Robben Island, la prigione di Nelson Mandela


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Nelson Mandela
Nelson Mandela

E’ morto Nelson Mandela. La sua prigione è da tempo un monumento nazionale. Quando si visita Robben Island non si riesce a credere che uno degli uomini più importanti dell’ultimo secolo possa aver vissuto tanto a lungo tra quelle mura riuscendo a non odiare i suoi nemici.

Punti di vista. La vita è una questione di punti di vista. Abitare un luogo ed un tempo ti cambia la vita in ragione del punto di vista tuo ed altrui; ed un carcerato di Robben Island ha un punto di vista decisamente diverso dal titolare del Palco Presidenziale nello stadio più importante del paese. Eppure, a Cape Town, si è realizzato un miracolo sportivo e sociale. Il punto di vista del detenuto numero 46664 è diventato lo stesso di quello del Padre della Patria. Un miracolo sportivo e sociale realizzato da Nelson Mandela che dalla segregazione dell’isola dei carcerati è passato agli onori planetari. E’ così l’antico galeotto diventato presidente ha consegnato la coppa ai vincitori del mondiale di rugby a pochi chilometri in linea d’aria dalla prigione di Robben Island nella quale era stato segregato per il suo attivismo democratico ed antirazzista.

Il Sud Africa è riuscito a superare l’infamia dell’apartheid senza che il sangue scorresse a fiumi come nei territori dell’ex Yugoslavia. Ed il merito storico è di Nelson Mandela che ha saputo governare la rabbia negra e volgere la voglia di vendetta verso la riconciliazione nazionale.

E’ una storia sportiva quella di Mandela. La racconta in uno splendido libro “Ama il tuo nemico” lo scrittore e giornalista John Carlin. Il prigioniero 46664 venne rinchiuso in una cella d’isolamento minuscola a Robben Island, l’isola terribile al largo di Cape Town. C’era appena lo spazio per alzarsi in piedi dal tavolaccio. Mandela però voleva a tutti i costi mantenere allenato il suo corpo di boxeur provetto. Ed allora correva sul posto per ore ed ore. Nonostante il caldo appiccicoso, nonostante il silenzio assordante, nonostante la sua condanna fosse a vita. Il suo corpo e la sua mente reagivano così alla iniqua e barbara segregazione. Ottenne, poi, di esser trasferito in una cella più grandi con altri detenuti. Cominciò a correre lungo il perimetro di quattro metri per quattro della stanza suscitando il malumore dei compagni di prigionia infastiditi dal trambusto delle scarpe sul pavimento. Mandela, però, continua a correre senza sosta mentre fuori dalla prigione anche il mondo correva. Il resto del Mondo continuava a chiedere la fine dell’Apartheid, ma il governo del Sud Africa resisteva nonostante le sanzioni e l’isolamento. I detenuti politici riuscirono a strappare il permesso di svolgere attività sportiva all’aria aperta. Con due mucchi di pietre ed un pallone di fortuna si organizzarono alcune partite di calcio dalle quali Mandela si tenne lontano. Preferiva la corsa e la boxe; non capiva tanto entusiasmo per quel pallone rotolante. E, come tutti i negri, detestava il rugby lo sport preferito dagli afrikaners più razzisti.

La vita cambia, però, i punti di vista ed anche la storia del Sud Africa. Le proteste interne e la pressione internazionale mutarono l’orientamento istituzionale del paese. Nelson Mandela, finalmente libero, venne democraticamente eletto presidente. Il Sud Africa era però ancora lacerato. I negri amavano il calcio, gli afrikaners la palla ovale. Fino al 24 giugno 1995 quando gli Springboks s’imposero nei mondiali di rugby contro la Nuova Zelanda. Quel giorno Mandela indossava la maglia del capitano Francois Pienaar e tutta la nazione, bianchi e neri, tifava per il nuovo Sud Africa.

Questa parabola fantastica, diventata un film formidabile firmato da Clint Eastwood con la magistrale interpretazione di Morgan Freeman. Da una prigione di pochi metri quadrati al mondo intero, il passo può esser eternamente lungo o dannatamente breve. Dipende dai punti di vista e dalla voglia di tutti e ciascuno di cambiare il mondo, come si cambia – con un placcaggio o una parata- il destino di una partita. Affinché quello che è accaduto non sia dimenticato e non possa mai più accadere.