Ci sono delle passioni che uno, tendenzialmente, tiene per sé, altre che non può fare a meno di condividere. Non parlo di nulla di pruriginoso, intendiamoci, non sto parlando di passioni che sconfinino nel campo del vizio, e già solo usare questa parola mi diverte, manco fossimo in un trattato di etica, né di ossessioni o feticismi vari, parlo proprio di passioni in senso pop, come tutti le intendiamo. Uno apprezza particolarmente un certo piatto, uno sport, o uno sportivo, un artista, un genere letterario. Ecco. Mettete voi nello spazio vuoto la vostra passione, ne avrete sicuramente almeno una. Mettete voi nello spazio vuoto la vostra passione e provate a pensare a come vi comportate a riguardo. Fossimo tutti in una grande arena, dico grande perché ho un senso dell’autostima piuttosto ben oliato, e ci dividessimo in due macro-squadre, credo che il gruppo di chi tiene le proprie passioni gelosamente per sé, quasi si trattasse di un segreto di stato, sarebbe di pari portata rispetto a chi non può fare a meno di condividere col mondo intero, a partire da chi conosce e frequenta personalmente, magari quotidianamente, passando per chi invece vede di rato, il mondo appunto dei conoscenti, arrivando poi a chi incrocia più o meno virtualmente nel mondo dei social, lì a raccontare, esaltare, tentare di fare proseliti manco fosse un culto di quelli che pretendono di salvare le anime. Due grandi squadre contrapposte, come in una sorta di scontro finale tra bene e male, al mio tre scatenate l’inferno, potete toglierci tutto ma non la libertà, e via discorrendo, a voi stabilire chi incarni il bene e chi il male.
Essere gelosi di ciò che si ama, o volerne far vanto, sperando che in tanti lo amino nasconde, è evidente, una differente attitudine verso le proprie passioni, e anche verso l’oggetto delle proprie passioni, per dire, suppongo che se uno fosse appassionato, gioco con le parole, di una parte specifica del fisico della propria compagna o del proprio compagno, un culo, le tette, i bicipiti, quel che è, non è che starebbe proprio lì a spammare i social di foto del suddetto, come credo non ne parlerebbe coi parenti al pranzo di Natale, ma nel campo delle passioni ascrivibili al campo della cultura, dello sport, dello spettacolo, dell’intrattenimento, toh, anche della gastronomia, direi che la faccenda è decisamente diversa.
Il fan geloso e il fan a caccia di consensi incarnano proprio due tipologia antropologiche differenti, tipologie che nel mio settore di competenza, quello della critica musicale, volendo anche del giornalismo musicale, dà vita a chi soffre della cosiddetta “sindrome di Rockerilla”, dal nome di una storica e nota rivista dedicata al rock alternativo, cioè quella gelosa passione che spinge a disconoscere l’amore estremo espresso per un artista quando era di ultra nicchia nel momento in cui detto artista incontra non dico un successo planetario, ma anche il consenso da parte di qualche centinaia di persone, gelosia che porta a parlarne, se va bene, in termini di “venduto”, “commercializzato”, “sputtanato”, il tutto contrapposto alla “sindrome del Pool Guys”, dal nome che il giornalista de La Stampa Luca Dondoni, ormai sei anni fa ha dato a se stesso e ai colleghi Andrea Laffranchi del Corriere della Sera e Paolo Giordano de Il Giornale, nel momento in cui calcavano le mattonele scivolose della piscina del resort di Miami dove Laura Pausini li aveva invitati a proprie spese per presentare il suo album Simili, sindrome che prevede un asservimento esaltato nei confronti di chiunque si parli, specie se colui o colei di cui si parla è titolare di un qualche successo di pubblico o comunque di una qualche leva di potere, al punto da passare per qualcosa di simili al miglior amico dell’uomo, lì a scodinzolare in ogni occasione, anche a rischio di passare per chi di musica poco capisce, a andar bene, se non addirittura per un prezzolato pronto a incensare anche l’incascoltabile.
Non starò certo qui a dire che categoria faccia parte io stesso, specie dopo aver più volte dichiarato di non essere fan di nessuno, seppur il fatto che io sbandieri in ogni occasione il mio tifo per i colori del Genoa e del West Ham United, e non faccia affatto mistero del mio essere appassionato cultore del cantautorato femminile potrebbe lasciarvi intendere quel che a parole non intendo dichiarare.
