“Io credo nell’America, l’America fece la mia fortuna (…)” Cominciano così i primi quattro minuti del film mentre il titolare di una ditta di pompe funebri racconta delle violenze subite dalla figlia e dell’onta sull’onore della famiglia che richiede una punizione esemplare per tutti gli aggressori.
Man mano che l’inquadratura passa attraverso un lento movimento di machina zoom out da un primissimo piano alla sua mezza figura, scopriamo l’ambiente circostante e la sagoma di un uomo di spalle che ascolta in silenzio quelle suppliche. Dai tribunali U.S.A. della seconda metà degli anni ’40, il becchino non ha ricevuto giustizia e ora la pretende dall’uomo che ha davanti.
In ascolto c’è Il Padrino, Don Vito Corleone, interpretato da Marlon Brando che di lì a pochi secondi sarà immortalato nel movimento di una mano sulla guancia più famoso della storia del cinema.
IL RE E’ MORTO, LUNGA VITA AL RE
Un padrino non può rifiutare una supplica il giorno del matrimonio della figlia ed è quel che farà il boss per il resto del film: concedere favori e colpire con violenza pur di mantenere l’influenza della famiglia.
Tutti i figli maschi hanno un ruolo negli affari di Don Vito tranne Michael. Interpretato da un Al Pacino al secondo film della carriera, Michael è stato protetto e tenuto lontano dai pesi della vita criminale, ma sarà proprio lui a compiere quelle scelte che lo faranno diventare il nuovo Don Corleone.
IL FILM E L’EPOPEA IN TRE ATTI
Il primo film ha la capacità di catapultarci nel mondo di questa famiglia mafiosa e di farci tifare per loro. Questo il merito e la più grande accusa fatta a Coppola che ha portato sul grande schermo l’omonimo libro di Mario Puzo.
Il primo lungometraggio nel 1973 ha raccolto tre Premi Oscar, un David di Donatello e cinque Golden Globes. La musica di Nino Rota, a distanza di cinquanta anni esatti dall’uscita in sala, è tra le note più riconosciute al mondo.
SEI OSCAR ANCHE PER IL PADRINO PARTE II
Anche Il secondo film si apre con un primissimo piano, stavolta quello di Michael, nuovo padrino saldamente al potere della famiglia Corleone. Attraverso l’inquadratura del particolare della sedia che fu del padre e poi ad una dissolvenza, capiamo che questo film non mostra solo il presente della famiglia Corleone, ma ci racconta attraverso immagini meravigliose della Sicilia la storia di un giovane Don Vito interpretato stavolta da Robert De Niro .
Siamo trasportati così agli inizi del ‘900 in una calda e afosa Sicilia dove il piccolo Vito è l’unico a scampare alla carneficina della famiglia a causa di uno sgarro commesso dal padre, accusato dal capomafia locale di non essersi tolto il cappello al passaggio del mafioso. Il bambino, senza altre alternative, è costretto a imbarcarsi su una nave diretta nella New York per scampare ai suoi aguzzini.
Indimenticabile la lunga carrellata laterale della camera sulla nave Noshulu carica di migranti italiani e di quei volti impauriti che arrivano ad Ellis Island per essere ribattezzati con il nome del paese di provenienza. E poi le celle per la quarantena, le canzoni napoletane: un debito sentito e pagato dal regista alle proprie origini di immigrato italiano e alla sua famiglia di musicisti che in America ha trovato il successo.
Intanto il piccolo Don Vito cresce con le stesse simpatie che il pubblico ha avuto nella parte uno della trilogia, il mito positivo attribuito a Marlon Brando viene riconfermato anche se con meno intensità nell’interpretazione di De Niro, mentre il divario con il nuovo padrino, Michael, si fa più netto sul piano valoriale.
IL NUOVO PADRINO: FIGURA MENO MITIZZATA E POSITIVA
Il padrino interpretato da Al Pacino è una figura meno mitizzata, più demoniaca o comunque chiaramente negativa del personaggio dipinto nella prima parte.
