Se fino a quel 1° marzo 2012 abbiamo respirato liberamente in superficie, con la morte di Lucio Dalla ci siamo tutti scoperti in apnea. Un malore dopo la colazione nella splendida cornice di Montreux, le lacrime di Andrea Mingardi e della corista Emanuela Cortesi, poi le notizie che nessuno vorrebbe leggere.
Lucio Dalla sta per compiere 69 anni. Nato il 4 marzo 1943, la sera prima si è esibito per il Montreux Jazz Festival, e per tutta la vita ha cantato l’amore, la morte, il sorriso e il pianto, la passione e la rabbia. Un ultimo schianto di ottimismo in una mattina assolata, nessuna stanchezza per quel lavoro d’artista che, come si sa, succhia le energie anche al fisico più allenato. Poi la morte, la terribile sorella della vita che Lucio Dalla ci ha insegnato ad apprezzare senza averne paura, com’è tipico per i poeti e i sognatori.
Il tempo per un viaggio attraverso le sue canzoni non è mai abbastanza, ma una riflessione sorge spontanea: probabilmente, chi sostiene ciò che si intende premettere, è mosso da un eccessivo slancio d’affetto verso il cantautore bolognese. Eppure la sua Com’è Profondo Il Mare è ancora oggi uno dei migliori racconti sull’Italia e sul mondo. Lo ha fatto come Dante Alighieri, che nella Divina Commedia nel verso Ahi, Serva Italia condannò la corruzione di un Paese dilaniato. Lucio Dalla ha preso la sua lente e l’ha puntata sul mondo, individuandone il vero problema: l’uomo.
Eppure l’uomo di Dalla non è un carnefice da ghigliottinare: è una bestia da ri-ammaestrare, che ha perso ogni contatto con il buonsenso da quando ha scoperto il potere, e per questo Lucio gli rivolge la poesia. Una carezza conferita al bambino che sbaglia. Redarguisce l’uomo, rivolgendosi allo stesso uomo ricordandogli che chiunque può essere un mare profondo e immenso, se solo fosse più pesce e meno pescatore.