[l’articolo contiene degli spoiler, ne consigliamo la lettura dopo aver visto il film]
The Batman è l’evento. Persino più dell’ultimo Spider-Man. Perché rispetto ai supereroi della Marvel e all’approccio comunque fumettistico, epico e apertamente ottimista delle produzioni cinematografiche della Disney, l’uomo pipistrello possiede un fascino più corposo e tortuoso, capace di attivare una passione e un’aspettativa insieme colta e popolare.
Questo perché è il personaggio del Frank Miller del Ritorno del Cavaliere Oscuro e Batman: Anno Uno, dei cicli cinematografici adulti di Tim Burton e Christopher Nolan, avvantaggiandosi anche della cornice produttiva della Warner, la quale più che mai dopo l’esempio straordinariamente remunerativo del Joker di Todd Phillips, punta a un trattamento dei materiali di partenza vistosamente noir, cupo, afflitto e problematico.
In queste cadenze si muove The Batman, con l’articolo determinativo a segnarne l’unicità, l’originalità, in un certo senso anche la discontinuità con tutto quello che c’è intorno e prima – infatti questo film non è collegato al filo delle storie del DC Extended Universe cui appartengono le precedenti apparizioni del personaggio in Batman v Superman: Dawn of Justice e Justice League.
Il film diretto da Matt Reeves, scritto dal regista insieme a Peter Craig, fa storia a sé. Dal punto di vista della confezione le filiazioni sono evidenti. A partire appunto dai citati Batman: Anno Uno e Joker, e tramite quest’ultimo ricollegandosi al film che resta una matrice inaggirabile per il cinema che vuole raccontare l’orrore e la deriva psichicamente patologica della vita delle metropoli, ossia Taxi Driver di Martin Scorsese. Il quale era uno dei punti di riferimento essenziali anche di Seven di David Fincher che, come hanno già giustamente rilevato tanti recensori, è una delle opere cui guarda più insistentemente Matt Reeves per il suo The Batman.
Questo sia perché, dal punto di vista narrativo, il film ruota intorno a un serial killer vistosamente psicopatico, l’Enigmista (Paul Dano), che si ribella contro la corruzione endemica della città e comincia, uno dopo l’altro, a far strage dei peggiori. Sia perché viene stilisticamente dal film di Fincher questa Gotham City descritta come una giungla metropolitana, battuta dalla pioggia, immersa in una palette di colori limitata e asfissiante tra nero e rosso, abitata da un’umanità riprovevole – il film comincia da una festa di Halloween, con tutta quella gente travestita per le strade che mette in scena l’avvenuta mostrificazione del genere umano.
In questo universo straziante in cui non pare salvarsi nessuno, è giusto che il Batman di Robert Pattinson sia sostanzialmente un ragazzo, con gli occhi bistrati come un adolescente ipersensibile – o un vampiro che non ama stare alla luce, infatti è pallidissimo –, una persona già segnata da una matrice luttuosa, la morte violenta dei suoi genitori, che cresce in un mondo sconfortante e senza prospettive. “Io sono l’ombra” dice, e si muove come tale in questo spazio terminale, aggrappato a una forse inutile missione di giustizia, cercando di salvare quante più persone è possibile dai criminali che sbucano da ogni dove, con la disillusione che gli viene dal sapere che questa impresa di Sisifo è persa in partenza.
Matt Reeves racconta un Batman in cui Bruce Wayne diventa residuale, lui la maschera di quella verità che è l’uomo pipistrello, descritto come un detective da hard boiled, sodale del solo uomo di cui ci si possa fidare, l’ispettore Gordon (Jeffrey Wright), l’unico poliziotto onesto di Gotham City. E questo Batman non è un supereroe granitico, combatte a calci e pugni e può improvvisamente trovarsi sgomento di fronte al salto dal grattacielo che deve compiere per sfuggire alle forze dell’ordine alle sue calcagna.
