In una settimana di pochissime uscite in sala, tra Festival di Sanremo e un cinema ancora ansimante per l’onda lunga del Covid, quella sulla carta maggiormente degna di nota pare Gli Occhi Di Tammy Faye. Ossia il film biografico “tratto da una storia vera” – dicitura in cui nel cinema statunitense di questi ultimi anni si incappa sempre più spesso, e non sempre è un bene – dedicato a una celebre coppia, almeno in America, di telepredicatori, la protagonista del titolo, interpretata da Jessica Chastain e il marito Jim Bakker (Andrew Garfield).
I quali partendo dal più assoluto anonimato e convolati giovanissimi a nozze nei primi anni Sessanta, furono capaci di trasformare la propria devozione spirituale in un mestiere che permise loro, all’apice del successo, di creare tra anni Settanta e Ottanta un grande network televisivo religioso, capace di raccogliere un numero enorme di spettatori e adepti, e pompare nelle loro casse una notevole quantità di denaro.
Jessica Chastain, anima del progetto e anche produttrice, è partita dal documentario omonimo su Tammy Faye del 2000 di Fenton Bailey e Randy Barbato, individuando in questo singolare personaggio un veicolo adatto per una prova d’attrice da premio – infatti ha ottenuto la nomination sia ai Golden Globes che ai SAG Awards, in attesa degli Oscar –, decidendo di coinvolgere il regista Michael Showalter per trarne un racconto esemplare su certe pulsioni messianiche abbastanza caratteristiche dell’America profonda dell’altroieri e forse di sempre.
Gli Occhi Di Tammy Faye procede in maniera assai lineare e con qualche prolissità – dopo un’ora e mezza si fatica a capire come il film possa andare avanti per altri quaranta minuti –, costruendo il ritratto di una coppia mossa da un fervore religioso a metà tra sincerità, ingenuità (Tammy?) e molta ipocrisia (sicuramente Jim), inseguendone l’irresistibile ascesa e il subitaneo tracollo, condito da scandali soprattutto finanziari, con la continua distrazione da parte di Jim di fondi destinati alla beneficenza verso ben più lucrose attività speculative che l’avrebbero condotto direttamente verso la galera (dalla quale è poi uscito riprendendo il mestiere di sempre).

Purtroppo, anche per la sceneggiatura evasiva di Abe Sylvia, Showalter non s’è esattamente rivelato il regista più adatto per ricostruire una vicenda del genere, vista la sua provenienza dalla rom-com più esangue (a parte The Big Sick, più merito dello sceneggiatore e protagonista Kumail Nanjiani). Infatti il film comincia dalla fine, con un montaggio di brani tv d’archivio che raccontano lo scandalo finanziario ormai deflagrato, togliendo qualunque tensione alla narrazione. Ma nemmeno il resto riesce mai a cogliere la supposta paradigmaticità della vicenda.
Gli Occhi Di Tammy Faye è il tipo di film in cui, non appena viene inquadrato per la prima volta un bellimbusto produttore di Nashville che loda il talento canoro di Tammy, allo spettatore basta qualche fotogramma per capire che diventerà l’amante della donna, ovviamente spinta verso di lui dalla sua straordinaria cavalleria e, dall’altro lato, dall’infingardaggine del marito Jim, occupato a creare il suo impero e nel frattempo impegnato in numerose scappatelle con soggetti ambosessi. E di prammatica è tanto l’uso smodato di psicofarmaci di Tammy per reggere alla pressione quanto la presenza di un’anziana madre che, in qualche modo dovrebbe costituire il controcanto morale capace di ricordare alla figlia le reali ragioni per cui avrebbe intrapreso quella vita votata al Signore – invece ribaltatasi in un’affannosa accumulazione di beni materiali ben poco commendevole.
Gli Occhi Di Tammy Faye non riesce mai a raggiungere la dimensione dell’affresco contropelo, più attento invece a porre in luce le qualità umane della protagonista che, per esempio, ha nei confronti della comunità omossessuale un atteggiamento misericordioso e non di condanna, In questo scontrandosi sia con il marito che, soprattutto, con una figura nota probabilmente anche al pubblico italiano, ossia il reverendo Jerry Falwell (Vincent D’Onofrio), telepredicatore e voce del conservatorismo americano più retrivo, al quale tocca un vero e proprio ruolo da villain, utile anche ad alleviare parzialmente i due protagonisti delle loro colpe.
Colpe che, comunque riguardano assai più Jim che Tammy, la quale recita più che altro la parte dell’ignara e della raggirata, che però non consentono mai al suo personaggio di conseguire una dimensione almeno autenticamente tragica. E così, si fatica a trovare un senso per un film sfocato, mai abbastanza lucido, cattivo o paradigmatico, che funziona soprattutto come veicolo promozionale per la classica prova di calibrato ed efficace mimetismo di Jessica Chastain, tra le grandi attrici americane forse la più sottovalutata della sua generazione.
A meno che Gli Occhi Di Tammy Faye, nella sua evasività, non voglia affermare esattamente questo. E cioè che sotto l’immagine pubblica della protagonista, le ciglia finte, il mascara, le pellicce di visone, l’ossessivo riportare tutto al miracoloso apporto del Signore non ci sia nient’altro. Oltre la superficie, letteralmente il nulla.