Il soggiorno di Kurt Cobain a Roma si colloca in un uno dei momenti più difficili per il frontman dei Nirvana. Ha appena compiuto 27 anni, è una rockstar senza volerlo, vede il mondo intero come un gigantesco schifo e, anche lui, sente di essere uno schifo. L’Hotel Excelsior è solamente la cornice marmorea di un dramma che consuma questo giovane ragazzo: in quella bottiglia di champagne consumata la sera prima insieme alla moglie Courtney Love, mentre la piccola Frances Bean sonnecchia, non c’è un uomo ricco che vuole fare bagordi per festeggiare un fatturato felice.
C’è un uomo, in quelle bollicine, che è stanco di tutto. Courtney lo ha raggiunto dopo quella telefonata disperata dalla Spagna, dove Kurt Cobain si trova per una delle tante tappe del tour europeo dei Nirvana. Dopo il concerto a Monaco, il ragazzo contrae una fastidiosa bronchite che costringe la band a sospendere il tour. Per questo Kurt si rifugia a Roma. Lì, nella Capitale, si concede ai fan. Passeggia con loro da via Veneto ai Fori Imperiali, si fa scattare delle fotografie.
Arriva Courtney, appena in tempo. Nella notte tra il 3 e il 4 marzo la frontwoman delle Hole trova il marito riverso sul pavimento. Sono le 5:30, Kurt è privo di sensi e perde sangue dal naso. Courtney chiama la reception e un’ambulanza lo trasporta al Policlinico Umberto I. Il 27enne ha ingerito 50 compresse di Roipnol, questo riferirà la moglie, che come ci insegna Giovanni Lindo Ferretti “fa un casino se mescolato all’alcol”.
Una lavanda gastrica, poi un viaggio verso l’American Hospital per gli ultimi trattamenti. Si parla di dose accidentale da una parte, di tentato suicidio dall’altra. Poi arriva aprile, con quel dannato ritrovamento accanto a quel dannato fucile, dopo quella dannata lettera e quei dannatissimi 27 anni.