Louisiana, il documentario che racconta il lato oscuro dell’America

Dopo la partecipazione a Cannes, arriva nelle sale il nuovo film di Roberto Minervini. Il ritratto duro e disturbante di uno stato tra i più poveri del paese e di chi resta ai margini dell’american way of life. Decisamente non per tutti i gusti, ma onesto e partecipe.

Louisiana documentario sul lato oscuro della America

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Roberto Minervini è un documentarista, italiano di nascita ma cinematograficamente di formazione americana, che ha insegnato cinema in Spagna e Filippine e collaborato con John Waters e D.A. Pennebeker, pioniere del “cinema diretto”. Ha al suo attivo una trilogia sul Texas il cui ultimo episodio, Stop the pounding heart, gli è valso un David di Donatello nel 2014 quale miglior documentario. Louisiana ha partecipato alla rassegna En certain Regard di Cannes, che gli ha permesso di ottenere la distribuzione nelle sale, con Lucky Red.

Il sottotitolo del documentario, “The other side”, rimanda immediatamente al ribaltamento del punto di vista, che riporta in primo piano il lato oscuro dell’America. Attraverso la Louisiana, stato povero in cui la disoccupazione tocca punte del sessanta percento, Minervini racconta individui e comunità che la filosofia del successo lascia ai margini, rifiuti di un sistema ad altissimo tasso di consumo del capitale umano.

Il film è suddiviso in due episodi. Il primo racconta la vita del tossicomane Mike, ex galeotto che sopravvive con lo spaccio e piccoli lavori. Non mancano aspetti prevedibili, dai crudi momenti verità dei drogati che si bucano all’amore tossico tra il protagonista e la compagna Lisa. Colpisce però per il tentativo del regista di non cadere nel ritratto compiaciuto della disperazione. Mike e Lisa fanno spesso il gioco dell’“I wish”, dell’io vorrei, perché in realtà ripongono ancora fiducia nel futuro.

Mike, inoltre, mantiene solidi legami con la comunità di appartenenza e soprattutto con la madre malata di cancro e la vecchia nonna, per le quali si dimostra un figlio e nipote tenero e partecipe. Il netto contrasto tra la condizione scabrosa di tossicodipendenza e l’affettuosa premura familiare – come la differenza tra la povertà e il fascino silenzioso delle paludi nelle quali ogni tanto Mike si inoltra, come bisognoso di una pausa di bellezza – servono a rendere palese quanto la miseria non sia una condizione naturale ma indotta, per ragioni che chiamano in causa la politica.

La matrice politica del discorso di Minervini diviene manifesta nel secondo episodio, che ritrae un gruppo di paramilitari, tra cui anche reduci dei recenti conflitti nel mondo arabo, che si addestrano in attesa dell’apocalisse prossima ventura. Uomini che amano gli ideali dell’America ma non professano il tradizionale patriottismo, combattono per se stessi – “difendere la propria famiglia”, ripetono ossessivamente, non il paese –, contestano la politica estera statunitense, di cui si sentono carne da macello, e odiano il presidente Obama, reso bersaglio della loro rabbia in un finale inequivocabile.

Il documentario mantiene una tensione tra le due parti, che raccontano rispettivamente individuo e comunità, sfera privata e dimensione pubblica, con un tono che oscilla tra l’empatia verso il loser Mike e lo sguardo più esterno e freddo nei confronti dell’allarmante ferocia dei paramilitari. Grazie a questa consapevolezza dialettica Louisiana offre un contributo non retorico, e certamente disturbante, sulle anime altre dell’America contemporanea, anche se non raggiunge mai l’ampiezza dell’affresco e resta al livello di abbozzo.