Squadra che vince non si cambia. Per Il Grande Giorno, il loro nuovo film delle feste natalizie, Aldo Giovanni e Giacomo si affidano nuovamente alla regia del loro storico collaboratore Massimo Venier, coadiuvato in sceneggiatura da Davide Lantieri e Michele Pellegrini (più il trio). Ossia il gruppo che con Odio l’Estate aveva rimesso sui giusti binari la loro comicità dopo il mediocre Fuga da Reuma Park.
Per Il Grande Giorno si potrebbero più o meno ripetere le stesse parole usate per la pellicola precedente: partire da uno dei più canonici luoghi comuni della commedia – un padre, anzi due, alle prese col matrimonio dei figli – per imbastirci su un racconto che, più che francamente comico, diventa agrodolce, con un tono affettuosamente sentimentale ad avvolgere tutti i personaggi.
Che sono tantissimi. Perché, questo è uno dei tratti più evidenti dell’intelligenza del trio e della forza di una scrittura equilibrata, ne Il Grande Giorno Aldo, Giovanni e Giacomo non fagocitano il film ma lasciano ampio spazio ai comprimari: le tre rispettive compagne (Antonella Attili, Elena Lietti, Lucia Mascino); i promessi sposi (Margherita Mannino figlia di Giovanni; Giovanni Anzaldo figlio di Giacomo, con i due padri da sempre soci in affari in un mobilificio e ora prossimi consuoceri); più un variopinto scenario di figure e figurine – il cardinalone chiamato a officiare per rendere più sfarzosa la cerimonia (Roberto Citran), il pretonzolo di montagna che lo sostituirà (Francesco Brandi); il costosissimo “Riccardo Muti del catering” (Pietro Ragusa), Francesco Renga nella parte di Francesco Renga – cui è offerto il giusto spazio e le giuste battute utili a caratterizzarli come personaggi e ad esprimere la necessità del loro ruolo in commedia.
Poi naturalmente a fare da collante c’è sempre il trio, impiegato secondo il consolidato stile di ognuno. Giovanni è l’entusiasta un po’ sborone che vuole trasformare il matrimonio in un evento da rotocalco, a coronare quella che lui ritiene la grande amicizia con Giacomo e a segnare pubblicamente il suo successo di imprenditore “arrivato”; Giacomo è più malmostoso, sparagnino di soldi e sentimenti, e vorrebbe mettere un freno a tutto quel dispendio di danaro ed affetti esibiti; Aldo, nuovo spasimante della Mascino ex di Giovanni, sbuca fuori dal nulla, mettendo tutto a soqquadro con la sua eccitazione scomposta, con effetti rovinosi da Hollywood Party (si guardi la gag dei fuochi d’artificio).
Il Grande Giorno è punteggiato di momenti comici catastrofici, in parte legati all’esagitato Aldo, in parte intrinseci alla confezione altisonante che Giovanni ha cercato a ogni costo, dal villone sul lago di Como (di cui, ahi lui, si scoprirà a un certo punto il vero e poco aristocratico nome) al brunch con sushi e pavoni, sino all’agghiacciante scultura in legno omaggio dei dipendenti della “Segrate Arredi” ai loro datori di lavoro. In verità, qua e là emerge da qualche linea di dialogo addirittura l’ambizione di porre il matrimonio quale allegoria del carattere italiano, espressione esemplare di una nazione che non resiste alla tentazione di mettersi in scena recitando aspirazioni fuori scala, utili a nascondere ipocrisie, insicurezze e cattiverie.
Poi però Il Grande Giorno s’accontenta di una dimensione più conciliante, seguendo il filo d’un intreccio che svela gli scheletri nell’armadio di ognuno, trovando una soluzione di compromesso che, come accade a troppa commedia italiana che non riesce ad essere fino in fondo contropelo, passa attraverso momenti emozionali collettivi, con le canzoni a sciogliere i conflitti (qui Maledetta Primavera e quell’agrodolce ritratto delle piccole e grandi cose di pessimo gusto di Figli della borghesia di Brunori Sas). Sia quel che sia, Il Grande Giorno conferma le qualità proprie del trio: Aldo, Giovanni e Giacomo ormai non cercano più di fare un cinema puramente comico ma invece d’osservazione brillante, un po’ accomodante, ma non privo di sincerità e di una certa dose di malinconica saggezza.