Quando ero un adolescente impacciato, tutti gli adolescenti tendono a esserlo, almeno a tratti, insicuro del mio ruolo nel mondo, del mio non essere né carne né pesce, come ben certificherà qualche tempo dopo Terence Trent D’Arby, oggi Sananda Maitreya, nel suo secondo album Neither fish nor flesh, soprattutto incapace di capire come confrontarmi con le ragazze, questo a suo modo è il vero shock dell’adolscenza, quando, cioè, mi sembrava anche solo impensabile che prima o poi sarei riuscito nell’impresa di piacere a una ragazza, tanto più a una ragazza che mi facesse battere il cuore, sentendo il refrain che vuole che per ogni uomo al mondo esistono sette donne mi sembrava di provare un lieve sollievo. Anche se la faccenda del sette mi è sempre parsa eccessiva, un numero biblico, il sette, che torna un po’ troppe volte per faccende nei confronti delle quali non abbiamo controllo, sono sette anche i sosia che abbiamo sulla Terra, per dire, settanta volte sette i peccati che ci possiamo permettere senza correre eccessivi rischi, insomma, ci siamo capiti.
Resta che sapere che sulla Terra noi uomini, ai tempi la distinzione era abbastanza radicale, c’erano gli uomini e le donne, senza sfumature, o quantomeno senza sfumature riconosciute come tali dalla società, niente comunità LGBTQA+, per intendersi, resta che sapere che sulla Terra noi uomini eravamo in un rapporto uno a sette con le donne, toh, diciamo maschi e femmine, mi sembrava qualcosa di incredibile. Anche perché, ai tempi, frequentavo prevalentemente maschi, le femmine frequentavano le femmine. C’era anche la questione dell’età, le mie coetanee, oggi che sono padre di quattro figli, due maschi e due femmine la cosa mi è assai più chiara, le mie coetanee frequentavano prevalentemente maschi più grandi di me, del tutto disinteressate ai maschi della loro età. Per contro le femmine più piccole, parlo di adolescenza, erano troppo più piccole, praticamente bambine, e sebbene la pedofilia non fosse parola da me conosciuta, praticamente era sconosciuta ai più, parola impronunciabile che riguardava una faccenda deprecabile, seppur un maestro della mia scuola e, questo l’ho scoperto recentemente, anche il direttore della mia scuola elementare fossero stati allontanati proprio per aver ricevuto denunce di pedofilia, mi era chiarissimo che guardare alle bambine era sbagliato. No, forse non è corretto dire così, non le guardavo e basta, perché non era una questione che mi venisse naturale, non penso che fosse una questione riconducibile a cosa si deve o non si deve fare, non da adolescente. Quindi, facendo un riepilogo, le mie coetanee non mi guardavano, né guardavano i miei amici, a loro volta miei coetanei, interessate ai ragazzi più grandi di noi, le bambine erano bambine, non ci rimaneva che consolarci con l’idea che al mondo c’erano almeno sette ragazze a testa che ci aspettavano, sempre augurandoci che, magari attratte da noi, non finissero per innamorarsi di un nostro sosia.
Nel mentre, parlo sempre di quando ero ragazzino, un adolescente in cerca di se stesso, il mondo mi appariva un luogo abitato da donne che avessero in pugno la situazione. Ai tempi, parlo per me ma anche per buona parte delle persone che frequentavo, gli uomini avevano sempre lavori più impegnativi delle donne, di maggior pregio, sempre che le donne avessero a loro volta un lavoro o un lavoro vero e proprio, e quindi le donne erano assai più presenti nella nostra formazione, presenti lì in casa, dove ai tempi si stazionava per buona parte del tempo che non si era a scuola, la faccenda dei tanti corsi cui i ragazzini sono iscritti di ufficio è più roba recente, o almeno roba recente nelle grandi città, dove del resto è d’uso la scuola a tempo pieno, ai tempi impensabile per me. Le donne gestivano la microsocietà familiare, guidando in qualche modo l’andamento della casa e lasciando solo in apparenza agli uomini le redini del comando su faccende più importanti, dico questo sapendo quanto queste mie parole possano suonare fastidiose, intrise di un patriarcato che, però, era la quintessenza di quell’epoca, talmente tanto che nessuno parlava di patriarcato, non è le mie parole che vi devono infastidire, semmai il ricordo di quel passato, passato che a dirla tutta non credo sia stato lasciato del tutto alle spalle anche oggi, nel terzo millennio. E dire che nel mentre c’erano