Tutto ciò regala inequivocabilmente al film un senso di verosimiglianza, se non esattamente di realismo. Ma Batman è soprattutto un orfano. Lo sono tutti i personaggi principali, che condividono un passato familiare traumatizzante: lui, l’Enigmista, la Catwoman di Zoë Kravitz. Ognuno di loro alle prese con padri assenti, anaffettivi, crudeli. Non a caso il film parte da una scena in cui, spiato attraverso la finestra, si vede un bambino vestito da Halloween che giocando col padre finge di ucciderlo e poi se ne va con la madre. È una scena edipica da manuale.
Quel padre ammazzato per scherzo verrà subito dopo giustiziato per davvero dall’Enigmista, trattandosi del sindaco – corrotto, corrottissimo – di Gotham City, dopo la cui morte poco a poco si scoperchierà il marcio e i legami tra istituzioni, forze dell’ordine e criminalità organizzata, che ha il volto del boss Carmine Falcone (John Turturro, perfettamente nel ruolo). Quest’ultimo, assai più del solito buon maggiordomo Alfred (Andy Serkis), finisce per assumere un sinistro ruolo da padre putativo per Bruce Wayne, al quale si rivolge dicendogli “ormai non sei più un ragazzino”, ritendendolo pronto a conoscere la verità.
The Batman mantiene la cornice del genere supereroistico, di cui rispetta la tradizione, e si muove però come Joker al di là dei confini del genere. Eppure, mentre da un lato c’è fin troppo – la durata esagerata e magniloquente del film-evento di tre ore, una narrazione che accumula un numero sconsiderato di storie –, dall’altro manca qualcosa. La capacità di trarre le conseguenze dall’impostazione di partenza, pessimista e sconsolata, della vicenda.
A un certo punto una simbolica mareggiata spazza via il palco messo in piedi per celebrare l’elezione del nuovo sindaco di Gotham City, simbolo didascalico del collasso delle istituzioni, dell’impazzimento di una realtà che ha smarrito la fiducia ed è priva di leadership. Eppure, proprio nel momento in cui tutto sembra sul punto di crollare definitivamente, le cose cambiano. L’eroe accetta la responsabilità del suo ruolo, ritrova il senso della sua missione, recando con sé, letteralmente, la fiaccola che ridona la luce e traghettando oltre la notte eterna in cui pareva piombata Gotham l’interna comunità, con in testa proprio la sindaca – onesta, donna e nera, naturalmente – e l’orfano figlio del precedente sindaco ucciso, figura ideale di quell’orfanità strutturale che si portano addosso tutti i protagonisti.
Se Joker era, forse persino al di là delle sue stesse intenzioni, una parabola nichilista dal finale veramente angoscioso e segnato dal caos, The Batman ristabilisce prudentemente l’ordine come un qualunque film medio supereroistico. Dopo un lunghissimo tour de force visivamente smagliante, la complessità e l’approccio maturo così apertamente esibiti, si giunge a una semplificazione tranquillizzante: le istituzioni reggono, la polizia non è tutta corrotta, gli eroi non valicano mai quel confine che li trasformerebbe nell’Enigmista di turno. Nonostante le sfumature di grigio insistentemente mostrate, il bianco e il nero si riescono ancora a distinguere molto bene.
La semplificazione sta pure nel far sempre e comunque rimontare i problemi a traumi di origine familiare, che sono ferite non rimarginabili, le quali anche dopo decenni fanno male come il primo giorno. Per non parlare del fatto che venga evitato sistematicamente qualunque pur timido accenno alla sfera delle pulsioni. L’attrazione tra Batman e Catwoman è prudentemente limitata a castissimi baci da film per adolescenti, con i due eroi costretti a sublimare il desiderio attraverso inappaganti corse a mille all’ora in motocicletta fianco a fianco. Tirando le somme, in maniera un po’ brutale; la forma è quella di un film per adulti, la sostanza molto meno.