Trent’anni fa, per qualche tempo, sono stato un hit-maker. Per hit-maker, lo dico a beneficio di chi non sia troppo pratico di come gira il fumo nel sistema musica, anche se magari ha ben presente il frutto di quello che l’hit-maker fa, si intende una persona che scriva delle hit, brani, cioè, destinati a una diffusione di massa, baciati da un successo trasversale, che spesso esca dall’alveo sicuro delle fanbase. Insomma, qualcuno che scriva una hit.
Nel mio caso, va detto, la cosa era stata del tutto casuale, naturale, quasi, e parlare di hit è forse un filo generoso, trattandosi del mio tormentone, altra parola con la quale si tende a indicare le hit, specie se hit non esattamente baciate da quelle caratteristiche con cui solitamente si indicano le canzoni di qualità, trattandosi quindi del mio tormentone, e anche dire mio è un filo generoso nei miei confronti, seppur io abbia scritto linea melodica e testo del brano, cioè tutto quello che nello specifico ne ha poi caratterizzato il successo, toh, tutto più l’aggiunta di un giro di basso, più un riff che un giro di basso, che in effetti ne è stata cifra riconoscibilissima e acclamata, comunque, trattandosi del mio tormentone, nei fatti, come di un tormentone piuttosto local, non certo ascrivibile a massa, o almeno a massa di livello nazionale o, viva Dio, internazionale. Lo dico, col senno di poi, con una certa gratitudine nei confronti di un destino benigno e benevolo nei miei confronti, e non si leggano queste mie parole come di chi, perso un treno, sta qui a tratteggiare tutta una serie di dinamiche che, quel treno non fosse stato perso, sicuramente sarebbero andate in scena, non rimpiango nulla, anzi, sono ben felice che le cose siano andate così, proseguendo nella lettura la cosa vi sarà chiara, e il fatto che voi stiate leggendo, sappiatelo, è in primissima istanza la prova provata di quel che vi andrò a dire, lo dico, col senno di poi, con una certa gratitudine nei confronti di un destino benigno, perché fosse quella mia, nostra hit divenuta hit nazionale o internazionale, mi chiedo per altro come mai una faccenda del genere sarebbe potuta succedere ai tempi, io oggi probabilmente farei altro, e non credo che l’altro che mi troverei a fare sarebbe esattamente meglio di quel che sto facendo ora, anzi.
Quando mi capita, e mi capita spesso, mi capitava spesso, dovrei dire, sono mesi che non incappo in faide coi fanclub degli artisti dei quali scrivo, dei quali scrivo in maniera negativa, un po’ perché non scrivo quasi più di artisti che mi fanno cagare, non serve, fuori è tutta morte e distruzione, perché mi dovrei accanire su chi sta già spirando di suo, un po’ perché di fare faide coi fanclub di artisti che mi fanno abbastanza cagare, o del tutto cagare, mi è venuto a noia, non c’è gusto in Italia a essere intelligenti, per dirla con Freak Antoni, che in questa storia avrebbe anche un certo peso, ma soprattutto non c’è gusto in Italia a provare a alzare il tiro, quando tutto scorre rasoterra, comunque, quando mi capita, mi capitava spesso, di stroncare qualcuno, arriva sempre un manipolo di analfabeti funzionali a dirmi che scrivo così perché sono invidioso, perché nella vita avrei voluto fare il musicista e sono un musicista fallito, dando quindi all’idea di essere un musicista la sola valenza di musicista baciato da un successo popolare, mainstream, per altro, perché che ne sapete voi se sono o non sono un musicista, e se vale la regola che chi impara a suonare uno strumento è un musicista per sempre, come chi impara a andare in bicicletta, o a nuotare, beh, io sono sì un musicista, e stando ai paletti molto ampi che si utilizzano oggi, non fatemi star qui anche oggi a citare la Michielin, sono addirittura un polistrumentista, pensa te, quando mi capita, e mi capita spesso, mi capitava spesso, di incappare in chi mi accusa di essere un musicista fallito, un rosicone, Dio che orrore che mi fa questa parola, sorrido, e sorrido con la sicumera che solo chi sa di star per sferrare un colpo mortale può permettersi, avete visto tutti certi film epici dove l’eroe, alla fine, vince sempre. E sorrido perché io non ho mai pensato, neanche nell’attimo in cui ho scritto questa hit, neanche nell’attimo in cui questa hit è diventata tale, una hit, seppur una hit local, marchigiana, non ho mai pensato, ma neanche sotto tortura l’avrei fatto, che nella vita avrei voluto fare il musicista, figuriamoci scrivere canzoni destinate in qualche modo a essere cantate da sconosciuti, ballate da sconosciuti.
