Secondo gli analisti statunitensi Transformers – Il Risveglio (in originale Transformers: Rise of the Beasts, 2023) è atteso a una performance da 60 milioni di dollari nel primo weekend. Intanto in Italia nel primo giorno di proiezione il film diretto da Steven Caple Jr. (Creed II) ha ottenuto un timido risultato intorno ai 200mila euro, sopravanzato sia dalla Sirenetta live action che dall’ultimo Spiderman in animazione.
Transformers è un franchise con ormai una lunga storia, ispirato alla popolare serie di giocattoli creata nel 1982 della Hasbro (che coproduce anche i film insieme alla Paramount), con al centro la lotta senza quartiere tra due razze aliene biomeccaniche, perfettamente divise tra buoni e cattivi: da un lato gli Autobot, robot capaci di assumere qualsiasi forma guidati dal leader Optimus Prime (sempre alleati con degli umani, i primi furono Shia LaBeouf e Megan Fox, ad ammorbidire l’immaginario metallico), dall’altro i Decepticon al seguito del malvagio Megatron.
La prima pentalogia, dal 2007 al 2017, è stata diretta sempre da Michael Bay, con al principio la partecipazione alla produzione di Steven Spielberg, da cui, inizialmente, uno spirito più lieve e nostalgico, tra action e commedia anni Ottanta, che ammiccava agli E.T. e Poltergeist. Poi ha preso decisamente il sopravvento Bay, col marchio di fabbrica del suo cinema visivamente lambiccato, ipercinetico e marziale. Il quale, dal punto di vista narrativo, ha pescato film dopo film da un immaginario eterogeneo, disinibito e sfacciato: l’episodio 3 con la tragedia di Černobyl’ e l’allunaggio del 1969; nel quarto i Dinobot, guerrieri meccanici con fattezze di dinosauri, che portano i Transformers dalle parti di Jurassic Park (e del suo target di pubblico); il quinto, addirittura, incrocia i robot mutaforma coi cavalieri del ciclo arturiano e Mago Merlino.
Finita la prima serie, è stata la volta, per mantenere in vita un franchise comunque di notevole successo, degli inevitabili spin-off, ideando un ciclo prequel (che funziona anche come un reboot) il cui primo episodio (e sesto complessivo), Bumblebee (2018), è generalmente considerato il migliore dai critici (ma non dagli spettatori che l’hanno un po’ snobbato), per la sua capacità di tornare alle origini, non solo ambientandolo negli anni Ottanta, ma sposando un’estetica da cinema di quel decennio, grazie anche al ritorno di Spielberg come produttore esecutivo e al tono meno tonitruante (infatti a dirigerlo per la prima volta non è Michael Bay, che resta come produttore, ma l’animatore Travis Knight di Kubo e la Spada Magica).
Ed eccoci così arrivati a Transformers – Il Risveglio, settima tappa (l’ottava è già annunciata per l’anno prossimo) che continua nell’ottica prequel, stavolta saltando agli anni Novanta, il che consente anche di utilizzare canzoni hip hop del decennio – le musiche d’epoca erano già un tratto portante, ma narrativamente più motivato, in Bumblebee – e scegliendo un’ambientazione newyorkese.
Due i nuovi protagonisti umani: Anthony Ramos (In The Heghts), giovane ex militare riottoso alle regole ma con un cuor d’oro il quale, vista la storia personale strappalacrime (la malattia del fratellino e una famiglia in bolletta) e che nessuno è disposto a dargli un lavoro, spinto da un amico del quartiere ruba un’auto sportiva che si rivela essere l’Autobot Mirage. Il che immediatamente lo catapulta in un’avventura da fine del mondo, nella quale si trova coinvolta anche Dominique Fishback (Judas and the Black Messiah), talentuosissima giovane archeologa, stagista precaria in un museo che, inavvertitamente, all’interno di un oggetto misterioso tale e quale al Falcone maltese di bogartiana memoria, scopre una chiave magica su cui sono concentrate le mire del crudele Scourge, emissario di Unicron, entità dal potere inimmaginabile, divoratore di mondi che grazie a quello strumento potrebbe accedere alla Terra e così cibarsene.
A contrastare il disegno apocalittico saranno gli Autobot, insieme a degli alleati ben noti agli appassionati dei Transformers, i Maximals, esseri capaci di assumere fattezze animali, già protagonisti di una serie televisiva animata in digitale andata in onda tra il 1996 e il 1999. E di qui in Transformers – Il Risveglio si snoda la vicenda che si può immaginare, con una puntata esotica in Perù e una storia che da un lato assomiglia ancora a Jurassic Park – coi robot che braccano i due umani nella parte dei velociraptor –, dall’altro, per il gusto avventuroso alla scoperta di antichi misteri, decisamente a Indiana Jones – citato nei dialoghi per i più distratti. Con in più, per sovrammercato, l’immaginario alla King Kong grazie all’orango Optimus Primal fiero leader dei Maximals.
Più o meno Transformers – Il Risveglio è tutto qui, nel suo gusto apertamente citazionista e nelle motivazioni sempre adamantine dei protagonisti: Ramos che deve maturare e imparare a lavorare di squadra, Fishback archeologa da scrivania che ha bisogno di ampliare la sua visione del mondo, il leader Optimus Prime che deve superare i suoi pregiudizi antiumani, con condimento dell’immancabile linea comica fornita da Mirage. Tutti i fili trovano la loro sublimazione e risoluzione nell’immancabile scontro finale, epico ma senza la grandiosità quasi subliminale di Michael Bay. Niente di nuovo, e un deciso passo indietro rispetto al più sottile Bumblebee. Chissà se i fan abboccheranno.