È certamente riduttivo dire “la Turandot”, perché quando si parla dell’opera italiana è bene ricordarsi che usare lo stesso lessico del pop e delle chart potrebbe mandarci incontro a morte certa. Eppure l’opera di Irene Fargo, in quel 1992, è stata pura divulgazione.
Per quella voce d’altri tempi di Palazzolo Sull’Oglio non era la prima volta all’Ariston. Solo l’anno precedente Flavia Pozzaglio – questo il nome di battesimo – aveva partecipato con La Donna Di Ibsen arrivando seconda tra le Nuove Proposte. Anche in quel caso, del resto, Irene Fargo aveva fatto opera di divulgazione. La Donna Di Ibsen aveva un testo ispirato all’opera La Donna Del Mare del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen e sì, la cantante di Palazzolo aveva dimostrato che l’amore per il teatro e per la musica potevano convergere in un’unica esperienza, anche sulle reti nazional popolari.
A lei, però, dobbiamo Come Una Turandot. Non una semplice canzone nata per scalare la classifica, ma una vera e propria lezione sul sommo Giacomo Puccini. Oltre al titolo, il brano rendeva omaggio alla romanza Nessun Dorma, dal terzo atto della Turandot, appunto.
Con la sua eleganza e la sua straordinaria capacità d’interpretazione, Irene Fargo riprese la melodia “il nome suo nessun saprà” e ne fece lo scheletro della sua piccola lectio magistralis. Un brano, Come Una Turandot, che viaggiava nel tempo come se fosse un lost tape di una prima di Puccini.
Un pianoforte, un’orchestra, una voce e tanta poesia. Così, Irene Fargo, ricordò al teatro dell’Ariston e ai presenti in sala cosa fosse la musica italiana di un tempo, quando le classifiche non facevano l’artista né il suo merito. Il metro di misurazione era la dote, quella che non conosce numeri né visualizzazioni.
Di lei rimane certamente il segno, su quel palco, in una decade in cui la musica italiana continuava a subire il fascino delle correnti internazionali, ora come un apporto e arricchimento, ora come un’inevitabile contaminazione. E sì, alla contaminazione e all’apporto bisogna sempre e comunque rendere grazie, ma nell’opera di Irene Fargo abbiamo ritrovato una purezza dimenticata.
In appena 4 minuti di canzone.
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