È successo, però, e è successo nel modo più strano possibile, ancora oggi mi capita che mi si chieda conto di questo mio aver scritto quella canzone, canzone di cui, questo sì figlio di quei tempi, non resta traccia, perché traccia non c’era, mai incisa, mai filmata, mai uscita dalle hit, vedi alla voce Mannarino primi tempi, una hit circolata per centri sociali e locali, entrata nell’immaginario collettivo, parlo di un collettivo che oggi potrebbe essere appunto indicato con la parola collettivo, quello del mondo alternativo, di cui io, ma qui dire io è davvero sbagliato, dovrei dire noi, assolutamente noi, anzi, quasi il mio esserci è stato un errore di forma, successivo alla messa in circolo, e comunque non destinato a essere identificato con, canzone, in pratica, che è diventata una piccola leggenda local, sempre local, più grande della canzone stessa, citata anche da gente che quella canzone, se non c’eri non potevi averla ascoltata, non l’ha a ben vedere mai sentita. Succede, specie nel mondo underground, che certi fenomeni si generino più per passaparola che per reale adesione ai fatti, pensate al concerto del Velvet o del Bloom dei Nirvana, a cui hanno assistito poche centinaia di persone ma che molti dicono di aver visto, magari anche credendoci, come spesso succede a quelle bugie che, ripetute all’infinito, finiscono per diventare vere.
Chi non ha assistito mai a un concerto, fatemi essere generoso, degli Epicentro, questo il nome di quel noi cui facevo riferimento qui sopra, non ha potuto ascoltare Pentigano’, questo il nome della hit, e se dice di averla ascoltata o esistono cover di cui non sono a conoscenza, e nell’epoca di internet credo sia alquanto improbabile, o mente sapendo di mentire, o non sapendolo ma comunque mentendo.
Pentigano’ è stata, a cavallo tra il 1992 e il 1994, questo il triennio nel quale gli Epicentro sono esistiti, questo il periodo nel quale questa canzone ha iniziato a circolare, anche se a essere precisi il periodo clou è stato anche più breve, ottobre 1993-luglio 1994, non pignoleggiamo, Pentigano’ è stata, a cavallo tra il 1992 e il 1994, una piccola hit local, cantata in coro alle nostre gig, chiamarli concerti mi sembra eccessivo, generoso oltremodo nei nostri confronti, entrata nell’immaginario collettivo di un novero di persone, quelle dei collettivi, appunto, seppur priva di ogni sorta di impegno sociale, di messaggio che non fosse iconoclasta e per di più anche vagamente sarcastico, depauperata di tutte quelle istanze che, al’epoca, avevano reso e avrebbero continuato a rendere il mondo dei collettivi qualcosa di serio con cui fare i conti, una alternativa destinata certo al fallimento ma comunque alternativa a un mondo che faticava a rialzarsi dalle ceneri della Prima Repubblica e soprattutto all’arrivo violento e arrogante della destra al potere.
