Dieci anni senza Lucio Dalla.Oggi tutti parleranno di Dalla, a ragione, lo ricorderanno, ne celebreranno il genio. Succede così, gli anniversari servono anche a questo, e un anniversario tondo, un decennale, è un’occasione che va colta. Provo a fare qualcosa di diverso, tanto che Dalla è stato un genio, uno di quelli che, insieme a Modugno e Battisti, oltre che altri, De André, per dire, ha segnato la nostra canzone popolare, lo sapete già.
Parto come sempre da lontano.
“Quanta poesia nello stare zitti, se non si ha niente da dire”. Questo semplice verso, quasi un postulato, si trova verso il finale di un brano minore del repertorio di quel mostro sacro che è e dovrebbe sempre essere considerato Lucio Dalla, Madonna disperazione. Quindi un brano minore di un gigante, quindi in tutti i casi un brano di assoluto valore artistico, per intendersi. Un brano minore anche perché contenuto non in un album, infatti, ma in un Q Disc, come tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta si chiamavano quell’ibrido a metà strada tra un 45 giri e un 33 giri che contenevano quattro brani, due per lato, stiamo parlando di vinile, ragazzi miei, spesso pensato come opera collettiva, penso a quelli che hanno visto coinvolti artisti quali Ivan Graziani, Ron e Goran Kuzminac, ognuno titolare di un brano e insieme a cantare Una canzone senza inganni, titolo dell’opera Q Concert, o in seguito lo stesso Kuzminac con Marco Ferradini e Mario Castelnuovo, Oltre il giardino stavolta a vedere gli artisti a cantare insieme, oltre che una serie di lavori in proprio, dei quali il più importante è indubbiamente La donna cannone di Francesco De Gregori, non fosse altro perché ospita una delle più note canzoni del nostro e del suo repertorio. Lucio Dalla, che è sempre stato eccentrico, ha intitolato il suo Q Disc Qdisc, che è un po’, per dirla con Paolo Rossi, il comico, come chiamare un cane Cane o un giornale Il Giornale. Un lavoro interessante, quello del cantautore bolognese, con una perla come Madonna disperazione, sette minuti e quarantacinque di ballad per voce e chitarra, anticipata da Telefonami tra vent’anni, e in compagnia di Ciao a te, quella di “Ciao a te, e a tuo figlio finocchio”, e di una versione di You’ve got a friend di Carly Simon, o a dirla col volgo di James Taylor. Questa canzone, Madonna disperazione, lo dico per la cronaca, è una delle mie preferite, e essere una delle mie preferite in un repertorio di valore così alto come quello di Lucio Dalla, specie del Lucio Dalla anni Ottanta, è davvero nota di grande merito.
Torniamo a noi.
Uno non è che mette nell’incipit, incipit interno, ma pur sempre incipit, di un suo pezzo una citazione così, a caso. Citazione nei fatti lievemente rivista, perché chi scrive i testi si prende delle licenze, e sto affrontando già il tema del pezzo, che un tempo avremmo definito licenze poetiche. Lucio Dalla canta infatti “Quanta poesia nel stare zitti, nel stare zitti se non si ha niente da dire”. Passi la ripetizione, utile a livello di metrica, non di concetto, ma quel “nel stare” proprio non mi è riuscito di scriverlo, accorgimento usato per abbreviare di una sillaba, ma davvero orribile alla vista. Il fatto è che tempo fa, nei mesi scorsi, durante una delle mie presentazioni estive, un signore anziano, la lunga barba bianca a stento coperta dalla mascherina mi ha chiesto, così, senza preavviso, perché io non ritenga che poesia e testi di canzoni siano equiparabili, perché cioè io non ritenga poesie le liriche delle canzoni. Dico, senza preavviso perché, nel corso della presentazione, e a mia memoria neanche nei miei libri e i miei articoli, ho mai affrontato questo tema, che in effetti mi vede pensarla esattamente a quella maniera, poesia e liriche di un testo sono parenti strette, in quanto opere letterarie, ma non più di quanto non lo sia un romanzo o un racconto breve. A avvicinarle, forse, il loro agire sul verso, la metrica, a volte, e comunque un ricorrere a immagini laddove la narrativa in genere ricorre alla trama (vado a spanne, ovvio che le cose non stanno sempre e solo così). Certo, il Nobel per la Letteratura a Bob Dylan, Nobel che ha creato molti malumori tra gli scrittori e che lo stesso Dylan ha a più riprese snobbato, finendo per diventare il mio idolo assoluto ancor più di quanto già non fosse, potrebbe generare confusione, ma di Nobel appunto per la Letteratura si parla, non per la Poesia o per la Narrativa, e le liriche delle canzoni, poi è da stabilire se belle o brutte, se arte o intrattenimento, letteratura sono. Questo è quanto ho detto, in maniera un po’ meno scritta e un po’ più orale, stavo in effetti parlando, al signore anziano, indicando come nella poesia sia già presente la musica, sottintesa, mentre nelle liriche la parte musicale è a compendio, spesso ne è origine, molti scrivono testi sulla composizione già chiusa, a volte avviene il contrario, e in caso la metrica è rigida, adatta a finire su uno spartito, per questo e anche per questo impossibile parlare di poesia guardando a un