Però, ovvio che c’era un però, mica l’avrei tirata così per le lunghe per chiudere circolarmente un pezzo nel quale, in sostanza, fotografavo asetticamente una meccanica divisione del mondo tra buoni o cattivi, senza neanche stare a specificare chi sia chi, però succede che in un neanche particolarmente caldo giorno estivo, mi capita sotto mano una storia di Instagram che, in qualche modo, incrocia due delle mie passioni, quella che provo proprio per il mondo del calcio, passione che ha resistito a tante retrocessioni, l’ultima poche settimane fa, figuriamoci se non è passione solida e radicale, con quella per la musica al femminile, e se scrivo musica al femminile, sapendo di urtare la sensibilità di chi in queste medesime settimane sta provando a far passare chi parla di generi sessuali affiancandoli alla parola musica come una sorta di schiavo inconsapevole del patriarcato, è proprio perché so che le cose non stanno affatto così, e finché ci sarà discriminazione è doveroso sottolineare quando un talento è donna anche per evitare che ci si concentri troppo poco sulla parola talento, ipse dix.
La faccio breve, ero stancamente buttato sul divano, i figli al mare, io in casa a lavorare nonostante l’essere un libero professionista dovrebbe potermi veder lavorare dove voglio, quando sono incappato appunto nella storia IG di Silvia Oddi, cantautrici che seguo sin dal suo esordio, anni fa, e di cui vi ho più volta cantato le gesta, grande autrice, grande interprete, grande donna che suona una chitarra elettrica bianca, come Wendy Melvoin dei Revolution princiani. Nel video in questione Silvia, i capelli corvini raccolti in un turbante, un bikini che nascondeva poco un fisico atletico, stava in spiaggia a palleggiare. Non due o tre palleggi, e qui sto facendo il maschilista che sottintende che Silvia Oddi, in quanto donna, non dovrebbe saper fare qualche palleggio in più, confesso, non sono un grande appassionato di calcio femminile, ma una bella sequenza, il tutto mentre in sottofondo si sente una musica che, giuro, mi è arrivato addosso come la scarica di adrenalina infilata nel cuore di Uma Thurman nell’iconica scena di Pulp Fiction. Un brano dalle sonorità dance, lei che ha sempre giocato con il pop partendo da uno spirito decisamente punkeggiante. Funky chitarristico, giro di basso che pompa, una voce con alto grado di sensualità a rendere il tutto assai danzabile, anche per chi, come me, soffre di pressione bassa e col caldo ha la stessa vitalità del morto nel film Un weekend con il morto. Un brano che, lo avesse fatto Dua Lipa, gioco a tirare in ballo un nome gigantesco perché, fidatevi, Silvia Oddi è un talento vero e potentissimo, come tutto quel che potrebbe farne una popstar di livello internazionale, se solo il mercato non fosse di suo cieco e, ahinoi, sordo senza possibilità di ricorrere a un apparecchio Amplifon. Una cantautrice autarchica, anche nello scegliere di giocare coi generi, con l’immaginario, la penultima volta che l’ho vista era vestita come Hurley Quinn, stavolta è a palleggiare col turbante e il bikini in spiaggia. Del resto Silvia, oltre che una grande cantautrice e artista pop, oggi, è anche una provetta calciatrice, fulcro sul quale si sta costruendo, coi tempi che questi anni pandemici permettono, la nascitura Nazionale Italiana Cantautrici, di cui sono stato indicato come allenatore (non sono un grande appassionato di calcio femminile, ma credo di essere il massimo esperto di cantautrici, oltre che buon conoscitore del calcio, e da qualche parte toccava partire).
L’avrete capito, tendo a dichiarare le cose che mi appassionano, e lo faccio volendo anche a tavola, durante il pranzo di Natale. Alla peggio, se mai mi dovesse uscire di bocca qualcosa che avrei fatto meglio a tenere segreto, nessun problema, potrò sempre dichiarare che era stato quel Vin Santo che ci ha mandato un parente dal medioecra avermi fatto dire qualcosa che non pensavo. Silvia Oddi e la sua La musica non bastava, questo il titolo del suo nuovo singolo, la bomba dance di cui sopra, la potete apprezzare anche da sobri, seppur la lucidità non sia necessaria per mettersi a ballare.