Preceduto da un’ampia (e chiacchierata) campagna pubblicitaria, Don’t Worry Darling a Venezia79 delude le aspettative. Il nuovo film di Olivia Wilde è un thriller psicologico sul controllo delle menti, che tuttavia scade nel nonsense assoluto, regalando un finale non proprio esplicativo.
L’idolo delle teenagers Harry Styles e la lanciatissima Florence Pugh interpretano Jack e Alice, una coppia innamorata che vive in una comunità idilliaca degli anni Cinquanta, dove ogni cosa è perfetta e al suo posto. Gli uomini lasciano le loro case al mattino per andare al lavoro, salutati dalle brave mogli, che sventolano le mani e lanciano baci all’unisono.
Sotto la bellezza e la perfezione del quadretto paradisiaco di questa comunità, costruita lontana dal caos del progresso, però, si percepisce una tensione, una sensazione che qualcosa non va. Alice, come una classica eroina hitchcockiana, capisce di essere vittima di un complotto e diventa paranoica: in lei nasce l’ossessione di capire cosa succede al di là della città, dove c’è il deserto sconfinato, e per quale motivo i mariti lasciano le mogli all’oscuro del loro lavoro.
La tensione è palpabile quasi da subito, grazie a un buon sonoro, e il film catalizza l’attenzione sul personaggio di Florence Pugh, che traina la storia. Tuttavia, ben presto, la rete di segreti e bugie da tenere a galla comincia a diventare troppo complicata, e molte cose iniziano a non quadrare in una sceneggiatura che non regge. Diversi i punti lasciati in sospeso, altrettante le domande senza risposta, assente lo sviluppo dei personaggi. La narrazione continua a girare intorno a qualcosa, senza sapere bene cosa, non fornendo però la risoluzione finale.
Al di là di Florence Pugh, che porta avanti il film anche da sola, Chris Pine è un antagonista credibile, ma sprecato, così come Gemma Chan, il cui ruolo non viene mai identificato. Affascinante e diabolico, il personaggio di Pine è colpito da Alice poiché è l’unica in grado di sfidarlo. Harry Styles ha ancora una lunga strada davanti a sé per diventare un attore a 360° (e si vede): le sue scene con la Pugh sono troppo meccaniche, incluse quelle di sesso, che si potevano benissimo evitare per non renderle imbarazzanti.
Olivia Wilde ce la mette tutta per costruire una storia interessante, ma le premesse si consumano presto e si arriva alla fine restando insoddisfatti, e chiedendosi cosa davvero si è appena visto.