatti, un particolare diagramma mostra al giocatore tutte le scelte prese nel corso dell’ultima parte, facendogli anche notare i percorsi che non ha esplorato a causa del proprio modo di giocare. Si scoprirà, man mano, che le possibilità sono davvero numerose e che – intervenendo a favore della rigiocabilità del titolo – esplorare nuovi scenari e possibilità che prima non si aveva preso in considerazione può diventare una scoperta. Il prologo di Detroit Become Human è probabilmente quanto di più esaustivo possa esistere in tal senso: Connor si aggira per un appartamento devastato, analizzando la scena del crimine e raccogliendo indizi che possano aiutarlo a capire cosa è successo e a ricostruire virtualmente l’accaduto.

Ogni elemento conta, ogni indizio è prezioso e contribuisce ad aumentare la percentuale di riuscita della propria missione: ma, contemporaneamente, il tempo passa e il sospetto – un Androide deviante, che ha sterminato la propria famiglia e preso in ostaggio una bambina solo perché aveva scoperto che sarebbe stato sostituito con un modello più aggiornato – diventa sempre più instabile. Raccolti tutti gli indizi a disposizione, a Connor non resta che tentare di convincere il Deviante e salvare la bambina. Non importa l’approccio, non importa se si racconta la verità né il modo in cui si risponde: conta soltanto la missione, salvare la piccola. A seconda delle azioni compiute, Connor andrà incontro a un esito diverso: tutto quando appena descritto va applicato a un discreto numero di altre situazioni, livelli, storyline. Detroit Become Human è il lavoro più ambizioso di David Cage in tal senso, ma probabilmente anche l’esperienza meglio riuscita in termini narrativi e artistici.

Il significato delle Emozioni

Nonostante l’ambientazione e il contesto, e nonostante attinga pienamente da alcuni capisaldi della fantascienza cinematografica e letteraria, Detroit Become Human “vola basso” e sceglie di raccontare una storia profondamente intima, toccante e terribile al tempo stesso: non ci sono le esagerazioni esoteriche di Fahrenheit, non c’è spazio per le incoerenze di Heavy Rain o le contraddizioni di Beyond. La penna di Cage riesce a tratteggiare una narrazione quanto mai lineare e diretta, che senza troppi fronzoli racconta la propria storia con coerenza e raffinatezza, senza risparmiarsi di riservare al giocatore una serie di colpi estetici dal grandissimo impatto visivo, ai limiti di un blockbuster cinematografico per intensità e potenza dell’azione. Emblematica, in tal senso, la scena della “rinascita” di Markus, destinato a diventare il leader della ribellione Androide; sia chiaro, Detroit Become Human non ha una scrittura perfetta e in più di un’occasione scade in alcune soluzioni narrative facilmente prevedibili. Nulla, in ogni caso, che faccia calare davvero la qualità del racconto e che, in fondo, si basa a sua volta su elementi che contribuiscono a regalare il dovuto pathos alla storia che si ha scelto di intraprendere.

Detroit Become Human è anche un vero e proprio prodigio tecnico: il comparto visivo del gioco raggiunge vette mai viste su PlayStation 4, lasciando intravedere in più frangenti – dall’illuminazione alla regia, passando ovviamente per la qualità immensa del motion capture applicato ad attori in carne ed ossa per dar vita ai personaggi – degli spiragli di next gen, elementi e dettagli che dovrebbero elevarsi a standard produttivi sulla futura (ma ormai imminente) PlayStation 5. L’estetica di Detroit si sposa benissimo anche con la direzione artistica, meravigliosa e potente in ogni momento dell’esperienza: si noti, ad esempio, come la colonna sonora sia perfettamente scriptata a seconda delle azioni che compie il giocatore, come la scena della fuga di Kara e Alice dalle grinfie del padre violento, in cui l’arrangiamento sonoro segue di pari passo i movimenti effettuati dal giocatore.

Conclusioni

Detroit Become Human è il gioco migliore di David Cage e Quantic Dream. Accantonate le perplessità, soprattutto narrative, dei suoi precedenti lavori, questa volta lo sceneggiatore ci regala una narrazione intima, toccante e diversa dal solito. L’epopea di Kara, Markus e Connor è un viaggio nelle emozioni attraverso gli occhi di chi emozioni non dovrebbe provarne, ma il cui esito è lasciato interamente all’arbitrio del giocatore. Mai come prima d’ora Quantic Dream confeziona un prodotto dedito interamente alla libertà d’azione e riesce ad amalgamare perfettamente un immaginario convincente con una pluralità di situazioni alternative che potranno essere vissute ripercorrendo gli appositi diagrammi in ogni livello. Detroit Become Human non è una storia perfetta, ma riesce esattamente nel suo intento, ovvero a regalare una narrazione profonda e d’impatto arricchita da un comparto tecnico e artistico semplicemente prodigioso.

Pro

Contro

VOTO FINALE: 8.5/10