Siamo esseri razionali. Nel corso dei primi anni della nostra vita incameriamo un sacco di informazioni, apprese personalmente, attraverso le nostre dirette esperienze, e passateci dagli adulti, in famiglia come nella scuola, informazioni che elaboriamo o teniamo da parte, magari senza mai metterle a frutto, ma che contribuiscono a fare di noi esseri razionali esseri ulteriormente razionali. Questo apprendistato, chiamiamolo così, prosegue in realtà per tutta la vita, rallentando i suoi ritmi, ovviamente, e via via andando specializzandosi, sto tagliando questa siepe con il Napalm, seppur tendiamo a credere, anche con una certa legittimità, che col passare degli anni il nostro essere esseri ricettivi tenda a irrigidirsi, come se di colpo faticassimo a trattenere gli input che ci piovono più o meno volontariamente addosso, come di un tessuto che si è sclerotizzato e fatica a rimanere elastico e reattivo quanto in gioventù ci eravamo abituati a vedere.
Per altro, questa faccenda dell’apprendimento maggiore nella giovane età, come nel proseguo, con le dovute differenze, oggetto di studio della disciplina umanistica chiamata pedagogia, è oggi oggetto di scherno e critiche accesissime, leggi alla voce boomerismo, come se di colpo questa consuetudine di passare gli attrezzi del mestiere, chiamiamoli così, di padre in figlio, metaforizzo, lo dico a beneficio dei tanti analfabeti funzionali, fosse diventata una sorta di imposizione dittatoriale, e non una normalissima pratica che si tramanda da millenni, chi più sa più può insegnare, specie a chi, evidentemente, non sa.
Ma non è certo di inutili scontri generazionali che voglio occuparmi, sono un cinquantatreenne, direi anche piuttosto risolto, ritengo che il corso naturale del mondo non necessiti certo delle mie note a piè di pagina. Mi incuriosisce, piuttosto, in questo panorama, provare a ipotizzare, in questo con tutta la libertà che uno scrittore può prendersi nel raccontare una storia, come questa pratica sia cominciata, non tanto quando, immagino all’inizio dell’apparizione dell’uomo in una delle sue prime versioni, ma come. Non esisteva un linguaggio per come lo intendiamo ora, ma suppongo che a versi e gesti ci si potesse far capire, ma ci deve pur essere stato un momento in cui un uomo, e intendo per uomo essere umano, lungi da me fare un discorso patriarcale, anzi, vedrete proprio dove vado a parare, matriarcato a go-go, ci deve essere stato un momento in cui un uomo, dicevo, ha preso coscienza di sé, autocoscienza, percependosi come un animale dotato di raziocinio, pensate il tutto in assenza di linguaggio, qualcosa di davvero sorprendente, andando in qualche modo a distinguersi dal resto del regno animale e quindi cominciare a vedersi sul pianeta Terra, altro concetto all’epoca assolutamente inipotizzabile, figuriamoci, come qualcosa di diverso, di speciale. Tanto più, e questo è un passaggio non irrilevante, che proprio sul pianeta Terra l’uomo di allora, forse anche quello di oggi, era un essere fisicamente indifeso rispetto predatori di ogni tipo, proprio la mente unica arma a sua disposizione.
