Questa è una storia che comincia andando controcorrente. O meglio, no, niente controcorrente, questa è una storia che parte con un viaggio iniziato nel momento in cui la parola viaggio è stata messa in freezer a data da destinarsi, il 19 febbraio 2020. In realtà, le storie sono sempre raccontate da un narratore che opera sulla realtà decidendo cosa tenere e cosa lasciare da parte, cosa mettere in evidenza e cosa accennare appena, di sfuggita, questa è una storia che comincia molto prima, esattamente quanto prima non è dato da rivelare, parliamo di signore e ne parliamo usando una cifra d’altri tempi.
Mercedes Marieva balla il tango. Lo fa da sempre, quando cominci questo sempre è appunto parte del non detto, e lo fa perché inizialmente il tango era qualcosa che la incuriosiva, accattivante e a suo modo esotico, anche se sei una che si chiama Mercedes, in fondo, dovresti sapere che esistono traiettorie nella vita che prima o poi ti devono portare là dove era scritto saresti andata. Il posto dove Mercedes Marieva sarebbe dovuta andare, quindi, potrebbe essere una milonga, così si chiamano i luoghi preposti al ballo dove è il tango a farla da padrona, ma la storia, quella che sto raccontandovi, dirà altro, dirà che la milonga nella quale tempo fa Mercedes andò non era il punto di arrivo, la tappa finale di questo viaggio, ma l’ingresso dell’autostrada, autostrada che, il 19 febbraio 2020, appunto, mentre in Italia ci si apprestava a chiudere tutto, la pandemia, allora solo epidemia, sembrava, pronto a tenerci in ostaggio per mesi e mesi, addirittura anni, la avrebbe condotta a Buenos Aires, il tango a fare da canto delle sirene. Tra il primo ingresso in milonga, tempo fa, e il gate dell’aeroporto che l’avrebbe condotta a Buenos Aires, attenzione, anni di passione, di innamoramento per un genere unico, e per quelle canzoni, anche se il tango non è fatto sempre di canzoni, con parole e voci, antiche, fascinose, spesso registrate in tempi antichi da voci cariche di pathos. Una passione che aveva portato Mercedes, lasciatemi usare una narrazione quasi cronachistica, piana, a provare a approfondire le parole di quelle canzoni, i brani che il musicalizador della milonga, questo il nome fascinoso dei dj di quei luoghi, metteva su per far ballare gli astanti, magari lanciando una tanda, quattro brani di fila dello stesso autore atti a far ballare gli stessi due ballerini insieme per un lasso di tempo lungo, salvo poi interrompere il tutto inframezzando il passo successivo con qualcosa di contemporaneo, giusto il tempo di riaccompagnare la ballerina a posto, ripeto, cose d’altri tempi. Brani, quelli della tanda, di autori come Calò, Di Sarli, Troilo, tutti di altissima fattura, misconosciuti al pubblico italiano, o almeno al pubblico italiano che non frequenti le milonghe, nome da canzone di Paolo Conte. Mercedes si innamora del tango, e comincia a lavorare su quelle canzoni, intenzionata, vai poi a capire perché, il progetto sarebbe arrivato solo dopo, a adattare in italiano quelle parole antiche, fascinose, in questo magari aiutata dal suo aver da sempre lavorato con le parole, e dall’averle anche sempre respirate in casa, suo marito quel Pippo Kaballà che di canzoni e di parole ne ha tirate fuori di bellissime.
Siamo al Gate dell’aeroporto, destinazione Buenos Aires, ma facciamo un passo indietro, con le parole non costa fatica, nessun affanno o sudore. Una sera, Mercedes decide di provare a cimentarsi con l’adattamento di Al Compás del Corazón di Miguel Caló, brano che adora nella versione cantata da Raúl Berón, nasce Al ritmo del cuore, mettiamo questa informazione da parte, e torniamo a quel viaggio controcorente.
Una vacanza strana, quella di Mercedes, lei lì con le sue amiche a girare per una città carica di magia mentre dall’Italia arrivano notizie allarmanti, catastrofiche. Proprio quando è quasi il momento di tornare, in una incertezza che lascia quasi attoniti, Mercedes decide di andare a cercare da qualche parte, sa che le troverà, basi incise di tango sul quale poter provare a incidere la sua versione adattata di Al ritmo del cuore. Chiede informazioni come si fa quando si è in vacanza, provando un po’ a tentoni, finché non arriva in Calle Talcahuano, via piena di negozi di strumenti musicali, una specie dei paesi dei balocchi per musicisti.
