Confesso che mi trovo in difficoltà. Niente di grave, succede, ma sono in difficoltà, e sono in difficoltà perché da anni mi interrogo e lo faccio spesso pubblicamente, sulla china che la carriera di Manuel Agnelli ha preso, lasciando trapelare che in quel mio interrogarmi sia insita una critica per una deriva non esattamente comprensibile, almeno ai miei occhi e ai miei orecchi (più i miei occhi, a dire il vero, perché negli ultimi anni Manuel Agnelli si è più visto che ascoltato). Seguo X Factor, non è un mistero, e lo seguo con lo sguardo critico di chi pensa che i talent siano (stati) un male della discografia, per quel loro prendere a volte talenti acerbi, ma comunque acerbi, e averli gettati di fronte a un pubblico verso il quale erano impreparati, per di più a fare un lavoro che spesso non era il loro, quello degli interpreti, snaturandone le caratteristiche, fregandosene delle caratteristiche. Certo, qualcuno si è salvato, è evidente, anche se i numeri ci dicono che è pochissima cosa rispetto al marasma di nomi che di lì sono passati senza lasciare traccia e con la fatica, poi, di cancellare quella voce dal proprio curriculum, come una specie di onta, di peccato da indicare con una lettera scarlatta. Figuriamoci quindi come posso aver preso la notizia dell’approdo su quelle sponde di colui che, volenti o nolenti, più di ogni altro ha provato a dare una forma all’underground, quando ancora l’underground si chiamava così, toh, al massimo “musica alternativa”, prima col Tora! Tora!, poi con Il paese è reale, ma soprattutto col suo dibattersi con gli Afterhours, il suo generoso modo di proporsi come produttore e talent scout. Un tradimento, un tradimento ancora più doloroso perché accompagnato da frasi cariche di paraculismo, come la famosa faccenda del “trovare il nuovo Lou Reed” o quella più recente che accostava il successo dei Maneskin, band sul cui successo ha messo decisamente il cappello, a mio avviso immeritatamente, perché il successo dei Maneskin arriva da altrove, frase che è stata ovviamente ingigantita da un effetto valanga sui social e quindi è stata snaturata, ma che una volta gettata in pasto alla rete, qui il paraculismo, era evidente sarebbe stata male interpetata. Il tutto in un impeto di egoriferimento portato quasi all’implosione, non che l’ego di Manuel sia mai stato mansueto, certo con una certa ironia, convengo, ma comunque a grande rischio di scivolare nello stocazzismo. Ho apprezzato, ma meno di quanto avrei voluto, Ossigeno, il programma portato in scena in casa Rai, certo figlio del passaggio mainstream a X Factor, e sicuramente ho applaudito all’arrivo a Milano di Germi, officina culturale che a Manuel fa riferimento, ma anche questo tenere sempre più in un angolo la band, band che di quel passaggio non ha evidentemente beneficiato, mi è parso più un gesto degno di un Malcolm McLaren che di un artista quale ritengo e ho sempre ritenuto sia Manuel. Anche le sporadicissime uscite a nome proprio, una premiata in ogni dove in quanto parte della colonna sonora di Diabolik, La profondità degli abissi il titolo, l’altra, Proci, decisamente una trollata atta a dimostrare quanto Manuel sia ancora il ghepardo di una volta, mi hanno lasciato abbastanza perplesso. Certo, stiamo parlando della perplessità che si prova verso chi si stima, vorrei miliardi di canzone come Proci piuttosto che una sola cagata come Shakerando, credo sia anche offensivo sottolinearlo, ma da uno che stimi pretendi sempre più di quanto non pretendi dagli altri, è scontato.
Uno dirà, ok, allora perché confessi di essere in difficoltà?
