I venti di guerra sembrano placarsi. La telefonata tra Draghi e Putin, oltre ai colloqui di Instanbul, aprono uno spiraglio di speranza. Tuttavia sul terreno giacciono corpi, il loro sangue intride la terra, e quei resti che furono uomini e donne e bambini reclamano ragione. Come la reclamano gli eccidi del Donbass, come la reclamano tutti i morti di tutte le guerre, tutti i corpi lacerati, smembrati, dissolti.
Siamo corpo. Un sinolo, un’unione indissolubile tra corpo e anima, aggiungerebbe Aristotele.
Il corpo come sede della sensazioni, che si fanno emozione, che si traducono in sentimento, che si elevano allo Spirito.
Ma a seconda della politica di potenza dei grandi, delle elite, della finanza, a volte siamo corpo da tutelare, per la loro tutela, la loro ricchezza, i loro profitti, le loro utopie deliranti, a volte siamo spiriti animati da valori quali Libertà, Democrazia, Lotta al tiranno, e allora possiamo essere esposti all’infinito arsenale di mezzi di distruzione che la scienza, quella che ci cura, ha inventato per uccidere.
L’eterna ambivalenza dell’uomo, angelo e demone. Ma quando la scelta resta a pochi e le masse seguono, senza pensare che è in gioco la propria vita e quella dei figli, quei figli partoriti tra spasimi indicibili da milioni di donne, e prestati alle politiche di potenza di un pugno di individui, quei figli trasformati in medaglie, in croci di guerra e restituiti dentro una bara, con sopra una bandiera, allora ci si chiede perchè … sarebbe così facile smontare la narrazione, opporsi, non imbracciare il fucile, non premere il bottone, non sganciare la bomba…se tutti lo volessero.
L’Italia ripudia la guerra. E’ l’articolo 11 della nostra Costituzione, se pure citarla vale ancor qualcosa.
E ripudia, come sottolinea Ugo Mattei, è un termine più forte di rifiuta. Un termine connotato da un’emozione di disgusto e di reazione indignata, e di azione a favore del suo contrario, ossia della Pace.
La Pace. Per Dante, il bene più grande sulla terra, quello da preservare ad ogni costo perchè l’uomo possa compiere il suo percorso di perfezionamento morale e realizzarsi nei suoi talenti, nel lavoro, nella società e nella più alta forma di attività, la politica, a servizio del bene comune.
Ma i particolarismi, le fazioni opposte, e le mene dei grandi, lo destinarono all’esilio.
Perchè la macchina del fango agì contro di lui, come sempre scatta contro chi si pone controcorrente, contro quel Mario che non cammina in fila indiana e non è un numero, ma un nome.
Quindi la guerra. Chi ha visto la guerra, nella nostra generazione, in quella dei millenials, nel nostro Occidente che è corso a chiudersi in casa e a nascondersi dietro una mascherina, a ripudiare amici e parenti se non trivaccinati? Chi ha visto il corpo agonizzante, lo sguardo dell’animale morente, il suo lamento incessante, gli occhi imploranti e terrorizzati?
Ma la guerra è inevitabile? O è un’aberrazione, una malattia, tanto più perniciosa quanto più esiziale alla stessa specie per il potenziale distruttivo degli ordigni?
Nasce con l’uomo? Caino uccide Abele, e quindi il sangue versato diventa evento iniziatico, mitopoietico e in grado di produrre una ripetizione infinita?
Non uccidere è il quinto comandamento. Ma, come nota giustamente Freud, non si proibisce ciò che l’uomo non farebbe naturalmente. Quindi noi uccidiamo. Siamo animali in grado di uccidere. Quando è in gioco la nostra stessa sopravvivenza. Ma non siamo portati a uccidere in nome di ideali propugnati da altri, in nome di Simboli custoditi da cadaveri, il milite ignoto, il monumento ai caduti: dalla distruzione può nascere solo un’altra società fondata sul privilegio. E allora perchè? L’uomo arriva a uccidere, in guerra, solo dopo un’adeguata propaganda, dopo che la ripetizione martellante sia colata come cera fusa nella mente e abbia offuscato lo sguardo, e paralizzato la coscienza critica. Se pure ne rimane qualcosa, di quella capacità di pensare, dopo anni e anni di armi di distrazione di massa, dopo la spazzatura sparata nelle nostre case dal cannone mediatico, dopo mesi di guerra ai no vax, mentre si rimestava nel torbido e si riscaldava per portarla al calor bianco, quella riserva di aggressività che in sé sarebbe un’emozione adattiva, funzionale alla sopravvivenza. Hanno aizzato le coscienze dividendo padri e figli, amici di lunga data, fino a che sotto la mascherina il volto si è trasformato in maschera grottesca , irrigidita e riplasmata sulle posizioni ufficiali che colavano dall’alto, impietrendo in un’unica facies quei visi negati.
