Secondo Drusilla Foer il termine “diversità” è destinato a morire, per questo dal teatro dell’Ariston lancia la sua proposta: “unicità”, parola positiva e completa che dovrà sostituire la precedente.
“Diversi è proprio una parola che non mi piace e distanza anche non mi convince. Io quando la dico sento che tradisco quello che penso“.
L’unicità è più insidiosa, secondo Drusilla, perché non tutti riconoscono la propria. Nel suo caso tutti hanno parlato di lei come di quella “strana”, il “diverso” che sbarca a Sanremo per soppiantare il modello puro, l’alpha e l’unica natura – per il momento, da alcuni – riconosciuta.
Di fatto, Drusilla Foer è sì l’alter ego di Gianluca Gori, e sotto quel vestito ci sarebbe un uomo se non fosse che questo rappresenta la lettura settoriale e superficiale di un essere umano dotato – come tutti, pur se sembra strano a tanti – di intelletto, scheletro, sangue e passione.
Eppure per Drusilla Foer parlare di unicità non basta, e nemmeno è sufficiente consigliare di coltivare e curare (e soprattutto scoprire) la propria: la nostra unicità deve essere anche quella che ci fa accettare l’unicità dell’altro. Se questo non avviene si creano distanze e divisioni, una squallida gara a chi risulta più vero e “normale”. Per questo Drusilla usa queste parole:
“L’atto più rivoluzionario che si possa fare oggi: l’ascolto della nostra unicità, dei nostri sentimenti e pensieri e chi siamo, e che le nostre convinzioni non siano solo convenzioni“.
Proprio perché si parla di unicità non possono esistere casi di unicità inferiore o sottomessa: tutti, secondo Drusilla, meritano lo stesso posto e la stessa considerazione purché queste vengano concesse a loro volta, altrimenti sarebbe un vero e proprio tradimento alla propria pace. Tanti sono i commenti favorevoli al discorso di Drusilla Foer sulla diversità, pochi minuti in cui la co-conduttrice si è commossa per il forte messaggio lanciato all’Europa e ha regalato anche un momento musicale, sfoggiando doti canore che hanno scosso il Festival.