Mi sono lamentato a lungo, diciamo quasi da subito, e per subito intendo almeno da marzo, aprile 2020, ho iniziato a tenere un diario della pandemia il 24 febbraio, tutto si può dire meno che io non abbia in quel caso saputo leggere l’attualità, mi sono quindi lamentato davvero a lungo del silenzio agghiacciante che sta attraversando come un filo rosso tutte le canzoni uscite da che il termine Coronavirus, prima, e Covid, poi, è entrato nella nostra vita. Un silenzio da parte di chi maneggia la forma d’arte, spesso solo di intrattenimento, più diretta, immediata, non fatemi star qui a spiegare perché la musica sia il medium che meglio di qualsiasi altro arrivi al pubblico, vi prego. Niente canzoni che raccontino quel che stiamo vivendo, neanche canzoni che provino a raccontare quel che abbiamo già vissuto, niente di niente. Mentre le serie tv, parlo di quelle serie, americane, hanno infarcito le proprie trame, scritte molto probabilmente anni fa, per incastrare tutte le sottotrame, le vite dei personaggi, gli incastri, di riferimenti più che diretti alla pandemia, alcune hanno proprio stravolto tutto, penso alla diciassettesima stagione di Grey’s Anatomy, alla quinta di The Resident, addirittura costretta a cambiare in corsa, dal momento che l’attrice che interpreta Nic, la protagonista assoluta insieme a Conrad, Emily VanCamp, da poco mamma, ha lasciato la serie per tutelare la sua salute e quella della nuova vita, da noi anche la televisione è rimasta neutrale, giusto una puntata di Doc 2, per il resto tutto come se niente fosse, al grido di “la gente vuole spensieratezza”, o, peggio, “la gente non ne può più di sentir parlare di virus”, pensa te, la musica italiana procede tra cocktail e posti esotici, una mano di leggerezza a rendere il tutto talmente volatile che neanche riesci quasi a fissarlo il tempo per metterlo a fuoco, è già sparito tutto via col vento. Certo, ci sono poche eccezioni, la faccenda delle eccezioni e le regole che confermano non me la sono mica inventata io, ma la quasi totalità dello scenario attuale è quello, non se ne parla, non ci si impegna, si canta del nulla perché il nulla non fa paura. Sottolineato che a me il nulla terrorizza, perché non vorrei mai vivere in un mondo come quello raccontato da queste canzoni, divertimento vacuo e superficialità, da mesi, ormai anni, registro la cosa con la malinconia che mi avvolge come un manto doloroso, guardando al futuro con quel misto di disincanto e disillusione che nulla di buono lascia presagire. Perché qui non è tanto e solo che nessuno si è preso la briga di cantare del Covid, dell’oggi, di quello che è il film delle nostre vite, una serie horror o un colossal, a seconda di come la si voglia vedere, quanto piuttosto che anche chi prima, incidentalmente, ogni tanto affrontava temi non dico impegnati, ma quantomeno un minimo profondi, oggi opta per la famosa locura di cui si è parlato altrove, lasciando che il culo, quasi sempre, e il cuore, a tratti, prenda il posto della testa, con buona pace per George Clinton. Al punto che un Marracash, certo autore letterato e meritevole, si legga quel letterato con la voce affettata del radical chic, ma pur sempre uno che ha fatto anche canzoncine innocue, oggi svetta come una sorta di Sartre del rap, un esistenzialista che non disdegna uno sguardo politico sul mondo, usando se stesso come mirino per centrare in pieno la figura grossa dell’attualità, con buona pace di chi invece si ostina a parlare di cazzate.
Poi succede, l’ho presa neanche troppo lunga, stando ai miei standard, ma era evidente che stavolta non volevo dare il classico colpo alla nuca al racconto, che mi arrivano all’occhio, perché il tutto passa inizialmente da due videoclip, canzoni che tirano in tutt’altra direzione, come si vede in certi film o telefilm, uso una parola vintage, dove magari il cane di una persona che ha subito un attacco violento, o è rimasto involontariamente ferito, penso a certe serie sui vigili del fuoco, si ostina a tirare i protagonisti per la manica, senza risultare comunque aggressivo, e quando finalmente i nostri eroi si persuadono a seguirli, ecco trovare i malconci proprietari, magari in un fosso, o nascosti comunque alla vista, pronti per essere miracolosamente salvati. Parlo di Vincenzo Incenzo, cantautore con un illustre passato, e presente, da autore di grande successo, da qualche anno a questa parte lì a camminare per una strada tutta sua, una strada che prova a fregarsene delle mode del momento, puntando in alto, e quindi rimanendo comunque assai sopra la calca, un funambolo che poggia un piede dietro l’altro su un filo sospeso a tanti metri dall’asfalto. È lui a aver tirato fuori due canzoni, in apparenza diversissime tra loro, per suoni, sicuramente, e per mood, Pornocrazia, primo singolo di lancio del suo terzo album Zoo, in via di pubblicazione, e ora Ciao Repubblica, una specie di manifesto in due puntate di cosa possa essere oggi la canzone civile, il piglio pop di chi per anni ha collaborato con hitmaker, penso a Renato Zero e Michele Zarrillo, ovviamente, per cui Vincenzo ha scritto perle entrate nella storia della musica leggera italiana, misto con una poetica assolutamente cantautorale, le parole cercate e trovate con cura, il messaggio posto al centro della scena, in bella vista, la volontà di raccontare il qui e l’oggi come mission assolutamente possibile. La forma canzone, da lì eravamo partiti e lì si finisce ovviamente per tornare, l’incedere ellittico di questo testo questo prevede, concentra in tre minuti, circa, un intero mondo, che si tratti di veicolare un messaggio, di inscenare un racconto, di mettere sul tavolo un’emozione, sicuramente è più facile giocare sulle suggestioni che sui ragionamenti, su trame esili che su analisi che potrebbero comunque risultare troppo spicce, frettolose.