le immagini, dentro una televisione rigorosamente in bianco e nero, quella a colori arriverà a casa mia solo nel 1990, in occasione dei Mondiali di calcio, quelli di Notti magiche, e dire ch enel mentre c’erano le immagini di femministe quali la Bonino, ai tempi decisamente meno centrale che negli anni successivi, con a fianco uomini come Pannella e altri del Partito Radicali a lavorare la lana coi ferri, come a voler ribaltare certi luoghi comuni, molto comuni, scene di manifestazioni al grido di “l’utero è mio e me lo gestisco io”, donne che rivendicavano il proprio non voler usare il reggiseno, cose abbastanza incomprensibili ai miei occhi di adolescente, e a naso anche a quelli di mia madre, i capelli portati cortissimi come la brunetta dei Ricchi e poveri, un paio di occhiali da vista con una montatura nera, spessa, vagamente dalla forma di occhio di gatto. Il femminismo non era di casa a casa Monina, il cognome di mia madre sarebbe apparso su un campanello addirittura nel nuovo millennio, lei ha sempre rivendicato il fatto che casa nostra fosse identificata col cognome di mio padre, alla faccia del doppio cognome, ma a casa Monina comandava indiscutibilmente una donna. Del resto, da adolscente ho iniziato a frequentare il Liceo Classico, la storia antica di diceva come le donne avessero avuto, almeno in certe civiltà, un ruolo assai più centrale di quanto non si tenda a pensare, diciamolo apertamente, Giunone teneva Giove per le palle, Elena ha scatenato l’ira degli Dei con le note conseguenze che per anni ho dovuto studiare, e prima ancora la Potnia, nome che a noi maschietti ci faceva sorridere per certe similitudini con la parola puttana, pensa che scemi, il corpo tozzo di certe statuette, le grandi tette esibite senza alcuna vergogna, manco fosse una proto-radicale, era la Dea della fertilità, quei fianchi larghi e quel seno florido a questo rimandavano, da adolscente non lo sapevo. Anche a scuola, in fondo, c’era una predominanza di donne, quasi tutte le insegnanti lo erano, nel mio caso anche la preside, certo dai modi decisamente maschili, solo più avanti avrei avuto contezza che era lesbica e che viveva con una compagna, lei che era chiaramente fascista, figlia di fascisti.
Crescendo ho rivisto la questione del rapporto tra uomini e donne, come quello di chi in effetti comanda, perché come la nostra società, e buona parte delle società al mondo siano discriminatorie nei confronti delle donne, avrei dovuo dire “gentil sesso”, proprio per esercitare un ulteriore luogo comune sessista, lo so, ma non mi sembrava il caso di ricorrere a semplici trucchetti retorici, assolutamente non necessari. Quando quindi ogni tanto mi capita di leggere di come nel mondo animale siano spesso le donne a guidare gruppi e sottogruppi, e che in quanto femmine alpha, dominanti, vivono una sessualità promiscua, sia essa atta a procreare figli geneticamente più forti o semplicemente a metterli al riparo dal rischio che I maschi vogliano ucciderli, non sapendo il padre nessuno arrischierebbe di uccidere la propria progenie, per non dire di quando leggo di specie, come certe specie di uccelli, che tradiscono il proprio compagno, spesso gli uccelli sono in apparenza monogami, non per questioni di procreazione, ma per il gusto di falro, non manco di stupirmi. Un po’ perché, immagino proprio per una nostra tara culturale, riguardo la dominazione del branco, penso alle leonesse, penso alle iene, ci è stata tramandata la cazzata che se spesso è l’uomo a trovarsi a comandare è per una questione fisica, siamo più forti fisicamente, e in un passato passato, quando cioè la forza fisica era un valore aggiunto per stabilire chi fosse in effetti colui preposto al comando, era logico che le donne fossero escluse dalle competizioni, questo in barba al fatto che alle donne è spesso chiesto di fare lavori fisici ben più che agli uomini, sempre in una visione patriarcale del mondo, parlo di quei lavori che si tengon in casa, e volendo lasciare fuori dal discorso la gravidanza e il parto, che comunque anche volendo noi uomini non potremmo affrontare, e anche perché, abituati come siamo a vedere la nostra società che giudica con metri diversi i comportamenti dei maschi e delle femmine, ci sentiamo in qualche modo portati a credere che certi costrutti sociali siano naturali di loro, non appunto così concepiti da noi umani.
