L’Italia ha vinto la medaglia d’Oro alle Olimpiadi invernali di Pechino nel curling. Non ho esattamente presente come funzioni il curling, credo come il 99,9% degli esseri umani, cioè tutti quelli che non ci giocano, ma so che il curling è entrato nell’immaginario occidentale proprio durante le ultime o le penultime olimpiadi invernali, e ci è entrato per due precisi motivi. Il primo è che è buffo vedere qualcuno che lancia una specie di Roomba, il robot aspirapolvere che da tempo gira nelle case di parte degli italiani, il tutto accompagnato da un tizio che anticipa l’arrivo di Roomba spazzolando il ghiaccio. È evidente che se passi Roomba non è necessario passare prima lo straccio, semmai lo passi dopo, questo chi gioca a curling ancora non lo sa, credo di poter dire fuor di dubbio. L’altro è che il curling è diventato popolare perché è generalmente considerato uno sport appunto buffo e, penso, anche piuttosto scemo. Già fatico a considerare sport qualsiasi cosa che non abbia a che fare con un pallone da prendere a calci con il preciso intento di infilarlo dentro una porta alle spalle di un portiere, e più in generale qualsiasi attività fisica che non contempli la possibilità dello scontro fisico, possibilmente violento, condivido è noto la massima di Daniel Passarella, centrale cattivissimo dell’Argentina, da noi nelle fila della Fiorentina, il quale guardando allo sport contemporaneo disse “Non capisco i difensori di oggi. Loro fanno falli per necessità, io per piacere”, parole sante, figuriamoci se possono considerare sport qualcosa che abbia a che fare col ghiaccio e uno spazzolone. Infatti il curling è diventato una sorta di icona, ma non positiva, è lo stereotipo dello sport naif, di nicchia, buffo, appunto, da contrapporre agli sport blasonati, famosi, quelli di cui nessuno deve star lì a chiedere le regole, fuorigioco a parte.
Proprio la vittoria dell’Italia nel curling ha ovviamente portato diversi personaggi di dubbia intelligenza a pontificare su come lo sport dovrebbe essere tutto così, non come il calcio che vede gli sportivi, che agli occhi di questi editorialisti sportivi non sono, aggirarsi a bordo di auto extralusso, con tagli di capelli discutibili e wags al loro fianco, dove wags sta per wife and girlfried. Lo ammetto, la parte delle wags l’ho aggiunta io, perché mi andava di citare questo acronimo, e perché penso che chi ha scritto proprio alle wags stesse pensando, pensiero che ha mosso il loro livoroso scrivere e dire, quanto al resto è tutto stato scritto e detto, con molte più parole e molto più livore. Ora, figuriamoci se sta a me difendere i calciatori di oggi, tutti fighetti, anche la parte dei capelli discutibili l’ho aggiunta io, strapagati per non si sa bene cosa, e fautori di un calcio ipermuscolare, velocissimo, affatto appassionante e affatto appassionato di vezzi e poesia, io che ho sempre amato i giocatori leziosi, gli Edilson di turno, oltre che una buona parte di quei calciatori iperviolenti alla Roy Keane o alla Paolo Montero, sia chiaro, ma questa contrapposizione pelosa tra ricchi e poveri, fatta da chi sicuramente non viene dalle favelas, luogo dove al calcio si gioca, una palla di stracci, i piedi scalzi, due legnetti infilati nel fango a fare da pali, a retorica credo non si può rispondere che con la retorica, quella la sola lingua comprensibile a chi quella lingua parla, mi urta davvero i nervi. Anche perché, non voglio star qui a scomodare la buon’anima di Eduarco Galeano, quella di Osvaldo Soriano o di chicchessia, ma il calcio è in sé democratico, che il sistema calcio sia fallimentare, parlo di morale e di etica, è faccenda che con lo sport in sé nulla ha a che fare, e a dirla tutta è evidente che a chi ora si esalta per il curling anche del curling non frega nulla, dubito abbia mai seguito una gara (figuriamoci, non so neanche come si chiamano le competizioni legate al curling, partite, gare, boh…) e dubito spenderebbe un centesimo per andarne a vedere una dal vivo, come per contro sono certo girerebbe potendo in Ferrari con una wag al fianco, sempre che già non lo faccia.
