Sieranevada, come sembrano italiane queste famiglie rumene (recensione)

Cristi Puiu racconta una riunione tra parenti per commemorare il padre scomparso. Pur raffreddato da uno stile cerebrale, il film ricorda una commedia all’italiana, con un mix di dramma e sarcasmo che parla dell’oggi e del passato che non passa di un paese dalla storia difficile.

Sieranevada, il nuovo cinema rumeno di Cristi Puiu

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La depressa programmazione cinematografica estiva riserva sorpresa, e in assenza di titoli hollywoodiani trova spazio qualche film d’autore che attende da mesi in soffitta. Come Sieranevada di Cristi Puiu, adesso uscito e passato in concorso addirittura a Cannes 2016.

Cristi Puiu ha rivelato l’esistenza di un nuovo cinema rumeno con La morte del signor Lazarescu (2005). Un’opera cupa, sarcastica sul calvario d’un uomo sballottato da un ospedale all’altro, che racconta la contemporaneità e in filigrana il peso della storia della dittatura di Ceaușescu che ha reso la Romania quella che è oggi. Una via perseguita anche da altri autori – Cristian Mungiu, Corneliu Porumboiu, Călin Peter Netzer – che hanno dato vita a un cinema nel quale le narrazioni di vicende individuali si trasformano in riflessioni storico-politiche su un paese in bilico tra passato e presente, in perenne transizione, nel quale i microcosmi raccontati s’intrecciano al macrocosmo che fa loro da sfondo.

Il microcosmo familiare di Sieranevada – parola priva di significato che il regista ha scelto per mantenere ovunque lo stesso titolo – è fatto della stessa pasta e svela l’ambizione di Cristi Puiu di comporre un affresco sulla Romania attuale, nonostante fattezze apparentemente dimesse e minimali. È un film che chiede pazienza, con le sue quasi tre ore di durata e lo stile scostante ma non esibito di piani sequenza compressi nello spazio d’un piccolo appartamento affollato di personaggi. La famiglia si riunisce per la commemorazione funebre, a quaranta giorni dalla morte, del proprio patriarca, con una cerimonia che prevede l’intervento del pope, lungamente atteso, e un pranzo collettivo continuamente procrastinato.

Tra i familiari succede di tutto e la pentola a pressione delle recriminazioni esplode continuamente. Ma Sieranevada è più di una riunione di parenti serpenti da commedia all’italiana, sebbene i toni tra dramma e sarcasmo (e le canzoni, da De André a Maledetta primavera!) facciano pensare alle nostre commedie – in versione più severa e meno divertente – e inequivocabilmente latina risulti questa famiglia con madri anziane ingombranti, figli insofferenti e il cibo a fare da collante – “Ci rilasseremo quando saremo tutti a stomaco pieno”, dice saggiamente qualcuno.

Il racconto di Sieranevada però, seppur chiuso quasi sempre negli angusti confini dell’appartamento, offre uno spaccato sociale multiforme: le schermaglie tra una nipote e una vecchia zia d’incrollabile fede comunista, le teorie cospirazioniste di un figlio sull’11 settembre, il figlio maggiore Lary che ha abbandonato la professione di medico, evidentemente vittima della crisi. Ogni personaggio reca con sé lagnanze, delusioni, rabbie che riflettono una condizione più generale e di lunga durata. La stessa cerimonia di commemorazione riannoda il presente a un passato al quale i personaggi sembrano inchiodati; e la lettura metaforica è ancora più evidente nel passaggio più singolare del rituale, che impone a uno dei familiari di indossare un vestito del defunto e impersonarlo.

La temperatura di Sieranevada poco a poco sale, con scene madri emotivamente coinvolgenti: la sorella della vedova rinfaccia al marito i tradimenti con donne sessualmente più disponibili, Lary confessa commosso alla moglie la natura del suo rapporto col padre scomparso. Ma nessun passaggio è risolutivo, né ristabilisce un equilibrio. Le sequenze rimangono schegge registrate in tempo reale d’una storia familiare e collettiva, che resta senza sbocchi o risposte tranquillizzanti. Ci si può solo, tra riso e pianto, ritrovarsi intorno al tavolo e, finalmente, pranzare.