testo, questo senza alcuna intenzione di ritenere un testo opera minore rispetto a una poesia, o viceversa. Come dicevo, esistono belle poesie e brutte poesie, bei testi e brutti testi, esistono poesie e testi atti a intrattenere, poesie e testi che sono da includere nell’arte, anche qui, senza star qui a esprimere giudizi di merito, già evidenti di loro. Il signore anziano e con la barba si è detto soddisfatto delle mia risposta, anche se ha azzardato un passaggio ulteriore che ci ha visti non più concordi, al punto che ho preferito chiudere lì la questione, per non fare un dialogo a due durante una presentazione, nello specifico è accaduto quando il signore in questione sosteneva che a accomunare le belle poesie e i bei testi ci sia un messaggio spesso comune, l’attenzione rivolta all’uomo, al suo rapporto col senso della vita, quindi volendo Dio o chi per lui, il suo posto nel mondo, quindi l’ambiente. Non ho potuto che sottolineare come la letteratura possa a volte non occuparsi specificamente di contenuti, ma lasciando alla forma la sua sola ragion d’essere, e sono andato in questo a citare il Massimalismo, volendo anche la sua deriva tardo novecentesca nota come Avant Pop, la forma come sostanza, in poche parole, portando a mio suffragio come a volte, specie in musica, certi testi ci trasmettano il loro senso anche quando sono scritti in lingue che non conosciamo, ho citato la saudade di certe bossanove o certi brani di Marisa Monte, ho citato l’energia anarcheggiante di certi brani in inglese, se io sia stato convincente o meno non saprei dirlo, ma questo è quel che penso, non potevo certo tenerlo per me alla presentazione di un mio libro.
Proprio Lucio Dalla, a vederla bene, potrebbe mandare a carte quarantotto il mio ragionamento, essendosi avvalso per parte della sua carriera, diciamo la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta, di poeti come Paola Pallottino e Roberto Roversi, prima di mettersi di suo pugno a scrivere i suoi testi, per altro andando a scrivere i suoi album più densi e belli, quelli per intendersi che vanno da Come è profondo il mare a Dalla, passando per Lucio Dalla e Banana Republic, in coppia con Francesco De Gregori, non che i successivi siano poca cosa, ma è evidente come Roversi, soprattutto, così come Pasquale Panella con Lucio Battisti e gli altri con cui ha collaborato, siano artisti in grado di operare in entrambe le forme letterarie, poesia e lirica, anzi, abbiano approfittato proprio di queste occasioni concesse loro dalla discografia per scrivere in forme che altrimenti non avrebbero potuto approfondire e sperimentare. In conclusione, che per emulare la sopracitata forma letteraria nota col nome di Massimalismo, sarebbe un modo un po’ pigro per avvicinare il lettore alla fine, senza star lì a sforzarsi troppo di arrivarci in maniera più elegante, o anche solo più coerente con il resto del pezzo, ma in effetti altro non avevo da dire, e star qui a tirarla per le lunghe è noioso per me che lo faccio pagato per farlo, figuriamoci per voi, che lo fate gratis, in conclusione, quindi, scusate la pigrizia a fin di bene, no, poesia e liriche di una canzone non sono equiparabili, più di quanto non si possa fare tra una poesia di Ungaretti e un romanzo di Moccia, anche qui sono stato sciatto e frettoloso, ma a volte le scorciatoie ci permettono in effetti di arrivare prima dove vogliamo arrivare, non è detto che fare il giro tradizionale, per quanto panoramico, sia sempre la cosa migliore, poesia e liriche di una canzone sono opere letterarie, quindi semmai sono parenti.
A questo punto, anche la cosa delle digressioni nelle quali l’autore spiega cosa va facendo è tipica del Massimalismo, credo di averlo già detto da queste parti svariate volte, dovrei dare una circolarità al mio pezzo, chiamare pezzi quelli che tecnicamente dovrebbero essere chiamati articoli, invece, è un vezzo che col Massimalismo nulla ha a che vedere, più un vezzo da scrittore che si rifiuta da sempre di essere chiamato giornalista, e che in effetti non è mai stato iscritto all’albo dei giornalisti, un vezzo concreto, quindi, non fantasioso, a questo punto dovrei recuperare una qualche struttura circolare, simmetrica, e andare davvero a concludere ripescando l’incipit, e con l’incipit la citazione riveduta e corretta del verso di Madonna disperazione di Lucio Dalla, tanto per dimostrare che so farlo, certo, e che sapendolo fare non mi tiro indietro nel farlo, anche se la cosa potrebbe suonare un po’ retorica e scontata. Anche perché, a ben vedere, a parte aver introdotto l’idea di poesia e avermi dato modo di ricordare le esperienze dei Q Disc e Q Concert, direi che tutto ho fatto in questo pezzo tranne che assecondare i silenzi, come evocato da Dalla. Niente, ora non ho davvero più niente da dire e taccio citando un altro pezzo da novanta del nostro cantautorato, Claudio Baglioni, in uno di quei giochi di parole che hanno caratterizzato le sue composizioni dalla metà degli anni Ottanta alla metà degli anni zero: “poi sia poesia”.