Ok, lo ammetto, sto raccontando l’evoluzione dell’uomo, siamo sempre lì, con la stessa precisione chirurgica che Spike Jonze ha messo in scena nell’iconico video di Right Here, Right Now di Fatboy Slim, ma non è neanche questo il focus su cui sto provando a concentrarmi e, per osmosi, concentrare la vostra attenzione. Nell’ipotizzare cosa a un certo punto nel nostro passato remoto sia accaduto che l’uomo ha cominciato a percepirsi come essere razionale non so cosa pagherei per capire quando e come, più come che quando, l’uomo, stavolta sì inteso come essere umano di sesso maschile, ha intuito che il sesso era qualcosa di piacevole, e anche come il tutto si sarebbe potuto svolgere. Suppongo che gli animali siano tutti passati, nelle rispettive ere geologiche in cui sono apparsi, esattamente per lo stesso percorso, ma io sto occupandomi di uomini, ora. Cioè, era lì, ha visto una donna, e via, ha capito tutto. O magari la cosa è andata diversamente, è stata una donna a aver capito prima come girava il fumo. Vallo a sapere, appunto. Nei fatti, da qualche parte devono aver cominciato, una faccenda evidentemente dettata dall’istinto, aspetto che esula dalla razionalità, e che fa scivolare l’uomo, non ancora herectus, più verso gli animali che verso quelli che poi avrebbero lanciato missili verso Marte. Ora, sappiamo, ce lo ha detto quanto abbiamo poi codificato nelle varie discipline scientifiche dedicate proprio all’uomo e al mondo animale, che il sesso è stato visto sin da subito come strumento per procreare, la Chiesa su questo ha poi messo un suggello piuttosto calcificato, a sua volta strumento per la prosecuzione della specie, a riprova che, a livello istintivo, ci sia un attaccamento alla vita che nel mondo animale è assai più radicato di quanto non sia tra noi umani, non parlo per me, ho quattro figli, facevo un cenno sarcastico al costante decremento demografico in atto in Italia, ma sappiamo anche che, nel corso della storia, proprio quell’uomo che cominciava a prendere coscienza di sé è incappato in un bug che a lungo è stato oggetto di un fraintendimento a suo modo clamoroso.
Proviamo a mettere qualche punto fermo, così da vedere la figura d’insieme in tutti i suoi dettagli.
In natura ci si riproduce, quasi sempre, attraverso il sesso. Questo almeno succede per i mammiferi, buona parte, di cui l’uomo fa parte. Noi umani, da tempo, ci siamo convinti che l’uomo pratichi sesso non solo per riprodurci, anzi, quasi mai, anche se l’istinto è da lì che deve essere partito per farci capire che tipo di incastri potevamo praticare. Zoologi, etologi e altri scienziati ci hanno mostrato come anche nel mondo animale c’è chi pratica sesso per il piacere e non solo per riprodursi, pur rimanendo la questione della prosecuzione della specie sempre lì, all’orizzonte.
Fin qui, quindi, tutto bene.
Poi però veniamo a sapere, ce lo hanno detto gli storici, che a lungo, in un passato remoto, la donna, capace di procreare, era venerata come una divinità, sì, compagni e compagne, c’è stato un tempo in cui il matriarcato era reale. Esistono statuette, immagini, reperti che mostrano donne dalle fattezze decisamente tondeggianti, come a voler riprodurre la figura di una donna incinta, le cosiddette pudenda messe in risalto, gonfiate, in rilievo, non tanto perché la donna, in effetti centrale per la riproduzione della specie, proprio in questi giorni la questione del corpo della donna, dell’utero, gli antichi erano sessantottini assai prima del tempo, penso alla Potnia, vado a memoria, ma davvero tra Mediterraneo, Africa, medio oriente, oriente e affini c’è l’imbarazzo della scelta, e tutto questo perché l’uomo, stavolta inteso sia come essere umano che come essere umano di sesso maschile, non è stato riscontrato che in questo le donne non fossero parte cosciente del discorso, ma io un minimo di furbizia e malafede ce la vedo, tutto questo perché l’uomo non ha sin da subito legato tra loro l’atto sessuale e la gestazione, quindi la procreazione. Come dire, accoppiare selvaggiamente si accoppiava, uso l’avverbio in questione con tutta la simpatia che posso, sia chiaro, ma poi di colpo la donna cominciava a gonfiarsi, la cosa andava avanti per qualche mese e poi, zac, nasceva un figlio. Solo che il fare sesso e la faccenda della donna che si gonfiava e che poi partoriva non erano consequenziali, nessuno aveva pensato a connettere le due cose. Miracolo, magia, poteri divini.