La hit in questione, questa storia l’ho raccontata più e più volte e ne ho anche scritto dentro un romanzo, Anime @ losanghe, che di quell’epopea ambiva, con successo, a essere pietra tombale, tanto violento e feroce nel raccontare le vicende di quel gruppo, io, da aver per certi versi impedito a tutti noi che di quell’avventura abbiamo fatto parte di rivolgerci anche solo il saluto, per anni, quando solo l’affetto antico e l’incedere benevolo del tempo ha poi permesso che le cose si rappacificassero, senza per altro portare a un nuovo avvicinamento, la hit in questione è nata in quella che era la nostra sala prove, prima che quella che sarebbe stata la nostra sala prove divenisse in effetti la nostra sala prove. Noi avevamo cominciato a suonare i nostri strumenti, molto male, va detto, in una cantina. E non è una metafora, ma un dato reale di fatto, suonavamo nella cantina della nonna di Emanuele, il nostro cantante, oggi dirigente dei vigili del fuoco in un capoluogo di regione, converrete che citarne il cognome potrebbe risultare fuoriluogo. Ci trovavamo lì, io con la mia chitarra elettrica Melody Vintage, imitazione della Fender Stratocaster della Eko, Roberto col suo basso Iris, comprato per quarantamila lire in un viaggio post-caduta del muro a Praga, Michele con la sua batteria, lui era nel gruppo proprio per il suo avere la batteria, non frequentava infatti il nostro gruppo di amici, Emanuele alla voce. Appena facevamo i primi accordi, facevo i primi accordi, all’epoca ero il solo a saper suonare, il solo a aver già suonato più e più volte in pubblico, ecco che arrivava la signora del piano di sopra, minacciando di chiamare i carabinieri, facendo una manfrina che non ti dico. Urlava, in genere, parlando di sua figlia che doveva studiare, di come la nostra musica, musica che non avevamo neanche iniziato a pensare, figuriamoci a suonare, le entrasse in testa distraendola, roba che neanche in un remake punk di Footloose. Per questo avevamo deciso di mandare a cagare quella situazione, ingestibile, spostandoci dentro la zona della Fiera della Pesca, dove lo zio di Roberto, il mitico zio Remo, aveva con suo fratello una fabbrica di non ho mai capito cosa, credo delle pistole sparachiodi da tappezziere. Il piano superiore di questa costruzione, cui ai tempi si poteva ancora accedere senza dover passare ostacoli come la dogana, era praticamente inutilizzato, giusto qualche vecchio macchinario in disuso, e lì si poteva fare tutto il casino del mondo, non essendoci altro che fabbriche intorno. Unico ostacolo, anche di questo ho già scritto, Canga, un ferocissimo pastore tedesco che non mancava mai di terrorizzarci, mostrandoci i canini e saltandoci addosso con fare minaccioso, le sue zampe anteriori appoggiate alle nostre spalle, il muso a puntarci la faccia.
Lì, un pomeriggio, in realtà in assenza di Michele, ma in presenza di due ragazzi che poi sarebbero stati parte del nostro fanclub ma mai sarebbero entrati nella lineup della band, abbiamo scritto, ho scritto in buona parte io, Pentigano’, Massi Di Prenda, oggi batterista dei Kurnalcool e da sempre sodale di tante avventure rockettare in quel di Ancona, e Giacomo, mio amico fraterno dai tempi dell’asilo. Proprio Giacomo ha iniziato a fare questo giro di basso sghembo, melodico, col suo Giustozzi, comprato a sua volta a Castelfidardo, presso una azienda specializzata in fisarmoniche, io ho preso un cartone da un tavolaccio e ho iniziato a buttare giù il testo, inventandomi una linea melodica che seguisse in qualche modo il basso, il tempo di aggiungere qualche accordo e Pentigano’, la storia di questa signora che ci interrompeva perché la nostra musica disturbava sua figlia e di quel che noi, oggi la cosa sarebbe stata bollata come sessista e noi saremmo finiti probabilmente nella graticola, dovesse invece passare i suoi pomeriggi giovanili. Così è nata una canzone che sarebbe stata la prima della band, gli Epicentro, ai tempi ancora senza nome. Io avrei mollato per un po’ le prove, preso dagli esami all’Università, pensando a quel brano e a quella situazione come ai Dead Kossigas, così avrei voluto si chiamasse in omaggio neanche troppo velato ai Dead Kennedys, salvo poi rientrare circa un anno e mezzo dopo, nell’autunno 1993, dopo la morte di Alessandro, il padre di Roberto e anche di Paolo, fratello maggiore di Roberto, che proprio i Dead Kennedys mi aveva fatto conoscere, oltre che buona parte della musica alternativa che ascoltavo ai tempi. Io per qualche anno avevo abitato nel piano sopra casa loro, in Via Veneto, e anche questa storia l’ho raccontata anche troppe volte.
Nei fatti, ritrovati Roberto e Paolo dopo la morte improvvisa di loro padre, ero rientrato nel gruppo giusto in tempo per prendere parte a Cittadella Live, un mega evento per band e artisti locali che si sarebbe svolto, guarda il destino, causa maltempo, proprio alla Fiera della Pesca, a due passi dalla nostra sala prove. Da lì, anni dopo, sarebbero usciti i Negramaro, per intendersi.
