Suburra: la Roma corrotta di Sollima che fa rima con Gomorra

Il regista delle serie tv “Romanzo criminale” e “Gomorra” scende negli inferi di una Roma irrimediabilmente corrotta. Un affresco visivamente potente, ma schematico e qualunquista.

Suburra Roma corrotta di Stefano Sollima

INTERAZIONI: 59

Al mondo sono tutti corrotti, signora mia, assicura Stefano Sollima, che in Suburra fa il conto alla rovescia dell’apocalisse di una Roma di politici drogati e sessuomani (il Malgradi di Pierfrancesco Favino, col vizietto delle minorenni), alti prelati in affari con boss della mala ex camerati (il Samurai molto Mafia Capitale di Claudio Amendola, che l’ideale “lo porta nel cuore”, a sinistra del portafoglio), famiglie criminali di lungo corso (Numero 8/Alessandro Borghi e lo zingaro Manfredi/Adamo Dionisi), pr & event manager (insomma un faccendiere 2.0, Elio Germano). È un mondo famelico, attirato come una calamita dall’affare gigantesco, la trasformazione del litorale di Ostia in una specie di Las Vegas, grazie a una legge sulle periferie che il corrotto Malgradi, ovviamente di centrodestra, deve far approvare in Parlamento .

Suburra, tratto dal romanzo omonimo di Bonini e De Cataldo, è un film a senso unico, una compiaciuta discesa agli inferi un girone dopo l’altro, col pedale sempre sull’acceleratore del sangue, che colpisce lo spettatore con la forza contundente di un continuo shock emotivo. Un racconto a tesi, che invece di far ragionare con l’inchiesta alla Francesco Rosi sposa il qualunquismo da poliziottesco anni Settanta, fotografando schematicamente una società imbarbarita, dove però di poliziotti nemmeno l’ombra (nel libro invece c’erano), ché Roma ormai è completamente criminale.

Non è cinema civile ma di genere, e non ci sarebbe nulla di male, anzi. Solo che questo gangster movie vuole farci la morale e ha l’ambizione di restituire un affresco della realtà italiana contemporanea, con le metafore un tanto al chilo: la pioggia perenne (il lavacro purificatore), il pitbull killer che sbrana il killer che l’ha addestrato (il redde rationem), la società orfana di padri reali – quello di Germano si suicida perché ostaggio dei cravattari – e putativi, da papa Ratzinger al premier Berlusconi che si dimettono.

Più che il ritratto del paese all’altezza del 2015, Suburra sembra un distillato di umori da Seconda Repubblica, intossicato e incattivito da vent’anni di Berlusconi pro e contro, casta e giustizialismo, la gggente, il vaffanculo e i fatti quotidiani. Cioè tutto quel livore (comprensibilissimo) che si è però tradotto in una narrazione semplificata della storia patria recente, tracimata in un racconto cinematografico a corto di analisi, che s’accontenta di accalcare nella trama scheletrica personaggi di assoluta malvagità (per dire, a Malgradi rapiscono il figlio, ma lui sembra più preoccupato della carriera, possibile?).

D’altronde che la realtà stia tutta lì lo confermerebbe il dispositivo interpretativo su cui è incardinata una fetta consistente del discorso pubblico dell’ultimo decennio: il gomorrismo, che ritrae uno spazio sociale desertificato, in cui la criminalità organizzata è ramificata in ogni dove e il male ha trionfato. Una prospettiva desolante, quasi un aggiornamento del pessimismo unilaterale da film poliziottesco, certo più raffinato e documentato, con citazioni e riferimenti letterari di contorno. Un poliziottesco di sinistra insomma, come vorrebbe essere questa Suburra: dove però non c’è più nemmeno l’illusione dei buoni che si oppongono ai cattivi, e sono rimasti solo i cattivi.
https://youtu.be/bn6A5eivvu8