Il fatto è che qui è tutta una guerra tra chi vuole far passare qualcosa come irricevibile, e quindi stigmatizza l’altro, si tratti di dire che l’altro è troppo di massa o troppo snob, poca o nulla la differenza, e chi controbatte colpo su colpo, a suon di letture anacronistiche del mercato, della società e volendo anche dell’umanità tutta. Succede al calcio, ciclicamente, e devo dire che il sistema calcio negli anni si è talmente incancrenito, e il gioco sul campo si è fatto talmente simile a quello della PES, quasi da giustificare un qualsiasi attacco, non fosse che a portarli avanti è gente che non saprebbe distinguere una ripartenza da un contropiede, e più in generale non fosse che anche nel momento più basso della sua storia, non parlo ovviamente di aspetti legati alle finanze, parlo proprio di gioco e soprattutto di espressività legata al calcio, questo singolare sport è capace di continuare a regalarci storie talmente potenti da meritare comunque un briciolo di attenzione.
Credo però che ci sia altro dietro questa estetica disdicevole, le Ferrari, i capelli tagliati a cazzo, le wag, e credo che sia esattamente la medesima logica che ha portato i rapper, nel corso di oltre quarant’anni, a affrancarsi dal ghetto, dai sobborghi, dai palazzoni malmessi, per arrivare al Bling Bling e a tutto quello che gli viene parente. Se inizialmente l’esibizione di gioielli e oro, di macchinone con gli ammortizzatori a pressione idraulica, di donne, mercificate, certo, o meglio oggettificate, alla pari dei gioielli e delle macchinone, ma il rap è stato anche in passato qualcosa di estremamente superficiale, lo stile a sopperire da una atavica assenza di contenuto, non tutti erano KRS One o Chuck D, se un tempo tutto questo era una sorta di emancipazione, di riscossa sociale, di esibizione di una ricchezza sempre trovata e mai neanche ipotizzata fino a quel momento, col tempo, con gli anni, è stato inglobato nella grammatica del rap, andando a diventare parte della sua stessa grammatica, al pari di un sample, di un feat, di un giro di basso ben assestato. Così si sono ritrovati a esibire questa emancipazione anche artisti che nulla avevano da riscattare, non voglio star qui a citare Poco ricco di Checco Zalone, ma ci siamo capiti. Lo stesso temo stia capitando nel calcio, dove alle stramberie di un Adriano, di un Maradona, di un George Best, toh, anche di un Cassano, si sono susseguite le medesime stramberie di soggetti del tutto privi del vissuto tridimensionale in grado di giustificare quegli eccessi, quelle bizzarrie, anche quelle esibizioni estetizzate. Faccio un esempio, se per un certo tempo i rapper usavano portare le sneaker, gigantesche sneaker, senza lacci, era per ricordare i fratelli in prigione, dove per paura che i detenuti si suicidino, a loro vengono sottratti lacci e cinture. Idem per i famosi cerottini che Nelly portava sul viso, promemoria per suo fratello, in carcere al momento della sua ascesa, non a caso sarebbero spariti nel momento in cui finalmente lo scarcereranno.
Un simbolo è tale se rimanda a qualcosa d’altro, se ne richiama memoria, nel caso ci sia una storia dietro, o se allegorizza qualcosa, elevando un fatto a concetto. Altrimenti è un semplice segno grafico, niente di particolarmente significativo e destinato a slittare dal piano della sociologia a quello della moda effimera.
Sia quindi reso merito a Stefania Costantini e Amos Mosaner, che con undici vittorie su undici incontri, ultimo dei quali contro la Norvegia, hanno vinto l’Oro alle Olimpiadi invernali di Pechino 2022 nel Curling misto, un oro olimpico è tecnicamente un oro olimpico, il loro vale quanto quello di Marcell Jacobs o di Usein Bolt, per intendersi, ma basta con questa retorica di chi ce la fa in sport poco seguiti contro il calcio cattivo che attira a sé tutte le attenzioni, specie perché, a occhio, non mi risulta che durante il resto dell’anno, o anche meglio, il resto degli anni che intercorrono tra una olimpiade invernale e l’altra, ci siano poi così tanti appassionati di curling vessati dallo strapotere del calcio. E finché ci sarà un gruppo di ragazzini che corrono in un parco prendendo a pedate un pallone da due euro, le felpe o le cartelle a fare le porte, non sarà certo il Bling Bling delle superstar strapagate con Ferrari, tagli discutibili e wags al fianco a azzerare il fascino di uno sport che più democratico non si può, esattamente come non saranno quattro coglioni ingioiellati lì a parlare di auto di lusso e figa a anestetizzare la fascinazione che il rap visto come riscatto sociale ha su milioni di ragazzini, più interessati a trovare una valvola di sfogo che una via sicura al lusso.