Nei fatti sì, è tutto vero, ci sono animali i cui gruppi sociali sono dominati da femmine, vedi quello dei leoni, nei quali è la femmina a difendere il branco, la femmina a occuparsi di crescere i piccoli e procacciare il cibo, e le femmine a accoppiarsi anche cento volte durante il periodo del calore con più maschi, anche di branchi differenti, cosicché i maschi non abbiano poi la tentazione di uccidere i cuccioli, cuccioli che potrebbero comunque essere loro, o come le iene, dove le femmine sono anche più forti fisicamente dei maschi, più aggressive e più forti. E sì, ci sono specie di uccelli nelle quali le femmine tradiscono i maschi senza che questi se ne accorgano, uscendo dal nido mentre i maschi dormono, sorta di tradimenti ricreativi, quelli degli scriccioli azzurri superbi, che però ha lo scopo di irrobustire la specie.
E poi ci siamo noi, dove notoriamente un uomo che ha più partner è considerato cool, mentre una donna è additata come una poco di buono, non a caso anche in questo caso si ricorre spesso al mondo animale, ma l’uomo è uno stallone mentre la donna è una vacca, una troia (la femmina del verro), e dove novanta volte su cento, forse anche di più, quando c’è da scegliere chi vada messo a capo di una qualsiasi situazione sociale si indica un uomo, la sessualità stessa è patriarcale nel suo immaginario, sia esso quello soft degli stereotipi di bellezza femminili imperanti, o quelle più spinti della pornografia, sempre e comunque pensata e sviluppata da un punto di vista maschile e per appagare un pubblico di maschi (spesso vera e propria nave scuola per l’educazione sessuale, si fa per dire, delle nuove generazioni).
Ora non sono un adolescente goffo, ho scoperto quel che mi è stato possibile scoprire sui rapporti tra maschi e femmine, messo su famiglia, occupato un numero consistente del mio tempo professionale a provare a ribaltare certe convinzioni ataviche alla base delle tante discriminazioni verso le donne cui il mondo nel quale lavoro, quello della musica e dell’editoria, è sottoposto. Ho scoperto, non che ci volesse poi molto, ma nella mia narrazione era giusto lasciare per buone le credenze di quando io ero un ragazzino, che il rapporto tra uomini e donne, nel mondo, è assai diverso da come ce lo hanno sempre raccontato, non un uomo ogni sette donne, ma un ben più pragmatico 50,5% di uomini a fronte di un 49,5% di donne, parlo di genere alla nascita, ovviamente, senza tirare in ballo le disforie di genere, gli orientamenti sessuali e via discorrendo, in pratica un rapporto quasi di uno a una. Alla faccia dell’uno a sette. Questa situazione di parità, comunque, non giustifica affatto questi squilibri, né un sessismo galoppante e ormai calcificato, in praticamente tutti i campi sociali, professionali, anche istituzionali, buon ultimo anche nel mondo dello spettacolo. Perché mai non ci sono donne al comando di alcuna major? Perché non ci sono donne che hanno mai coperto il ruolo di direttore artistico del Festival di Sanremo? Perché sono così poche le donne che arrivano alla pubblicazione di canzoni e album, specie se cantautrici? Perché ci sono anche poche donne che ricoprono il ruolo di critico musicale? Perché non ci sono donne a capo dei network radiofonici? Perché ci sono donne che dirigono gli alcuni dei più importanti uffici stampa, è vero, ma non ce ne sono a dirigere giornali e siti? Perché non ci sono donne a capo delle agenzie di booking? Perché non ci sono mai tante donne nei cartelloni dei festival musicali, quelli veri? Perché poche donne arrivano a contendersi i premi musicali? Perché, di conseguenza, la classifica FIMI ha così poche donne nella sua top 100, cosa che non accade all’estero? Beh, questa è facile, se si pubblicano poche donne poche donne finiranno in classifica. Insomma, ci siamo capiti. Certo, c’è Maria De Filippi, c’è stata Mara Maionchi, c’è stata Caterina Caselli, c’è Marinella Venegoni, tutte femmine alpha, tutte donne che hanno dovuto indossare metaforicamente e non i pantaloni, assumere atteggiamenti maschili, indurirsi anche nella voce, oltre che nei modi, e per contro le donne che ricoprono ruoli centrali nella misteriosa gerarchia di Spotify, certo non quello di direttore artistico, assegnato ovviamente a un maschietto, non trovano di meglio da fare che ideare eventi dedicati al femminile nei quali le artiste invitate si devono vestire con tuniche bianche, come fossero ancelle o vestali. A differenza di quel che accadeva nelle nostre case, dove a comandare erano le mamme, i padri spesso relegati a ruoli di comprimari, più a lungo fuori casa, nel mondo dello spettacolo le donne, poche e spesso in seconda fila, sono proprio in seconda fila, ministre senza portafoglio, leonesse che non dominano leoni, iene più piccole e meno aggressive delle iene maschio. Chi mai si volesse ribellarsi a queste regole non scritte, da donna, stia ben attenti a non avere i capelli rossi, è noto che le streghe finiscono per essere date alle fiamme e le streghe, si sa, hanno sempre i capelli rossi.
