Sarà il mio tipo? Amore e differenze di classe in salsa francese

Il professore di filosofia parigino e la parrucchiera di provincia si incontrano: scatterà l’amore? Il regista Lucas Belvaux imbastisce un piccolo teorema sul peso dei condizionamenti sociali e culturali, più forti dei sentimenti. Un film illuminato dall’empatica interpretazione di Émilie Dequenne.

Sarà il mio tipo commedia francese con Émilie Dequenne

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Clément (Loïc Corbery) è un giovane professore di filosofia parigino appena trasferito – sarebbe meglio dire deportato, vista la sua sconsolata reazione – nella provinciale Arras, nel nord della Francia. È autore di un volume dal titolo impegnativo, Dell’amore e dell’eros, intellettualistico e disilluso esercizio sulla natura dei sentimenti sulla scia degli immancabili Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes. Si autodefinisce snobisticamente “filosofo dell’eros” e nella nuova scuola la collega di filosofia, che ha letto il suo libro, lo commenta con cinguettante entusiasmo, “tu pensi ciò che precede il pensiero”. Addirittura.

Ma non è di lei che s’invaghisce, bensì di Jennifer (Émilie Dequenne, sorprendente per chi la ricordasse giovanissima quale cupa protagonista di Rosetta dei fratelli Dardenne), solare parrucchiera che cresce da sola il proprio figlio, ama la vita, le amiche, il karaoke.

Eccolo il teorema di Sarà il mio tipo? di Lucas Belvaux, tratto da un romanzo di Philippe Vilain, in Italia tradotto col titolo, letterale e meno sbarazzino, Non il suo tipo. Teorema perché da subito si intuisce che le differenze di classe, gusti e sensibilità non consentiranno a questo “amore” di decollare. Che è tale solo negli occhi di Jennifer, pronta a scommettere romanticamente sulla storia, al punto da sorbirsi le continue letture ad alta voce di classici della letteratura da parte di Clément, che preferisce restare in albergo perché in fondo non ama farsi vedere in giro con lei.

Lui, infatti, manifesta una freddezza e un distacco che non si sciolgono mai in un sentimento. Ed è incapace di vedere Jennifer al di fuori dei suoi filtri culturali ed emotivi: la ragione per cui le regala La critica del giudizio di Kant, che lei cerca volenterosamente di leggere con vocabolario alla mano. Ma il suo atteggiamento non è frutto di una naïveté da filosofo con la testa tra le nuvole: infatti Clément volutamente non le dice nulla del suo libro antisentimentale, che Jennifer scoprirà da sola, capendo dall’omissione l’aridità del suo presunto principe azzurro.

Il film propende chiaramente per la sanguigna Jennifer, gettata dento la vita e tutt’altro che superficiale: ha le sue letture, gusti e opinioni, semplicemente diversi – certo meno colti e raffinati – di quelli di Clément, inquadrato mentre scrive sotto un’enorme libreria che pesa come un fardello, forse, sulla sua libertà di essere e pensiero.

Il punto di vista del film emerge attraverso la natura della recitazione: Émilie Dequenne è di una travolgente e seducente vitalità (giustamente premiata da una candidatura come miglior attrice ai prossimi César, gli Oscar francesi), capace di reagire alle traversie attraverso il filtro truffautiano delle canzoni che interpreta al karaoke (You can’t hurry love e, quando l’amore si spezza, I will survive).

Loïc Corbery, per contrasto, è monotono e lontano, senza slanci, come fosse perennemente sotto controllo e, al fondo, inadeguato al mondo. Ma, naturalmente, quando alla fine è Jennifer a prendere una decisione, il più sorpreso sarà proprio lui. Ma riuscirà a essere anche addolorato?