C’è quel momento in cui l’artista si chiude nel suo mondo per potersi finalmente guardare allo specchio e raccontarsi. Gocce di Merlot nasce proprio così, con il giovanissimo Manuel Schiavone in compagnia del suo pianoforte e della sua chitarra e di se stesso, in completa intimità e introspezione.
Gocce è l’album di debutto di un artista già noto con i suoi 30 milioni di stream su Spotify per i precedenti singoli, Sparami Nel Petto e Lacrime Da Bere. Il songwriting è schietto, immediato e fresco: 10 ballate ma non per questo simili tra loro, dal momento in cui ogni canzone è una delle infinite anime che sono proprie di un cantautore.
Piano e chitarre morbide dominano soprattutto in Sparami Nel Petto, Lacrime Da Bere e Diamanti, con soluzioni sonore à la Coez con una prima pausa in Denti, quando ci troviamo di fronte a una vera e propria architettura acustica con le corde pizzicate, la voce sdoppiata in ottave e sospiri che non mancano di schiettezza: “Rompe i co***oni ‘sto silenzio”.
Ventitre ha sfumature blues che fanno bene allo stomaco, ma non parliamo di una ballata: è un brano gentile e dolce, necessario prima del nervosismo di Sognatori In Fabbrica che racconta gli effetti collaterali di un “cuore basta**o”, probabilmente lo stesso che i Placebo in Bright Lights hanno canonizzato con “un cuore che soffre è un cuore che funziona”.
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Si atterra sul morbido con Ma Dai e ci si stupisce con la bellezza del riff di chitarra di Roxanne, ma ci si diverte anche con Alieni che si distingue da tutte le altre tracce. Angeli Stanchi chiude il disco con il tema dell’assenza, quella di cui ti accorgi solo quando qualcuno non è più con te.
Perché di questo, essenzialmente, parla Gocce di Merlot: gioie e dolori di una generazione Z che i boomer associano alla spavalderia e al materialismo, ma che soffre e pensa e crea. Cambia il registro rispetto a un disco di ballate di Cat Power, certamente, ma l’introspezione è sempre un fatto personale.