St. Anger dei Metallica non è un album dei Metallica, è il disco di quel rullante. Il 5 giugno 2003 din din din din, quel rumore assordante sbattuto in faccia al pubblico disorientato dei Four Horsemen, entra a gamba tesa nella storia di James Hetfield e soci. Sfidiamo chiunque a negare che St. Anger sia peculiare solo per quello, a parte qualche spunto interessante nella title-track e in altri singoli come Frantic e Some Kind Of Monster.
Nei fatti, il disco suona come l’anima più stoner e nu metal dei Metallica, ma anche come il fallimento della credibilità di Lars Ulrich che continua a parlare di “cordiera sganciata” mentre da almeno due decenni i batteristi di tutto il mondo gli ricordano che quella è la sordina. Lo ricordiamo in una delle sue tante esternazioni boriose per Sirius XM:
“La cosa del rullante è stata molto impulsiva da parte mia. James stava suonando un riff nella control room e io ho pensato ‘Devo suonare qualcosa su quel riff’. Quindi sono entrato nella saletta di registrazione e ho improvvisato, dimenticandomi di agganciare la cordiera del rullante. Riascoltando poi il pezzo pensai: ‘Wow! Quel suono si adatta molto bene a quel riff! È particolare e ci sta’. Quindi lasciai la macchinetta della cordiera sganciata per quasi tutto il resto delle sessioni di registrazione”.
- Mercury
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Oggi è difficile non litigare con chi definisce St. Anger interessante anche per l’assenza di assoli, e certamente il disco ha le sue peculiarità: le chitarre sono soffocate e fluide, la band suona come se fosse dentro una cisterna e il tutto ha l’aria di un side project di qualche band industrial metal cresciuta a pane e Kill’Em All.
Il produttore Bob Rock probabilmente ha evitato il disastro totale riuscendo a impacchettare un prodotto davvero difficile da gestire, ma mai quanto l’ego di Lars Ulrich.