Cinquanta sfumature di nero non è un film, ma il nuovo episodio d’una serie tv

Questo non è il sequel di "Cinquanta sfumature di grigio". Assomiglia più alla nuova puntata d'una serie tv. Un film senza cinema. Che però non funziona nemmeno in ottica televisiva.

Cinquanta sfumature di nero non è un film

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Cinquanta sfumature di nero non è un film. Non è il sequel di Cinquanta sfumature di grigio: è la seconda puntata della prima stagione della serie tv Cinquanta sfumature. Per recensirlo ci vorrebbe un critico televisivo, non cinematografico.

Cinquanta sfumature di nero compie un passo ulteriore verso la trasformazione del cinema in meccanismo totalmente seriale. Siamo tutti abituati ai franchise modello Marvel, in cui ogni film sviluppa anche delle sottotrame indispensabili per rilanciare la vicenda verso gli episodi successivi. Ma quei film, presi singolarmente, raccontano comunque una storia con un inizio e una fine – e, allo stesso tempo, fanno altro.

In Cinquanta sfumature di nero, invece, la storia narrata non ha nessuna autonomia. Non ha inizio: parte esattamente dal punto in cui era terminato il primo episodio, senza neanche un riassunto a uso di potenziali nuovi spettatori. E non c’è finale: il film si tronca una volta creata la suspense che rilancia alla puntata successiva.

Cadenze del racconto, dosaggio dei colpi di scena, relazioni tra personaggi vecchi e nuovi: la storia segue una logica narrativa seriale, guardando più a Shonda Rhimes – molto più brava nel registro drammatico-sentimentale – che al cinema. Infatti il regista di Cinquanta sfumature di nero è James Foley, passato al cinema (A distanza ravvicinata, Americani) e presente nelle serie tv (House of Cards).

Cinquanta sfumature di nero non è un film, ma non funziona nemmeno come puntata di serie tv. Un episodio di raccordo noioso, con colpi di scena fiacchi, preoccupato solo di ridefinire i tratti dei vecchi personaggi e introdurre i nuovi, traghettandoli verso il gran finale.

Il film ammorbidisce l’impianto di Cinquanta sfumature di grigio. Da storia torbida (si fa per dire) su erotismo e sadomasochismo, si passa a una più tradizionale storia d’amore. Il tenebroso Christian Gray (l’immoto Jamie Dornan), infatti, ha capito che non può fare a meno della virginale Anastasia Steele (Dakota Johnson), e si trasforma in un cucciolone. Certo, l’esordio della sua dichiarazione d’amore non è dei più entusiasmanti: “Vorrei rinegoziare i termini”. Ma le intenzioni sono buone, perché Christian il famoso contratto su quel che si può fare e non fare in camera da letto lo vuole strappare. E abbandonarsi alla “relazione alla vaniglia” che sogna la romantica Anastasia.

C’è pero spazio per la trasgressione, marchio di fabbrica del brand: in fondo ad Anastasia qualche brivido non dispiace. Ma il sesso di Cinquanta sfumature di nero è privo sia di vera eccitazione che di vero turbamento. Fasullo, patinatissimo, sbucato fuori direttamente da un film anni Ottanta. C’è pure l’icona sessuale dell’epoca, la Kim Basinger di 9 settimane e 1/2, qui mefistofelica ex amante che iniziò il giovane Christian ai piaceri proibiti e che adesso cerca di strapparlo alle grinfie alla melassa di Anastasia. A movimentare il racconto arrivano i cattivi: una stalker ex sottomessa di Christian, il datore di lavoro di Anastasia che le fa proposte indecenti. Introdotti i nuovi personaggi l’episodio ha assolto alla sua funzione, e finisce. A quel punto ho spento la televisione. O sono uscito dal cinema?