Ha infatti i capelli rossi una cantautrice, fare discorsi teorici è una mia passione, ma alla lunga diventa una attività sterile, LaMo, all’anagrafe Daniela Mornati, cantautrice milanese che ha esordito anni fa nello spazio virtuale e virtuoso del Festivalino di Anatomia Femminile, e alternando la sua attività di cantautrice a quella di pianista e tastierista, negli anni si è fatta le ossa suonando in tour anche importanti, come quello fatto al fianco di Max Gazzé, per poi approdare in questo autunno alla finale del Premio Bianca D’Aponte. Con una scrittura molto personale, intrisa di trovate letterarie interessanti, sempre giocata sul filo di un’ironia sottile e intelligente, LaMo ha messo insieme un repertorio importane, fatto di canzoni che partono sempre da un’idea forte, complessa, mai appoggiata su armonie e melodie banali, il suo essere una pianista si sente anche a livello di scrittura. Titoli quali Lasciami come vorresti ritrovarmi, canzone che parla di un amore ormai finito a partire dalla tipica scritta che si trova nei cessi degli autogrill, Inutile, che parla della vita moderna a partire da un’intuizione avuta guardando nella vetrina di un negozio t-shirt di gruppi rock vendute già sgualcite e usurate, come a voler esimere l’acquirente anche dal doverla indossare per renderla vissuta, la noia come sottofondo, Sopporto cose che non sopporto, il cui titolo riassume perfettamente il tema di fondo, su come cioè la vita ci ponga spesso di fronte al dover mandar giù situazioni che di nostro non vorremmo affrontare, o appunto Piccioni e Soap Opera, già presentate al Premio Bianca D’Aponte a Aversa, in ottobre, come Al Contrario, che racconta di come i cantanti si trovino spesso a vivere la vita rovesciando i canoni della nostra società, dall’andare in vacanza quando gli altri lavorano, al dormire quando gli altri sono svegli, e viceversa, e Fuori ovunque, che racconta con leggera e malinconica chiarezza i giorni nei quali si è ricominciato a mettere il naso fuori di casa, dopo i vari lock down, dovrebbero spingere un qualsiasi discografico assennato a metterla sotto contratto e pubblicarla all’istante, perché di penne così precise e originali ce ne sono poche in giro, anche in virtù di quella chiusura aprioristica che le cantautrici si trovano a dover vivere sulla propria pelle quotidianamente. Proprio in queste ore LaMo è ospite dell’evento natalizio e lennoniano All You Need Is Love, alla Villa Reale di Monza, organizzato da Musicamorfosi e al quale Anatomia Femminile ha contribuito sul fronte cantautorale femminile, late show alle 17 e 30. Ilaria Pastore è stata presenza fissa dell’evento dal suo inizio, e nelle giornate del 5 e 6 gennaio al posto di LaMo ci sarà Eleviole?, con Malinconie da manuale e il 7 e 8 Jungle J Anne con Otto lune, la cornice della splendida Sala degli Specchi a impreziosire le loro esibizioni. La musica di qualità andrebbe sempre difesa con le unghie e coi denti, anche se la musica di qualità, specie se al femminile, è in grado di difendersi benissimo da sola, tra una carezza e una ghignata, una melodia non scontata e una rima incredibile, poi non venite a dirmi che il cantautorato femminile non è un genere, perché femminile è un genere sessuale, basterebbe essere dotati di orecchie e intelletto, o anche solo di un’anima senziente, per capire che come per la canzone d’autore, questo è un genere trasversale, abitato da splendide artiste, originali, non assuefatte al voler assecondare le assurde richieste del mercato, basta solo saperle e volerle andare a cercare, LaMo è una di loro.