Con la sua potente carica interpretativa, Alessio Boni presenta Don Chisciotte, spettacolo di cui è protagonista assieme ad un originalissimo Sancho Panza: l’attrice turca musa di Ferzan Ozpetek, Serra Yilmaz, accompagnati in scena da Marcello Prayer, Francesco Meoni, Pietro Faiella, Liliana Massari, Elena Nico,ronzinanteè Biagio Iacovelli.
Al Teatro Mercadante fino a domenica 26 febbraio, lo spettacolo è liberamente ispirato al romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra, nell’adattamento di Francesco Niccolini e la drammaturgia di Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Marcello Prayer e Francesco Niccolini.La regia è firmata da Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Marcello Prayer. Le scene sono di Massimo Troncanetti, i costumi di Francesco Esposito, le luci di Davide Scognamiglio, le musiche di Francesco Forni. Una produzione Nuovo Teatro.
Uno spettacolo in cui si respira sin dai primi momenti una fattura sapientemente artigianale sia nelle scenografie che nella brillante costruzione di un ronzinante così palpabile e vero e al contempo geniale e ingegnoso, un Ronzinante di pezza che riempie la scena, guidato con destrezza e abilità da Biagio Iacovelli che sembra attribuirgli una particolare umanità a cui Don Chisciotte si aggrappa quasi per affidargli la sua follia o la sua ingenua e onirica visione di cavalier errante.
Un Don Chisciotte dalla voce rauca che si intreccia con il carattere semplice e servizievole del Sancho Panza di Serra Yilmaz che forma un collante di amicizia tra i due che, pur nella follia e nelle allucinazioni del protagonista, sembra davvero l’unica modalità a cui riferirsi per sfuggire alla insensata apparenza in cui sprofonda il quotidiano.
Una ironica e tragicomica trasposizione, visionaria e immaginaria, che culmina anche nella derisione quasi “bullistica” delle celebri gesta del cavaliere errante, in compagnia del suo fido scudiero, conosciute in tutta Europa di cui si fanno gioco il duca e la duchessa. Appunto “i mulini non sono giganti, le greggi non sono saraceni, la bacinella del barbiere non è l’elmo di Mambrino. Ma se qualche volta non crederai che lo siano la tua vita si ridurrà a ben poca cosa: ad una trappola di doveri e bisogni, senza sogni”, scrive Alessio Boni.
Una drammaturgia intensa che ben rappresenta il dualismo normalità/follia ma anche il coraggio di desiderare l’impossibile, così appare la bella Dulcinea frutto della sua immaginazione, ma tutto ciò si confonde con una tenera umanità e “comicità carnascialesca”.
L’unica nota che non convince è il ridondante personaggio della moglie di Sancho Panza che per essere divertente scivola in una macchiettistica gag fuori da ogni comprensibile gioco ironico. A che serve?
Dunque un cuore che batte e che pulsa. Così Don Chisciotte, in punto di morte, fa riemergere il vero Don Alonso. Alla fine, cioè, rinuncia e capitola nei confronti della realtà restando sempre “l’eroe della sconfitta che tiene insieme nobiltà e insuccesso”, sottolinea Roberto Aldorasi.
«Chi è pazzo? Chi è normale? Forse chi vive nella sua lucida follia riesce ancora a compiere atti eroici. Di più: forse ci vuole una qualche forma di follia, ancor più che il coraggio – scrive Alessio Boni – per compiere atti eroici. La lucida follia è quella che ti permette di sospendere, per un eterno istante, il senso del limite: quel “so che dobbiamo morire” che spoglia di senso il quotidiano umano, ma che solo ci rende umani”.
Con i bellissimi giochi di luce di Davide Scognamiglio, nel secondo atto, si è proiettati nell’universo onirico e inebriato dall’amore del cavaliere errante e diventa chiaro quanto sia importante il ruolo del sogno, dell’immaginazione, della capacità di fantasticare, appaiata alla capacità di non perdere la fede nelle proprie convinzioni. Uno spettacolo corale che trasmette grande armonia scenica e una colorata prospettiva verso nuove avventure.


