Ritorno a L’Avana: quanto è difficile il mestiere di vivere

Il bellissimo film di Laurent Cantet mette in scena l'incontro a Cuba di cinque amici dopo molti anni. Tra ferite e sogni infranti, una storia intima che racconta cosa significa vivere sotto una dittatura.

Ritorno a L’Avana del regista Laurent Cantet

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Segnatevi la data del 30 ottobre, quando uscirà nelle sale Ritorno a L’Avana, il nuovo film di Laurent Cantet che all’ultimo festival di Venezia ha vinto il premio delle Giornate degli Autori. Cantet aveva già sorpreso con La classe – Palma d’oro a Cannes –, che costruiva un affresco delle tensioni della Francia odierna raccontando un anno scolastico in una classe parigina. Ritorno a L’Avana compie un’operazione analoga su Cuba.

Il film parte da un personaggio de Il romanzo della mia vita di Leonardo Padura, che torna a L’Avana dopo un lungo esilio. Scrittore e regista hanno firmato insieme la sceneggiatura, che racconta l‘incontro tra cinque amici su una terrazza che domina i tetti de L’Avana per salutare il ritorno dalla Spagna di Amadeo, dopo 16 anni. L’allegria sfuma velocemente: troppe le ferite, i lutti (Amadeo aveva lasciato a Cuba la compagna, poi morta senza poterla rivedere), le domande in sospeso. Dolori e delusioni deflagrano ma il legame dell’amicizia, pur sfiorando il punto di rottura, non si spezza mai.

Non siamo di fronte a un Grande freddo in salsa caraibica: lì i protagonisti erano tutti americani benestanti alle prese con fallimenti individuali, di carriera e – molto meno – esistenziali. Qui c’è Cuba dopo il “periodo speciale” decretato nel 1992 dal regime castrista: le disillusioni personali coincidono con quelle di un’epoca e sono il filtro attraverso cui leggere la storia dell’isola e le storture del suo modello sociale.

C’è Rafa, il pittore ribelle che sopravvive dipingendo porcherie commerciali; il medico Tania, abbandonata dai figli scappati a Miami; Eddy, talento da scrittore, è diventato un piccolo dirigente corrotto; Aldo, l’unico non intellettuale, vive con sofferenza la delusione per un’ideologia traditrice; infine Amadeo, tornato definitivamente per ricominciare a scrivere.

Impossibile riassumere il fitto intreccio di storie: grazie a una polifonia di voci, corpi, emozioni, Cantet offre un ritratto per nulla didascalico di Cuba, ricco di notazioni e giudizi mai gridati, restituiti con immediatezza dai personaggi che incarnano la fatica del vivere sotto una dittatura. La terrazza funziona come una finestra sul cortile hitchcockiana. Da lì si assiste alla vita quotidiana: ragazzi che uccidono un maiale, un litigio tra innamorati, il tifo calcistico. E soprattutto il brusio de L’Avana, chiassosa e calda, tenera e violenta.

Il film così costruisce un contrappunto sottile e continuo tra storia e realtà, memoria e attualità, aspettative tradite e miseria del quotidiano, riscattando il potentissimo spaccato di vita con un finale possibilista, in cui i protagonisti guardano arrivare l’alba.

Cantet compone un affresco di mirabile complessità con pochissimi mezzi: un fitto testo di sapore teatrale – cui gli attori aderiscono con straordinaria naturalezza –, unità di tempo e luogo, riprese quasi solo di primi piani, campi e controcampi. Parlando di Cuba parla a tutti noi, abitanti precari di un mondo globalizzato che mette a dura prova sogni e aspirazioni. E allora ci scopriamo tutti, fiduciosi, a salutare l’alba del giorno dopo.