Vincenzo Incenzo, classe 1965, decide di caricarsi sulle spalle questo intento, per altro andando contro qualsiasi logica di mercato, nel 2021 campioni di vendite sono stati quasi tutti artisti nati a cavallo del passaggio di millennio, tolto il solo Rkomi, del 1994, Sangiovanni è del 2003, i Maneskin basculano tra il 1999 di Damiano e il 2001 di Thomas, gli altri due del 2000, Blanco è pure lui del 2003, Madame del 2002, tutti anagraficamente assai più giovani di lui, molto, potrebbero essere suoi figli, tira fuori due canzoni, potenzialmente hit per come sono scritte, sicuramente destinate a lasciare segni in chi le ascolta, per come sono scritte, altrettanto sicuramente destinate a rimanere nel tempo, come il vetro, che al massimo può essere levigato dal mare, o distrutto da colpi, ma non si degrada mai, andando a gettare aspettative altissime sul prossimo lavoro, terzo dopo l’esordio tardivo di Credo, 2018, trainato dal singolone Je Suis, e del successivo EGO, 2020, a sua volta spinto dai singolo Un’altra Italia e Allons Enfant. Vincenzo Incenzo riesce, col singolo Pornocrazia, una sua invettiva violenta contro lo spirito malato dei nostri tempi, e la malinconica Ciao Repubblica, una Povera patria in versione 2.0, il disincanto a prendere il posto della rabbia, a indicare uno spiraglio di luce nel deserto di luce che questi tempi anomali ci pone di fronte, come il tipo con le braccia conserte nella foresta di braccia tese di certe foto che vengono ciclicamente riportate sui social, unico bastian contrario in epoca fascista, lì a mettere a repentaglio la propria vita pur di non piegare la testa, e lo fa con la leggerezza della musica leggera, sempre presente, anche nel decide di affrontare l’abisso in apnea, la superficie là sopra, immobile, e al tempo stesso rivendicando una modalità alternativa al piattume imperante, anche in tre minuti si possono dire cose, anche in tre minuti si possono prendere posizioni, addirittura senza dover star lì a citare cocktail o metropoli esotici, pensa te. Strano il suo destino, parafraso Giorgia, perché trovare la propria voce dopo aver adattato le proprie parole alla voce altrui, o forse dovrei dire aver trovato le parole adatte alle voci altrui, è qualcosa che in apparenza va contro le correnti gravitazionali, negli ultimi anni abbiamo visto semmai tanti e tanti cantautori e cantautrici immolare il proprio talento al mercato, finendo per firmare contratti editoriali che ne hanno prosciugato l’ispirazione, prova di ciò le tante, tantissime brutte canzoni partorite sempre dai medesimi nomi, nessuno in genere riesce a riavvolgere il nastro e tornare sui propri passi, fateci caso. Vincenzo Incenzo sì, e quello che sta portando avanti da qualche anno a questa parte è un piccolo miracolo fatto di canzoni/mondo, mostrandosi per quel che è davvero, un eccelso compositore, oltre che validissimo paroliere, già l’aver scritto la musica di Rispondimi, perla rarissima che vedeva il Lucio Dalla di Henna duettare con Tosca in un brano che mette in scena come pochi l’incomunicabilità, avrebbe dovuto farci capire come il suo talento non fosse solo quello di gestire le parole e la metrica. Resta da capire se, proprio come in quel gioiello di canzone, quel che Vincenzo Incenzo dice con la propria musica sarà compreso, se, cioè, il suo modo originale di scrivere pop sarà decifrato da un pubblico ormai da tempo abituato a un ascolto frammentario, evaporato, fatto di strappi e rincorse, pochi secondi di attenzione e via, poi si passa a altro. Non che sia fondamentale, non sono il discografico di Vincenzo Incenzo, lo so, parlo facile, e non sono neanche Vincenzo Incenzo, parlo ancora più facile, ma ritengo che certe cose vadano dette, a prescindere dalla capacità del pubblico di comprenderle sul momento, a prescindere dalla volontà del pubblico di prestarci attenzione, l’intangibilità della musica a rendere il tutto più complicato, ma anche possibile, ciò che è intangibile finisce spesso per rimanere sospeso nell’aria, come le domande di Bob Dylan, vanno dette perché vanno dette, e una volta dette stanno lì, a futura memoria. Tanto, in fondo, il futuro è solo il presente per come ancora non ce lo siamo trovati davanti, basta solo prestare un po’ di pazienza, e nel mentre ascoltare la musica giusta.
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Che articolo meraviglioso!!!!! Finalmente un articolo che rende veramente onore e giustizia alla grandezza di Vincenzo!
Complimentissimi!!! e’ riuscito a cogliere ciò che gli altri sui colleghi neanche hanno mai minimamente sfiorato tant’è ’ dominante la superficialità che contraddistingue sempre più questa società… Grazie !