Da quel momento, rientrato in lineup e spodestato a suon di riff e di passo dell’oca Marco, il chitarrista che aveva provato a sostituirmi, per un anno ho suonato con quella che è stata the Next Big Thing in zona, partecipando a Festival, sagre e finendo poi per mandare tutto a puttane in quel di Martinsicuro, nella nostra unica sortita fuori regione, Martinsicuro è il primo comune dell’Abruzzo, se arrivi dalla Marche lungo la costa, e lì si svolgeva la semifinale di Anagrumba, concorso che ci avrebbe potuto portare a incidere il nostro primo album, l’anno precedente aveva vinto quel contest la band degli Almamegretta, sempre per dire. Noi lì ci siamo piantati, per questioni entrate a loro volta nella leggenda locale, Mimmo Locasciulli a presiedere una giuria e preso per il culo dal nostro cantante Emanuele, anche questa l’ho raccontata, perché recentemente lui mi ha citato quel momento, evidentemente parte della sua memoria, noi eliminati e a mandarci a cagare sul palco, Pentigano’ e le altre nostre canzoni, Strada Statale 16, Cazzo signor tenente, Terzo sgrullo, ne cito giusto alcune, credo servano a creare atmosfera, destinate a rimanere nell’aria come oggetti del desiderio, mai incise e quindi atte a essere tramandate solo oralmente.
Non che io oggi stia per diventare un Sixto Rodriguez, intendiamoci, nella vita faccio altro e proprio in quei mesi lì, quando io e gli altri ragazzi ci stavamo mandando a cagare sul palco delle semifinali dell’Anagrumba, un Mimmo Locasciulli a disagio in giuria, un Goran Kuziminac al momento fuori dai giochi a farci i suoni e di lì a poco destinato a tornare a incidere proprio grazie all’aver incontrato in quell’occasione Locasciulli (è per questo che Mimmo ricordava la serata, non certo per la lite tra me e il resto della band, dovuta per altro alle parole fuoriluogo di Emanuele, a prenderlo per il culo dal palco), stavo iniziando a scrivere le mie prime cose, di lì a qualche tempo pubblicate e capaci di trasformare quello che pensavo fosse un mio talento nei miei ferri del mestiere, ma trent’anni sono trent’anni, e credo che sia un numero sufficiente di anni per poterne parlare, e magari anche per ipotizzare davvero che di quell’esperienza, raccontata in tanti pezzi e in un romanzo, ma mai fermata su traccia, si possa fare qualcosa anche in campo musicale. Ho più volte parlato dell’idea di una reunion, l’ultima, citata proprio da queste parti, è stata evocata, ma credo a mero scopo esorcistico, dallo stesso Roberto al funerale di sua madre Vittoria, dove per la prima volta tutti noi ci siamo incontrati di nuovo di persona, come ho più volte parlato di farne una versione io, magari tirando in ballo quelli che poi sono diventati i miei amici, quei musicisti, musicisti professionisti, artisti identificati collettivamente come tali, che per lavoro ho conosciuto e per questioni di stima e pelle ho poi preso a frequentare anche al di fuori dal lavoro, come una sorta di Monina & Friends che non farebbe che contribuire a dare di me un’immagine eccentrica, del resto di cose eccentriche ne ho fatte parecchie, anche ultimamente, una più una meno. Ecco, magari potrei fare proprio questo: prendere questa storia e raccontarla in un lungo reading, il romanzo in questione in fondo, a mio modo, questo voleva fare, senza ambire a entrare nel Guinness dei Primati, ma dando modo a alcuni degli attori che in questa storia hanno avuto un ruolo centrale o anche solamente collaterale, di prenderne parte. Certo, sarebbe figo avere Jello Biafra, anche la faccenda dell’autografo fatto dall’ex leader dei Dead Kennedys al mio Anime @ Losanghe, poi finito nella libreria del compianto Alan D. Altieri l’ho raccontata, come di quando, per altro neanche troppo dopo l’uscita di quel romanzo, ho conosciuto Perry Farrell, che lì evocavo proprio nel finale, credo di aver parlato un numero sufficientemente alto di volte di queste vicende negli anni da permettermi di passare a volo d’angelo anche su momenti che altrimenti sarebbero centrali, ma solo a pensare a un Raiz, un Locasciulli, un Marino e Sandro Severini della Gang, i Kurnalcool, i Via Verdi, tutti lì sul palco sarebbe di un certo effetto.