E ora quelle maschere sono dirette contro Dostoevskij e Cajkovskij , e Orsini, e i gatti russi, e gli atleti paraolimpici russofoni….Il volto si è fatto maschera e la realtà caricatura, mascherata, pupazzata direbbe Pirandello. Ma a irrigidirne i tratti non sono i valori culturali, tradizionali, le forme del viver civile, ma il diktat della cultura di massa, di consumo, che consuma l’uomo, il pianeta, se stessa.
E’ un’epoca grottesca, la nostra, in senso pirandelliano. Un’epoca umoristica. L’assurdità che esplode nella risata irrefrenabile ti inonda gli occhi di lacrime, che si trasformano in un pianto pieno di orrore. E sotto questa maschera? Il nulla in cui l’uomo si è trasformato.
Eppure…Eppure “Durante la seconda guerra mondiale solo un soldato americano su cinque ha effettivamente sparato al nemico” (F.de Waal, L’età dell’empatia).
Dunque imbracciata l’artiglieria si ha un naturale disgusto a uccidere, e l’uomo non è poi così incline alla guerra. Forse in lui alberga qualcosa di quei pastori tedeschi che si rifiutarono di aggredire gli ebrei (I volenterosi carnefici di Hitler” D. Goldhagen).
Forse la guerra come mischia, come corpi maciullati può evitarsi, perchè il conflitto può essere gestito su altre basi, e la tesi e l’antitesi possono mediarsi in una sintesi superiore, sacrificando qualcosa di sé ma arricchendosi nell’innalzamento di livello della soluzione raggiunta.
Forse occorre ridare spessore a codici etici, ai valori culturali a servizio della vita, a rituali che diano significato alle fasi dell’esistenza, quei riti di passaggio che nelle società tradizionali segnavano ogni cambiamento di status ed erano precedute da prove dove l’individuo doveva mostrare di essere pronto, di aver compreso. Perchè senza quei significati, quei fini che sorreggono l’esistenza e illuminano la fatica d’essere donne, uomini, e non meri consumatori dietro uno schermo, dove tra oggetto e soggetto non c’è più neppure il desiderio, annullato dal click, dalla fruizione immediata e continua di paccottaglia; senza il cimento e il lavoro inteso come sforzo teso a uno scopo che migliori noi stessi e l’ambiente che ci circonda, senza rituali che consacrino e regolino quei codici, quei valori, l’aggressività anarchica può impazzare e sfociare nell’autodistruzione.
Perchè l’uomo non uccide con strumenti morfologici, artigli, denti, di cui il suo corpo non è provvisto( e vorremmo vedere allora chi è capace di ammazzare), ma con ordigni che hanno allontanato sempre più l’omicidio dal suo significato emozionale: il gesto si è scollegato dall’effetto, la naturale inibizione, la ritualizzazione, quella che nelle altre specie regola l’aggressività e le preserva dall’estinzione, nella morale “d’alta quota”, nel feticcio che la guerra è diventata è venuta meno. Ed è venuta meno nei war game che ci sembrano finti e sono reali, e sono reali mentre la rai ci mostra immagini di videogiochi; perchè non vi sia più distinzione tra verità e menzogna e nel guazzabuglio di Babele ogni responsabilità figlia del pensiero affoghi.
Insomma se mai un giorno qualcuno premerà quel bottone, non sarà consapevole dell’apocalisse. Come non lo erano gli aviatori che sganciarono le prime bombe atomiche e dopo anni si ammalarono nell’anima.
La guerra quindi, e le ideologie che la sostengono, liberando l’aggressività e giustificando la violenza, criminalizzando l’altro fino a consegnarlo a un’altra specie, non più uomo, ma subumano, insetto, animale ( e qui ci sarebbe da aprire un’altra dissertazione su quanto le similitudini andrebbero riviste e gli animali rispettati), è un’aberrazione, un’anomalia della nostra specie, un corto circuito innescato da chi dalla guerra trae profitto e rendite e possibilità di resettare di nuovo il sistema economico sociale. Fino a quando nessun reset sarà più possibile.