Mercedes comincia a entrare nei negozi della calle, chiedendo se hanno basi registrate, ma le risposte che riceve sono sempre dei no. No. No. No. Finalmente in un negozio invece che un No arriva una domanda, “A che ti servono le basi dei tanghi?”. Un inizio, a volerla vedere con ottimismo. Il tipo, Claudio Gomez, le dice che conosce la figlia di un noto compositore, Hector Stamponi, tale Aida Stamponi, la cui figlia insegna canto e canta il tango, potrebbe fare al caso suo. L’indomani Mercedes è da Ana Sofia Stamponi, questo il nome della nipote del compositore, a raccontare la sua storia e cantare in italiano Toda mi vida di Anibal Troilo, un altro brano da lei già adattato, Ana Sofia a accompagnarla con la chitarra. Ana Sofia rimane colpita dalla qualità dell’adattamento, e anche dal colore della voce di Mercedes, fino a quel momento non una cantante, ma una copy che lavora per una agenzia pubblicitaria.
Le due si piacciono, al punto che Ana Sofia la invita a un suo concerto, presso il Luzuriaga Social Club. È l’8 marzo, la festa delle donne. Mercedes accetta, anche se l’indomani ha l’aereo che la riporterà in Italia. Arriva al club e Ana Sofia le propone di testare la sua Tutta la vita presso quel pubblico, come provare a palleggiare dentro la Bombonera piena per una partita del Boca Junior. Mercedes accetta. Canta. E il pubblico la accoglie con grande calore, una italiana che canta il tango, caspita, una italiana che canta il tango adattato in italiano, aricaspita. Applausi a scena aperta.
Mercedes torna in Italia, e come tutti finisce in lock down. Durante questi mesi di clausura rimane in contatto con Ana Sofia, che diventa la sua maestra di canto, a distanza. Come a distanza avviene l’incontro col chitarrista di chitarra argentino Emiliano Faryna, che per lei scrive arrangiamenti di chitarra per i brani che Mercedes adatta. Una chitarra sola al posto di orchestre sfarzose, un lavoro di sottrazione che dona ulteriore fascino a questa operazione che va esattamente nella direzione opposta dell’appropriazione culturale, cioè verso una celebrazione attenta e rigorosa delle istanze tradizionali, con la cura di chi è mossa dalla passione e dall’amore e la competenza di chi da sempre approccia le parole pesandole e pesandone l’impatto sugli altri.
Proprio ieri parlavo di Rosalia e di quanto ha fatto con il flamenco, nel suo caso smontandolo e ricostruendone una versione attuale e sua, Mercedes Marieva è partita dallo stesso amore per una musica tradizionale, andando esattamente in un’altra direzione, quella cioè di chi prova a lasciarne intatta la struttura per renderla comprensibile a chi non la conosce e presumibilmente non ha ancora gli strumenti per decifrarla, la lingua, in questo, e anche la destruttutrazione armonica e gli arrangiamenti innovativi lì a indicare la direzione per chi volesse poi andare a confrontarsi anche con gli originali.
Dalla collaborazione con Faryna nasce il singolo Che voglia ho di te, traduzione del brano Que falta que me haces di Miguel Caló, qui trovate il video per la regia di Charley Fazio, https://www.youtube.com/watch?v=8n1QGBZCebQ. Nel mentre Mercedes ha cominciato a portare queste sue canzoni in giro per le milonghe, un luogo non semplice dove far apprezzare qualcosa che potrebbe suonare come ardito, Bob Dylan che elettrifica la sua chitarra elettrica al Newport Folk Festival, i primo gruppi beat che coverizzano le canzoni inglesi provando a fare anche dalle nostre parti il rock ‘n roll, fare nostra una lingua altra, usare la nostra lingua per fare ciò, operazione che non solo sta riscontrando ottimi feedback, ma che dimostra come a volte osare sia esattamente che è da fare.
Mercedes Marieva è un nome d’arte, è evidente, seppur Mercedes non sia nome d’arte, lasciando che sia il mash-up tra due archetipi femminili, Maria e Eva a giocare su questo terreno. La musica, so che la cosa può suonare strano, specie oggi, è cultura, non solo intrattenimento. A volte, questo è il caso, la musica può essere cultura, divulgazione, e intrattenimento, fascinazione che conturba, spostandoci per qualche minuto in uno spazio e in un tempo altro, non certo per scappare, quanto semmai per conoscere, arricchirci, lasciarci andare a un sogno a occhi aperti che, in fondo, è condizione cui l’uomo per sua natura sa tendere.
Questa è una storia cominciata andando controcorrente, lo sguardo sognante e il mento in alto mentre tutto il mondo si preparava a reclinarsi su se stesso. Una storia di bellezza e di incontri, di musica e parole, di tradizione e di azzardi, questa è la storia di Mercedes Marieva, tanghera, cantante, adattatrice, artista.