Agnus Dei, in un convento gli orrori della guerra e il miracolo della vita

Il film narra una pagina scabrosa della Seconda guerra mondiale, gli stupri ai danni di suore polacche commessi dall'Armata rossa. Un racconto toccante e misurato, soffuso di un profondo senso di umanità.

Agnus Dei

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Dopo il successo di Ida di Paweł Pawlikowski, premio Oscar 2015, la Good Films distribuisce nei cinema italiani Agnus Dei. Il film in realtà è polacco solo in parte, diretto dalla francese Anne Fontaine (Gemma Bovery) e prodotto con capitali soprattutto transalpini.

Come Ida, Agnus Dei ruota intorno alle cicatrici lasciate dalla Seconda guerra mondiale, ispirato alla vera storia di Madeleine Pauliac, giovane medico volontaria della Croce Rossa francese, che nella Polonia del 1945 aveva come missione cura e rimpatrio dei soldati e degli ex prigionieri di guerra transalpini.

Nel dicembre del 1945 una suora polacca chiede aiuto al medico francese Mathilde (Lou de Laâge), che interviene contravvenendo al regolamento. Inoltrandosi nel convento capisce il perché della richiesta pressante: una religiosa sta per partorire. Non è l’unica perché diverse tra loro, questa l’angosciante scoperta, sono state violentate dai militari dell’Armata rossa sovietica. La madre badessa (Agata Kulesza, già in Ida) vuole mantenere il più stretto riserbo sulla vicenda, ma con l’aiuto di suor Maria (Agata Buzek) il medico conquista la fiducia delle sorelle. Ciò che Mathilde non sa, e con lei gli spettatori, è a chi la madre badessa affidi i neonati dopo il parto.

Le atrocità commesse dagli eserciti di occupazione costituiscono un tema purtroppo noto (il riferimento italiano più noto resta ovviamente La ciociara). Perciò, Anne Fontaine e lo sceneggiatore Pascal Bonitzer in Agnus Dei più che sull’atto d’accusa – comunque sottolineato – connesso alla scioccante verità, costruiscono un racconto toccante che entra tra le pieghe delle scelte individuali e del confronto tra soggetti dalle storie personali così diverse.

Mathilde è una scienziata, per giunta comunista. Ma in Agnus Dei il suo rapporto con le religiose è all’insegna d’una curiosità soffusa d’un profondo senso di umanità. Il mondo del convento, ritmato da preghiere, canti liturgici, anche momenti di leggerezza conviviale, contiene un nucleo di estremo fascino per la laica Mathilde. La quale scopre come ogni suora sia diversa dall’altra: chi sembra accettare quasi con letizia la condizione di partoriente, chi invece lo vive come un peccato da espiare. Persino nel segreto del chiostro la vita è attraversata da incertezze (“ventiquattro ore di dubbio per un minuto di speranza“, rivela Maria a Mathilde). Turbamenti che appartengono anche alla madre badessa, che per mantenere l’unità del convento in un frangente straordinario compie delle scelte estreme e inflessibili, di cui da religiosa è perfettamente conscia di dover rispondere davanti a Dio.

Agnus Dei evita l’esercizio di stile, resta radicato alle ragioni della vicenda e dei personaggi, offrendo il ritratto d’un contesto sfaccettato (come nel personaggio del medico ebreo che ha avuto la famiglia sterminata a Bergen-Belsen, il quale aiuta le suore sebbene nutra odio verso il paese che non ha impedito i massacri del ghetto di Varsavia). Ne risulta un film doloroso e composto, un racconto dal punto di vista delle vittime trattenuto e senza impennate melodrammatiche. Che nel finale lascia spazio alla speranza.