Fragile. Come il titolo di un disco dei Nine Inch Nails. Band il cui suono, converrete, tutto sembra fuorché fragile. E so che tirare in ballo Trent Reznor e soci qui, in esergo di questo pezzo, è spiazzante, ma anche l’essere spiazzanti, come l’essere fragili, è parte del tutto. Quindi fragili e spiazzanti. Andiamo oltre. Disturbante. Certo, anche qui il Fragile dei NIN sarebbe chiaramente citabile, ma non è di quel tipo di disturbante lì che voglio parlare. Più di un disturbante che mette a disagio per il suo essere al tempo stesso fascinoso, certo, ma di quel fascino che lascia intravedere ombre, crepe, tagli sulla pelle che uno non si immaginerebbe di trovare lì, sotto le maniche portate, a questo punto, non a caso fino ai polsi.
Conturbante, quindi, anche.
Del resto, siamo pragmatici, se una artista sceglie di accostare due termini che, sulla carta, non dovrebbero stare uno a fianco all’altro, a meno che non ci si voglia riferire agli anni Ottanta, ma l’artista in questione negli anni Ottanta neanche era nata, classe 1992, la new wave che includeva d’ufficio nel suo alveo sia i Dark che i New Romantic affatto parte di un immaginario invece assolutamente contemporaneo, senza vezzi retromaniaci di simonreynoldsiana memoria, ecco, se una artista sceglie di accostare due termini che, sulla carta, non dovrebbero stare uno a fianco all’altro, Romantic Dark il titolo del suo primo album, qualcosa vorrà pur dirci. E quel che Isotta Carapelli da Siena, in arte semplicemente Isotta, intende dirci col suo album d’esordio, Romantic Dark, in uscita in queste ore per l’etichetta Women, Female Label and Arts, è qualcosa che mette insieme esattamente tutte queste sfumature: fragilità, spiazzamento, essere disturbanti e conturbanti allo stesso tempo, oscure ma dolci, sensuali ma feroci.
Cantautrice a suo modo classica, nella scrittura, ma assai contemporanea nello scegliere non solo i temi da trattare, spesso rivolta al sociale, ma anche nel modo in cui affrontarli, apparentemente diretta ma nei fatti sempre sghemba, pronta a scartare di lato e tirare fuori un’intuizione e un guizzo, appunto, disturbanti, come quando ci capita di essere sicuri che passando da quella determinata strada ci troveremo a tagliare via il traffico e di colpo ci troviamo persi dentro vicoli che non conosciamo, un substrato di ansia a coprirci le spalle, il fiato che si fa corto, lo smarrimento che però si fa anche piacevole nel trovarsi di colpo in luoghi meno familiari ma comunque riconoscibili, luoghi che non sapevamo fossero anche nostri.
Vincitrice dell’ultima edizione del Premio Bianca D’Aponte col brano Io, ovviamente presente in tracklist, Isotta si affaccia sul mercato oggi con la sua opera prima, dopo aver nel mentre proseguito una sua manovra di presentazione andando anche a finire nella minilista dei semifinalisti di Musicultura, in quel caso col brano Palla avvelenata, a sua volta presente in Romantic Dark. Un duplice riconoscimento, questo, l’uno all’interno del concorso che più di ogni altro rivolge l’attenzione alle cantautrici, l’altro in un contesto più tradizionale, che dimostra, ce ne fosse bisogno, come mai come oggi chi si presenta sul mercato con canzoni che non vogliano necessariamente fare l’occhiolino a quello che il mercato sembra altrove pretendere, quindi brani esili esili che si sviluppino non su una idea, ma su una microintuizione, un riffettino, una frasetta, ha comunque modo di farsi largo, di insinuarsi, verrebbe da dire, di infilarsi sotto la pelle come succede con certe spine, che hai voglia a lavorare di pinzette o di spilli, restano lì, pulsanti, ricordandoci ogni volta che anche involontariamente le andiamo a sfiorare quanto possano farsi sentire.
Isotta ha una sua voce, non solo quella che usa per cantare le sue canzoni, parlo anche di stile, molto personale. Sotto quell’aura di fragilità e dolcezza nasconde un lato oscuro, il lato Dark del titolo, che inquieta, ma di quell’inquietudine piacevole che, a tratti, ci fa porre delle domande. Come l’Isabella Rossellini maltrattata da Dennis Hopper in Velluto Blu, ci si trova affascinati per qualcosa che in superficie ci appare perfetto, ma che volontariamente mostra dei bug, il nuovo singolo Psicofarmaci, nel quale, a dispetto di singoli, si parla di dipendenze emotive e non di chimica, ben lo dimostra.
E torniamo all’inizio. Fragilità, spiazzamento, l’essere disturbante e conturbante, il renderci piacevole qualcosa che dovrebbe forse essere solo doloroso. Più che altro, bando alle teorizzazioni, il saper scrivere, con la produzione ben calibrata di Pio Stefanini, e interpretare una manciata di canzoni che non solo lascia ben pensare per il futuro, ma che è già una solida, solidissima base per il presente. A riprova che il Premio Bianca D’Aponte, di cui Isotta è la vincitrice in carica, ha una potenzialità enorme, e che solo la miopia del mondo delle major ha fin qui impedito che divenisse davvero fucina per tanti progetti anche di successo commerciali, tanto e tale è il talento che negli anni lo ha attraversato, tanto e tale è l’amore che Gaetano D’aponte, sua moglie Giovanna e Genny Gatto ci mettono nel portarlo avanti.
Benvenuta, Isotta, vedi di continuare così, che sei già partita alla grande, per dirla con un Ruggeri d’annata, dolcemente complicata come sei.