Forse è proprio a quei tempi che si è radicata l’idea, nel mentre si poteva davvero parlare di idee a ragion veduta, scusate il gioco di parole, l’uomo non era più uno dei tanti animali sul pianeta, sempre che lo sia mai stato, forse è proprio a quei tempi che si è radicata l’idea che il maschio sia genericamente meno sveglio delle femmine, salvo poi, una volta capita la questione della procreazione, passare al ruolo di comando e dar vita a una forma di vendetta senza precedenti, tutti i ruoli di potere tenuti in propria mano, a discapito di quello che, non a caso, poi è stato classificato come il gentil sesso, primo passo, e anche qui sto usando il Napalm al posto delle tronchesi, tutta la storiella dei filosofi greci che se la giocavano tra loro, ritenendo le donne esseri inferiori, atte solo appunto allo sfornare figli. Poi il cristianesimo ci ha messo su un bel carico, spostando l’accento, certo, la donna che diventa iconicamente Madonna, vai di Napalm, ma sempre una visione un filo forzata del suo ruolo di procreatrice, il sesso visto solo come mezzo per quel fine, il desiderio, la passione, esclusa dai giochi, esattamente come nella nostra visione, a volte miope, del mondo animale. Seppur gli animali, a nostra differenza, magari non a livello razionale ma solo istintivo, problemi a capire come funzionasse il sesso e la procreazione sembra non ne abbiano mai avuti e continuino a non averne, né santificazioni né stigmatizzazioni in scena, vedi poi a idealizzare la razionalità.
Proprio di gravidanze e parti e depressione post-partum e superamento della depressione post-partum, la storia ci dirà poi superamento mai del tutto avvenuto, parla una canzone che, guarda caso, si intitola proprio Animal Instinct, portata al successo nel 1999 dai Cranberries di Dolores O’Riordan, poi tragicamente scomparsa nel gennaio del 2018. La canzone parla appunto di dolore inflitto e di gioia ritrovata, facendo chiaro riferimento alla nascita del figlio della cantante irlandese Taylor Baxter, nato tre anni prima, è proprio lui a averla fatta piangere e morire, come recita nella terza strofa, e alla depressione che la colse nei mesi successivi, di quella parla nella seconda. Un brano dal ritmo energico, l’armonia parte da un giro di chitarra acustica, ma intriso di una malinconia incredibile, evidenziata in modo unico dalla voce unica della O’Riordan, forse mai come in questo caso empatica nel trasmettere emozioni contrastanti, il sottile filo che tiene insieme amore e morte, il rimorso, per certi versi anche una forma latente di rancore. Una canzone uscita, questa è una notazione a margine del tutto prescindibile, cinque giorni prima che mi sposassi, colonna sonora di un’estate, per me, tutt’altro che malinconica. Una canzone intensa, anche ascoltandola oggi, a distanza di ventitré anni buoni, decisamente sorretta dalla voce di un’artista che, si dice in questi casi, ha decisamente lasciato un vuoto ancora non colmato, e che ha fatto delle sue tante sofferenze, in gioventù era stata anoressica, è cresciuta, cattolica, in una terra martoriata da scontri fratricidi, Zombie, la hit più nota dei Cranberries, parla proprio di questo, a riprova che la razionalità, sempre che il talento artistico abbia a che fare più con la razionalità che con l’istinto, ha fatto anche cose buone, come nella vulgata il fascismo. Il balletto che Dolores, nome figlio di una forte fede nella Madonna dei sette dolori da parte dei genitori, inscena nella parte finale del video che accompagnò ai tempi la canzone, un po’ didascalicamente concentrato a raccontarci di una madre che scappa coi suoi figli, lei vestita di bianco, una corona di gigantesche margherite a cingerle la fronte, scalza, i movimenti quasi meccanici, semplici, quasi infantili, una spina che ti si ficca ancora oggi in cuore, tanto più a pensarla lì, morta in una vasca da bagno a Londra mentre provava a incidere nuova musica, come un Jim Morrison senza tutta quell’aura di mistero e di leggenda.
No, non se ne viene fuori, l’atavico scontro tra raziocinio e istinto animale continua a tenerci in stallo, fortuna che adesso il potere ce l’abbiamo tutto in mano noi maschietti, almeno possiamo sempre contare su una versione semplificata della realtà, senza troppi orpelli e arzigogoli, linguaggio binario (parlo di informatica, non di gendrismo) e via verso la prossima classificazione dell’homo, quello Sapiens ormai coi giorni contati.