Riccardo Milani ci riprova, e dopo Mamma o Papà?, sull’onda di una strategia sempre più comune per il cinema italiano soprattutto di commedia, prova un altro remake da un film francese, Tutti In Piedi di Franck Dubosc, che diventa Corro Da Te. Gianni (Pierfrancesco Favino) è un affermato imprenditore cinquantenne (anzi quarantanovenne, come ribadisce sempre, allarmato dal giro di boa), titolare di un brand di scarpe da corsa. Soprattutto, è un casanova seriale, che con auto sportive, charme e una dose infinita di menzogne (gli piace presentarsi sotto falsi nomi) seduce donne giovanissime che restano sempre le conquiste di una notte, delle quali vantarsi con gli immancabili amici del circolo.
Per un equivoco, quando si reca nell’appartamento della madre dopo il suo funerale, la vicina di casa (Pilar Fogliati) lo trova sulla sedia a rotelle scambiandolo per un disabile. Nella speranza di sedurla, Gianni regge il gioco. La ragazza in realtà vuole presentargli sua sorella Chiara (Miriam Leone), disabile per davvero dopo un incidente d’auto. A quel punto, lanciando una sfida agli amici, Gianni scommette che riuscirà a portarsi a letto anche lei. Impresa tutt’altro che difficile per uno come lui. La parte complicata è tenere in piedi la menzogna della disabilità. E, soprattutto, fare i conti con le spiazzanti sorprese emotive che quest’avventura arrecherà alla sua vita.
Corro Da Te segue piuttosto fedelmente il film francese da cui proviene. Anzi, nella sceneggiatura a sei mani (dello stesso Milani e due suoi abituali collaboratori, Giulia Calenda e Furio Andreotti), a mancare è uno sforzo di riscrittura che collochi la vicenda in un contesto italiano. L’origine del grande successo di un altro film firmato dallo stesso terzetto (più Paola Cortellesi, compagna di Milani), ossia il dittico Come Un Gatto In Tangenziale, stava proprio nel suo essere una commedia di costume credibile, in cui l’effetto di verosimiglianza dipendeva dal definire, pur ricorrendo a qualche semplificazione sociologica, due protagonisti con caratteri e stili di vita riconoscibili, uno romano bene con attico al centro e lavoro immateriale, lei borgatara della periferia di Bastogi.
In Corro Da Te invece, già l’inizio col drone che plana morbidamente dall’alto sulla città eterna con inquadratura anonima del Gazometro fa capire dove andremo a parare. Al di là del suo dongiovannismo, chi è Gianni? Sappiamo che viene da una Roma popolare, figlio di una coppia separata (l’anaffettivo padre è Michele Placido) e che oggi è un uomo di successo. Ma il salto dalla prima dimensione alla seconda resta totalmente indeterminato. Lo vediamo, sì comportarsi come un perfetto squalo in piccole riunioni col suo team in azienda, però come è tipico per questo genere di commedie la sfera professionale è eufemistica, è solo fonte di guadagni generosissimi a fronte di un impegno inesistente (Gianni non lavora mai, passa più tempo ad allenarsi per la maratona).
Lo stesso in fondo vale per Chiara: c’è un lodevole sforzo per evitare il pietismo nella rappresentazione della disabilità, ma fatta la tara a elementi anche qui di routine – è palesemente una donna in gamba, non violino ma ovviamente primo violino in orchestra, pure ottima tennista –, stringi stringi è una donna bella e gentile costretta sulla sedia a rotelle, malinconicamente in attesa di una qualche forma d’amore.
I due personaggi principali non esistono davvero, sono due funzioni senza caratterizzazione utili solo allo sviluppo dell’arco narrativo di una rom-com smaccatamente sentimentale. In cui tutto riluce, dallo sfondo di una Roma cartolinesca e carezzevole alla ricchezza esageratamente esibita – vedi, oltre alla casa di Gianni la villona in campagna della famiglia di Chiara. E i picchi emotivi della vicenda sottolineati da Streets Of Love dei Rolling Stones, oltre al vago sentore da spot pubblicitario (aggravato pure dall’uso insistito del ralenti), rendono ancora più indeterminato il contesto umano e sociale nel quale pure la storia sarebbe, in teoria, collocata.
Ne risentono anche le prove di Favino e Leone, obbligati per deficit di scrittura a restare sintonizzati su di una sola nota ripetitivamente insistita, lui nella sua piacioneria di maniera, lei eternamente romantica. E per movimentare la vicenda Corro Da Te deve ricorrere ai personaggi secondari, dall’amico medico (Pietro Sermonti), unico controcanto morale alle ipocrisie di Gianni, alla sua assistente personale (Vanessa Scalera), cui è riservato un divertente numero al karaoke.
Che poi, a pensarci bene, Gianni sarebbe un perfetto mostro da commedia all’italiana, così spudorato e irricuperabile. Invece Corro Da Te si guarda bene dal giudicarlo. E preoccupato di servire allo spettatore una rom-com tranquillizzante con lieto fine, fa di tutto per salvarlo il personaggio, ingentilirlo, trovarne il lato positivo. Purtroppo quello della mancanza di autentica cattiveria, un segreto di cui in questo film solo Piera Degli Esposti, al suo ultimo ruolo, conosce l’importanza, è un problema strutturale della commedia italiana di oggi.