Chiamare censura il veto di un social media privato può suonare improprio, ma se il social media veicola la totalità delle espressioni, se ti serve per accedere altrove, per lavorare, se si è imposto quale propaggine della tua vita e della tua libertà, la censura scatta e come. Facebook lo sa e ne abusa. In questi giorni sempre più utenti lamentano strani blocchi al limite dello psicopatico: “Buongiorno, ti abbiamo sospeso per un mese”. “Perché?”. “Non lo sappiamo ma non puoi protestare”. È l’ultima frontiera della paranoia woke, cancel, politically correct che ormai degenera in reparto di spazzatura mentale: come diceva quel filosofo cinese, quando torni a casa la sera batti tua moglie, tu non sai perché ma lei sì”. E qui non c’è algoritmo che tenga, quella degli algoritmi è una sonora balla che ha retto finché ha retto, comunque troppo: adesso escono le vere ragioni, si scoprono gli altarini dell’automatismo demente dietro al quale ci sono sorveglianti, applicatori in carne, ossa e poco cervello. Tutti arruolati pescando dal serbatoio dell’autodafè occidentale, per cui anche una invasione ad est “deve” essere colpa del generale Custer, secondo i succedanei culturali che non conoscono la storia, non conoscono la filosofia, ma si impacano a gendarmi del nuovo ordine verbale e visivo: Disney ha appena annunciato che d’ora in avanti i suoi personaggi saranno Lgbt, che è un acronimo per dire promiscui: Topolino molla Minne e si mette con Pippo, Paperino tradisce Paperina con Paperoga. Avevamo bisogno di uno scatto illuminista così.
Oppure, i sorveglianti degli algoritmi vengono reclutati nelle frange del politicamente corretto islamico (in Francia, moltissimi), o di chi comunque odia qualsiasi manifestazione di pensiero e di arte occidentale. Così si capisce meglio l’atteggiamento censorio, apparantemente delirante: si punta a rimuovere qualsiasi lascito, ogni tradizione o retaggio e siccome Facebook quei due miliardi e passa di utenti li fa, l’operazione diventa globale.
L’altra frontiera è l’omogeneità vaccinale. Se metti una ricerca ufficiale che testimonia le vittime collaterali di vax, quelle rimaste lesionate da effetti avversi, se anche solo ti azzardi a riprendere dati certificati sulla inefficacia delle politiche repressive, tempo dieci minuti e scatta l’esilio social. Secondo la filiera infallibile: gli zelanti di turno segnalano, i kapò provvedono, l’algoritmo si piglia la colpa. D’altra parte, se un pentito del CTS ammette che l’organismo “tecnico scientifico” di scientifico aveva niente, che era l’ennesimo carrozzone di lottizzati, servito a blindare un potere corroso, Facebook non fa una piega. Sì, il pentito Donato Greco ha riconosciuto ad una trasmissione radiofonica che i lockdown e la politica terrorista di due governi non hanno portato alcun vantaggio nel contenimento della pandemia, anzi hanno peggiorato le cose sul fronte del contagio e distrutto l’economia sociale facendo perdere 10 miliardi alla settimana per 104 settimane; roba da ergastolo, ma se anche solo ti azzardi a protestare, a chiedere come sia potuto succedere, come abbiamo potuto accettarlo, e che sarà di noi a questo punto, gli sgherri di Zuckerberg ti mettono al muro virtuale. Loro a te, capite?
Non siamo stati abbastanza vittime: del regime, dei social che lo puntellano. E adesso paghiamo per aver pagato. Non strisci, ti lamenti, muori. Da cui l’incanaglimento di un Paese che non capisce più e cerca qualsiasi pretesto per sfogarsi, dalle risse di strada a quelle da tastiera, fino alla malcelata goduria per il genocidio di un popolo.
“Il tuo post non rispetta gli standar della comunità”. Quali standard? Non lo sanno nemmeno loro. Quale comunità? Quella di chi fa ricco un social che alza il ditino da maestrina della penna rossa e decide cosa possono pensare. Gente bloccata perché divulga appelli per gli animali. Perché racconta di essere stata male dopo somministrazione. Perché confessa che ha paura. O, semplicemente, perché sì. “Non lo sappiamo ma ti abbiamo sospeso”. Sono carsiche queste raffiche fascistoidi, ogni tanto sembrano placarsi, poi, misteriosamente, riprendono più assurde e violente di prima. Misteriosamente si fa per dire, a farci caso si scopre che coincidono sempre con le fasi di maggior crisi del regime. Ed è un segreto di Pulcinella che i regimi democratici, occidentali attingano alla fonte di Facebook per informarsi e per orientare le opinioni. E che ci sia un patto scellerato per cui Facebook agisce come leva del regime e in cambio ottiene informazioni preziose e non solo in senso pubblicitario. Per anni si è detto, si è scritto che questi social media avevano di fatto condizionato gli stati fino ad inglobarli, ma, alla lunga, è accaduto il contrario, sono gli stati a tenere per le palle i mezzi di comunicazione che sono sì miliardari, ma pur sempre dipendenti da leggi, non solo fiscali, in grado di ricattarli. Nelle dittature non si fanno problemi, o censurano loro o annettono; nelle democrazie formali agiscono dall’interno, corrompono e minacciano. E gli “utenti”, che non usufruiscono di un bel niente, si ritrovano bloccati senza capire, senza ragioni, senza contraddittorio, senza difese, da questi ricettacoli di segreti e di compromessi che stanno sostituendo in fretta le polizie politiche.