Se il padrino di Brando era stato tutto sommato uno che non aveva fatto male ad una mosca o quasi, uno con cui si può parlare in tranquillità, contrario alle droghe e favorevole al gentlemen’s agreement, Michael è uno che strappa i figli dalle braccia della madre, compie fratricidi, tradisce appena può e soprattutto non è un tipo socievole, simpatico o capace di grandi discorsi come lo era stato il padre.
Il primo capitolo è stato ampiamente criticato per essere il film che più di tutti ha creato la mitologia legata ai boss di mafia e quindi ad un modello negativo. Nel secondo lungometraggio di Coppola invece, questo mito viene come rovesciato. L’empatia che lo spettatore prova ad esempio per Don Vito, a cui hanno ucciso l’intera famiglia, non la ritroviamo pienamente in Michael che allontana o persino uccide buona parte della sua famiglia. Certo torniamo sempre a identificarci e finanche a giustificare le reazioni del nostro protagonista, ma l’aureola del buon padre di famiglia, è ormai scomparsa.
DALLA CRITICA DEL SISTEMA CAPITALISTICO ALLA CRITICA DEL SISTEMA RAPPRESENTATIVO
In una intervista Coppola stesso ha definito quella della famiglia Corleone, non una storia di mafiosi, ma la rappresentazione di una storia di capitalisti americani. Sono partiti da zero, hanno accumulato ricchezze, lottando contro tutto e tutti. Don Vito Corleone poi, è l’unico ad avere li rapporti e la stima dei senatori U.S.A., tanto che il non metter a disposizione questi rapporti e le relative coperture politiche ai traffici, diventa la causa della faida che vediamo nella prima parte di Il Padrino.
Nella seconda parte il bersaglio sulla schiena ce l’ha invece proprio quel sistema rappresentativo e quindi elettivo della politica americana. Coppola decide addirittura di equiparare plasticamente le due figure, quella del mafioso e del Senatore degli Stati Uniti d’America. Tanto da far dire a Michael: “Siamo facce della stessa medaglia, Senatore”.
Quella politica che era motivo di vanto e rispetto per Don Vito, ai tempi di Michael ha il volto di un pagliaccio di Senatore, squallido nei modi e nelle intenzioni e sospinto per lo più dalle peggiori pulsioni omicide e successive amnesie, come certa politica ha abituato nel fare e nel dimenticare presto.
LA COMPONENENTE BIBLICA E SPIRITUALE NEL FILM
I riferimenti a storie dal sapore universale e di ispirazione biblica non mancano nei film Il Padrino. La più plasticamente rappresentata è forse quella di Caino e Abele, l’assassinio di Fredo per volere del fratello.
Passando invece al nuovo testamento, è possibile scorgere l’intera parabola del figlio prodigo, che qui veste i panni di Fredo. E’ lui infatti, dopo aver sbagliato e aver dissipato le ricchezze a tornare a casa ed esser perdonato non dal padre, ma dal padrino sì, in un abbraccio ai piedi di Michael.
In tutti i capitoli della trilogia, poi, ogni benedizione, battesimo, comunione ecc. culmina con una o più uccisioni. Come per Michael la benedizione del corpo di Cristo, ha scandito la sua ascesa nella parte prima del capitolo (durante la sua comunione vengono trucidati tutti i mafiosi concorrenti), così anche per il giovane Don Vito la benedizione del parroco a Little Italy di New York, durante la festa di San Rocco, va di pari passo con i colpi di pistola diretti al suo competitor Fanucci, dando il via alla storia del potente Don Corleone.
Altro esempio lampante, sono le ultime parole di preghiera, questa volta un Ave Maria, di Fredo prima di essere assassinato a sangue freddo sulla barca.
La dottrina della trinità: padre, figlio e spirito santo, si sente molto nel film Il Padrino. Lo spirito santo è per definizione la potenza di Dio, come il potere di vita e di morte che ha il Padrino. Michael inoltre è il terzo figlio e l’unico ad arrivare al potere. Proprio il terzo figlio di Michael, forse quello come lui destinato al potere, non vedrà mai la luce per via della scelta di abortire di Key, interpretata da una bravissima Diane Keaton, che ha compiuto quel gesto come se sapesse, per far sì che la storia non si ripetesse, per uccidere in maniera indiretta lo stesso Michael e la sua eredità di violenza.
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