Un sapore di ruggine e ossa: stasera in tv un’intensa Marion Cotillard

Alle 21.15 su Rai Movie c’è il film più popolare di Jacques Audiard. La storia di un incontro tra due anime ferite, con un tono personale, a metà tra freddezza e coinvolgimento emotivo. Un po’ melò, un po’ love story, è l’opera singolare del più singolare dei registi francesi.

Un sapore di ruggine e ossa con Marion Cotillard

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Un sapore di ruggine e ossa (2012) è se non il più bello certamente il più popolare film di Jacques Audiard, anche per la presenza di una diva internazionale come Marion Cotillard. Protagonista qui in un ruolo che – in verità assai parzialmente – ne offusca la bellezza, Stéphanie, addestratrice di orche che in un incidente sul lavoro perde entrambe le gambe. La sua vicenda incrocia quella di Alain (Matthias Schoenaerts), giovane spiantato con figlio di cinque anni a carico che si trasferisce nel sud della Francia, dove vive la sorella, per cercare di fare fortuna come buttafuori, guardia notturna, lottatore in incontri clandestini.

La condizione di Stéphanie non lo imbarazza né muove a pietà: tra i due si struttura un’amicizia quasi disillusa, che si mescola al lavoro (lei gli fa da manager per i combattimenti) e al sesso, vissuto da Alain con disinvoltura persino imbarazzante (basta che lei gli mandi un sms col testo “opé”, operativo, e lui arriva). La loro complicità pare fondarsi, misteriosamente, su una forma di freddezza e distanza, che porta entrambi a non esporsi oltre una certa soglia. Ma è un equilibrio sottile che rischia facilmente di spezzarsi.

Audiard con Un sapore di ruggine e ossa, tratto da una raccolta di racconti di Craig Davidson, si conferma un regista dallo stile singolare, fatto apposta per spiazzare. Spesso i suoi film partono da un genere (il prison movie de Il profeta, il noir e la crime story di Sulle mie labbra e Tutti i battiti del mio cuore) per innestarvi sopra un discorso personale su personaggi in difficoltà, che recano con loro un grumo di ragioni ed emozioni fortissime ma quasi sempre molto trattenute, che filtrano appena attraverso un racconto anch’esso dalle cadenze poco sentimentali.

In Un sapore di ruggine e ossa a prima vista di affetti paiono essercene pochi: sebbene la macchina da presa riprenda spesso a distanza millimetrica volti, corpi e atteggiamenti dei due protagonisti, all’evidenza della loro presenza fisica non corrisponde quella dei reciproci sentimenti. E lo stile cinematografico di Audiard si adatta alla vicenda, con un riserbo di sbrigativa anaffettività – d’altronde anche col figlio e la sorella Alain non manifesta particolari tenerezze.

Un sapore di ruggine e ossa è una mescolanza tra melodramma raffreddato e love story, imperniata su due individui feriti dalla vita – letteralmente, fisicamente –, che trovano per vie tortuose un nuovo modo per stare al mondo. Questa storia in altre mani rischierebbe di diventare patetica e ricattatoria: invece Audiard punta su un tono abbastanza laconico che rispetta il carattere dei personaggi e non li getta in pasto allo spettatore, neanche quando fa vedere senza eufemismi i moncherini di Stéphanie, in inquadrature che non hanno nulla di voyeristico ma che semplicemente mostrano la realtà per quella che è, senza compiacimenti né compatimento.

Questo perché sono i due protagonisti a non cercare compassione. Curiosamente, Un sapore di ruggine e ossa fa pensare a un altro amatissimo film francese, Quasi amici: diversissimo ovviamente, una commedia brillante che però parte dalla stessa prospettiva, un rapporto umano che si cementa a partire proprio dalla mancanza di compassione.

Audiard riesce a evitare le secche del sentimentalismo più corrivo grazie a uno stile nervoso, oggettivo e frammentato, con un ritmo spezzato che però non arretra nemmeno davanti a improvvise impennate emotive, l’uso d’una colonna sonora coinvolgente (Bon Iver, Springsteen), un certo lirismo espressivo nelle sequenze più oniriche. Proprio per questo resta un regista di difficile definizione: perché possiede indubbiamente un linguaggio e un modo di raccontare assai personali, d’“autore”, ma manca della disciplina formale che è di solito cifra essenziale dei cineasti più rigorosi, e per questo celebrati.

Audiard resta volutamente più “sporco”, impiega materiali eterogenei pescando nell’alto e nel basso, con un’attitudine eclettica che è disposta a sacrificare qualcosa sul piano del rigore espressivo se serve alla tenuta della storia e allo sviluppo dei personaggi. Forse in questo senso è un autore più “americano”, e infatti qualcuno ha ipotizzato paragoni con Scorsese. Ma poi è lui stesso a dire di sentirsi inguaribilmente europeo: «Soffro quando mi dicono: “Bello il tuo film, sembra quasi americano”». Rassegniamoci: Jacques Audiard è uno di quei rari artisti senza una casella precisa in cui infilarlo. Un merito non da poco.