Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet, la nuova fiaba del creatore di Amélie

Jean-Pierre Jeunet racconta la vicenda di un geniale bambino inventore e della sua bizzarra famiglia. Lo stile, ricco di fantasia e dolcezza, ricorda quello del suo film più celebre. Ma emergono anche i limiti di un cinema che sa troppo di zucchero filato.

Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet fiaba stile Amélie

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T.S. Spivet (Kyle Catlett) ha ideato la macchina del moto perpetuo, per la quale l’istituto Smithsonian di Washington gli assegna l’ambito premio Baird. Forse non glielo darebbero se sapessero che l’inventore ha solo dieci anni e vive in un remoto ranch del Montana, con padre cowboy (Callum Keith-Rennie) e mamma entomologa dilettante (Helena Bonham Carter).

C’era pure un fratello gemello, spavaldo quanto lui è flemmatico: ma è morto in un incidente provocato da un fucile, di cui T.S. si ritiene colpevole. Naturalmente da quel giorno, la famiglia non è stata più la stessa, l’amore dei genitori, tra di loro e per il figlio, si è incrinato e persino il cane è caduto in depressione. T.S. comunque è deciso a ritirare il riconoscimento e, all’insaputa di tutti, parte per un rocambolesco viaggio vagabondo, causando grande sorpresa allo Smithsonian, dove nessuno s’aspetta un imberbe ragazzetto.

Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet è il nuovo film di Jean-Pierre Jeunet, l’autore del celebrato Il favoloso mondo di Amélie, di cui si respira la stessa aria fantasmagorica, la sbrigliata inventiva che trasforma ogni inquadratura in una tavolozza di creatività multicolore, con fotografia caramellata e musiche carezzevoli. La dolcezza è ormai di prammatica per Jeunet, come la bizzarria dei personaggi: il bambino sognatore, il padre dai gusti vintage, la madre che ordina il mondo con meticoloso spirito tassonomico.

La struttura fiabesca è evidente: l’abbandono della casa, l’impresa, l’incontro con antagonisti (il poliziotto) e facilitatori (il camionista). Ma il viaggio on the road è venato di un’amarezza indirizzata al paese che racconta. Perché l’America è sì uno scenario incantato, di sterminata bellezza naturale, come nelle rigogliose praterie del Montana. Ma è pure la terra delle geometrie glaciali e scostanti dei grattacieli di Chicago. O del camper pubblicitario, trasportato sul treno merci, a bordo del quale il clandestino T.S. si nasconde: lì tutto è artefatto e “tipicamente” americano (con bandiera a stelle e strisce in bella vista), con le sagome di cartone della sorridente famiglia intenta a consumare gustose uova e bistecca rigorosamente di plastica.

Il camper, oltretutto, è disposto in senso inverso sul treno per cui, dice T.S., sembra di viaggiare all’incontrario. Metafore che non potrebbero essere più esplicite. Rafforzate da considerazioni sull’allarmante passione statunitense per le armi (già al centro de L’esplosivo piano di Bazil) e da un finale che al discorso sulla società dei simulacri somma quello sulla società dello spettacolo, dato che il bambino prodigio fa notizia e viene immediatamente catapultato in tv. Ed è la parte più scontata, con la prevedibile predica sul cinismo dei media, cui però rispondono gli anticorpi dei valori veri di una famiglia del Montana.

Ne risulta un racconto ambizioso ma confuso, che descrive un’America insieme fasulla e sincera, cinica e autentica. Intrinsecamente contraddittoria, come il cinema di Jeunet: che inocula notazioni critiche dentro uno stile allo zucchero filato, smorfioso quanto le lentiggini del protagonista e ruffiano come l’ossequioso lieto fine che, dopo l’anarchia creativa di una favola apparentemente liberatoria, riporta il mondo al suo tranquillizzante punto di partenza.

https://youtu.be/L2C5fMqw37c