Semplice, perché Manuel Agnelli ha sfornato a cinquantasei anni il suo primo album solista, lui che in fondo è dietro la firma di tutti i pezzi degli Afterhours, è vero, ma che stavolta ha optato per il suo nome e cognome, dandoci una indicazione precisa, e Ama il prossimo tuo come te stesso, questo il titolo dell’opera, è un cazzo di discone. Un discone per le canzoni che ci si trovano dentro, decisamente poco inclini a fare l’occhiolino al pubblico che l’ha conosciuto guardandolo dentro la propria televisione, stiamo comunque parlando di numeri infinitesimali, X Factor è ormai più che altro un fenomeno social, zero ascolti, spigolose, ostili, decisamente alternative ai suoni e i modi di oggi, Maneskin inclusi, un discone perché, praticamente unico in un paese che è sempre più alla deriva, Manuel affronta a viso aperto (anche a petto nudo, così, a occhio) temi nodali della nostra contemporaneità, senza scorciatoie o furbate, ma con la brutale sincerità che forse per qualche tempo sembrava aver perso di vista. Nel farlo pone il pianoforte al centro della scena, sia in chiave melodica che, lo avevamo già sentito in Proci, percussiva, tenendo ovviamente con sé le chitarre, ma lasciando che non siano quasi mai protagoniste assolute. Come un Prince altrettanto assorbito dall’idea di inseguire l’ispirazione Manuel ha suonato quasi tutti gli strumenti da solo, sarà dal vivo che arriveranno quei mostri dei Little Pieces of Marmelade, Beatrice Antolini e Giacomo Rossetti, complice la dilatazione degli spazi e dei tempi dettati dal lock down, lasciando che la scrittura occupasse militarmente la sua vita quotidiana, in quella stessa casa di Abbiategrasso dove ormai ha deciso di trasferirsi, Milano, presente nelle liriche, come un po’ sempre nel corso di questi trent’anni e passa di carriera, amata e odiata al tempo stesso, un po’ più distante. La guerra, la pandemia, la solitudine, l’incapacità di comunicare, un rapporto non proprio risoltissimo con Dio, magari non proprio il Dio della Sacra Romana Chiesa, ma un’entità religiosa che non è ben chiaro se in effetti ci sia o meno. Temi centrali che sembra siano da tempo usciti di scena, e ben venga che a raccontarli e confrontarcisi sia un uomo adulto, maturo, con uno sguardo iconoclasta, certo, ma comunque lucido. Prendete due canzoni come Severodonetsk, dove in effetti la chitarra torna protagonista, o Milano con la peste, ballata decisamente più pianistica, ripeto, il pianoforte è, insieme alla voce, usata in maniera ancora più personale del solito, protagonista assoluto dei suoni di questo disco, prendete queste due canzoni e vi sarà facile capire come Ama il prossimo tuo come te stesso, sulla cui copertina campeggia la faccia oscura di Manuel data alle fiamme, perché in effetti non è dato sapere se in quelle parole evangeliche si nasconda un invito alla fraternità o a rivolgere anche agli altri la propria carica autodistruttiva, diciamo che Manuel per certi versi si ama molto, ma nello scrivere si mette sempre in difficoltà, quasi odiandosi, consapevole che è nell’irrequietezza che si trova la verità, sia un disco dirompente, sincero in quanto necessario, ma a parte tutto questo, un disco di rara bellezza. Il fatto che esca a ridosso dall’uscita di nuovi album dei Verdena, Volevo Magia, Marlene Kuntz, Karma Ckima, Edda, Illusion, prodotto da un quantomai illuminato Gianni Maroccolo, Edda che ai tempi dei Ritmo Tribale proprio con gli Afterhours, sul cui futuro Manuel è stato piuttosto chiaro, c’è uno stato di standby che non può che fare i conti con lui, mica è un caso che nel video che accompagnava il suo primo brano solista Manuel si prendesse la briga di far fuori uno per uno i componenti della sua band, si contendeva lo scettro di anima pulsante della Milano rock, mettendoci anche Emma Nolde, Dormi, prodotto da Motta, Emma Nolde, giovanissima ma mossa dalla medesima energia, rincuora non poco, rincuora nella consapevolezza che la musica a volte riesce davvero a infliggerci dubbi e ferite dalle quali riusciamo a respirare, altro che vacue certezze e rassicuranti narcolessie.