Un amore all’altezza: troppo garbato il film sulla diversità con Jean Dujardin

Laurent Tirard racconta l’innamoramento tra una bellissima donna e un uomo di statura decisamente sotto la media. Resisterà la loro storia alle regole non scritte della società? Vorrebbe essere una commedia anticonformista. Ma è politicamente corretta e consolatoria.

Un amore all'altezza

INTERAZIONI: 40

Con Un amore all’altezza (Un homme à la hauteur, 2016), remake dell’argentino Corazón de León di Marcos Carnevale, il regista Laurent Tirard, specializzato in adattamenti fumettistici (la serie del Piccolo Nicolas, Asterix & Obelix al servizio di Sua Maestà), cambia genera e racconta l’amore tra una bellissima donna e un affascinante uomo alto 1 metro e 36. Non conosco l’originale: Tirard assicura che tendesse al lacrimevole, mentre lui, approfittando della faccia da schiaffi di Jean Dujardin, punta decisamente sulla commedia.

Diane (Virginie Efira) è un brillante avvocato, che condivide lo studio con l’ex marito possessivo. Un giorno incontra Alexandre, affermato architetto ma di statura decisamente sotto la media: sboccerà l’amore? Un amore all’altezza ripete la formula di successo delle commedie francesi incentrate sull’handicap, Quasi amici (buono) o La famiglia Bélier (melenso). E non era male l’idea di affrontare un tabu come l’amore tra “diversi” in una cultura che, pur parlando tanto di diversità, su certe questioni glissa elegantemente.

Purtroppo non siamo dalle parti dei fratelli Farrelly, che puntano sul politicamente scorretto e, nei loro film migliori, fanno esplodere le contraddizioni dei modelli sociali attraverso un tono programmaticamente sgradevole. Laurent Tirard invece sceglie la strada d’una commedia garbata, con un ritmo che oscilla tra sit-com (lo studio di Diane, dove nessuno lavora e si passa il tempo a far pettegolezzi scemi) e canonica rom-com, dove tutto ruota intorno all’amore e la messinscena della realtà è la più edulcorata possibile.

Giusto affidarsi al dispositivo della commedia, che si accorda con lo stile di Alexandre, che impiega l’arma dell’ironia per minimizzare il disagio proprio e altrui. Il problema è che la comicità di Un amore all’altezza non tematizza l’handicap, ma lo aggira. La maggior parte delle gag nascono dalle reazioni degli altri personaggi, come la madre di Diane che, saputo dell’innamoramento della figlia, imbocca con l’auto la strada contromano, o la gelosia dell’ex marito che vive questo rapporto come una minaccia alla sua virilità. Non si ride coraggiosamente della cosa in sé, ma delle piccinerie altrui.

Che è un po’ quello che succedeva nel famoso episodio di Guglielmo il dentone con Sordi, in cui il complessato non era lui, del tutto ignaro del suo difetto fisico, ma gli altri perennemente imbarazzati. Ma Sordi era così sicuro di sé da rendere la situazione grottesca. Mentre in Un amore all’altezza, dietro la comicità, fa capolino un fastidioso versante dolciastro, che banalizza tutto.

Quindi da un lato c’è la commedia buonista, che punta su risatine inoffensive. Ma dall’altro, se bisogna parlare davvero dell’handicap, allora ci si ricompone in un tono più serioso, un po’ lacrimevole (lui che confessa le sue comprensibili sofferenze) e molto romantico. Per cui la vera domanda diventa quella che Alexandre pone ripetutamente a Diane: “Posso continuare a credere a questa storia?”. Ma se la mettiamo su questo piano, come si sa, la prima regola del film romantico è che l’amore vince sempre su tutto. Così invece d’una commedia intelligente sul tema della diversità, Un amore all’altezza imbastisce una storiella dal lieto fine ipocritamente consolatorio.